Ordinanza n. 48 del 2014

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ORDINANZA N. 48

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                         Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                         Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                   "

-           Giuseppe                     TESAURO                                 "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                          "

-           Giuseppe                     FRIGO                                        "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                             "

-           Paolo                           GROSSI                                     "

-           Giorgio                        LATTANZI                               "

-           Aldo                            CAROSI                                     "

-           Marta                           CARTABIA                               "

-           Sergio                          MATTARELLA                         "

-           Mario Rosario              MORELLI                                  "

-           Giancarlo                     CORAGGIO                              "

-           Giuliano                       AMATO                                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 51, secondo comma, del codice di procedura civile promosso, nel giudizio vertente tra S.C. ed altra e M.A. ed altri, dal Giudice di pace di Milano con ordinanza del 22 ottobre 2012, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 22 ottobre 2012, il Giudice di pace di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 54, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 (rectius: 51, secondo comma) del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che il giudice di pace – che ritenga di non poter essere o di non poter apparire imparziale a causa del proprio trattamento economico fondato sul “cottimo”, ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), cioè basato su un certo compenso per ogni procedimento definito o cancellato dal ruolo – possa astenersi senza autorizzazione del capo dell’ufficio;

che il rimettente, adito dalla conducente e dalla proprietaria di un’autovettura tamponata da un veicolo risultato privo di copertura assicurativa al momento del sinistro, dovendo decidere sulle eccezioni di difetto di legittimazione passiva e di improponibilità della domanda formulate dalla Società Generali Assicurazioni s.p.a., evocata in giudizio quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, ritiene di dover sollevare preliminarmente la suddetta questione di legittimità costituzionale;

che il giudice a quo evidenzia che, ai sensi dell’art. 111, secondo comma, Cost., ogni processo deve svolgersi davanti «a giudice terzo e imparziale», il quale dovrebbe non solo essere, ma anche apparire tale;

che, a suo avviso, quanto previsto dall’art. 11, comma 2, della legge n. 374 del 1991 – secondo cui «Ai magistrati onorari che esercitano la funzione di giudice di pace è corrisposta un’indennità […] di euro 56,81 per ogni altro processo assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo» – farebbe sorgere nel giudicante un interesse personale a decidere la causa in un certo senso – quello che gli consentirebbe di ottenere il compenso – circostanza che ne pregiudicherebbe l’imparzialità;

che, dichiarandosi consapevole del difetto di rilevanza di una questione di legittimità costituzionale della norma sul trattamento economico dei giudici di pace, con riferimento alla quale sollecita comunque questa Corte ad esercitare il potere di autorimessione, il rimettente precisa che la questione da lui sollevata riguarda solo l’art. 51 cod. proc. civ., nella parte in cui, al di fuori dei casi espressamente previsti, non consentirebbe al giudice di astenersi senza autorizzazione del capo dell’ufficio;

che quanto alla non manifesta infondatezza, secondo il rimettente, l’art. 51 cod. proc. civ. – nella parte censurata – violerebbe, oltre all’art. 111, secondo comma, Cost., anche l’art. 3 Cost. (in quanto irragionevole) e l’art. 54, secondo comma, Cost. (in quanto i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore);

che, con specifico riferimento al giudizio principale, osserva il giudice a quo che, pronunciando sulle eccezioni di difetto di legittimazione passiva e di improponibilità della domanda, potrebbe accoglierle – nel qual caso riceverebbe il «compenso» di euro 56,81 – o rigettarle, senza ricevere alcunché;

che, pertanto, a suo avviso, nel decidere sulle eccezioni, non potrebbe «obiettivamente» essere o, quantomeno, apparire imparziale, ragione per cui considererebbe doveroso astenersi;

che, tuttavia, la sua istanza di astensione non è stata accolta dal capo dell’ufficio;

che da tutto ciò deriverebbe la rilevanza della questione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione;

che, ad avviso della difesa dello Stato, le norme sul trattamento economico dei giudici non assumerebbero rilevanza alcuna nella decisione delle controversie loro sottoposte né inciderebbero sull’indipendenza degli organi giudiziari dagli altri poteri, con conseguente irrilevanza della questione sollevata;

che, rammenta inoltre il Presidente del Consiglio dei ministri, accanto ai casi tipici in cui ha già espresso la valutazione di esistenza di un pregiudizio all’imparzialità dell’organo giudicante, il legislatore ha previsto la possibilità di situazioni che rendono opportuna l’astensione per «gravi ragioni di convenienza», espressione così generica da comportare, in sede applicativa, una valutazione concreta di ricorrenza dei presupposti idonei ad integrarla, trattandosi di ragioni prettamente soggettive ed anormali che non potrebbero essere rappresentate dal trattamento economico riservato alla categoria;

che, infine, secondo l’intervenuto, la motivazione dell’ordinanza sarebbe illogica, non considerando che, quand’anche la questione fosse accolta ed il rimettente potesse dichiarare di astenersi, la controversia verrebbe assegnata ad un altro giudice di pace, che verserebbe nella medesima situazione di pregiudizio all’imparzialità dedotta dal rimettente;

che, pertanto, il Presidente del Consiglio dei ministri chiede che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Considerato che il Giudice di pace di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 54, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 (rectius: 51, secondo comma) del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che il giudice di pace – che ritenga di non poter essere o apparire imparziale a causa del proprio trattamento economico fondato sul “cottimo” ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), cioè basato su un certo compenso per ogni procedimento definito o cancellato dal ruolo – possa astenersi senza autorizzazione del capo dell’ufficio;

che, a suo avviso, quanto previsto dell’art. 11, comma 2, della legge n. 374 del 1991 – secondo cui «Ai magistrati onorari che esercitano la funzione di giudice di pace è corrisposta un’indennità […] di euro 56,81 per ogni altro processo assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo» – farebbe sorgere nel giudicante un interesse personale a decidere la causa in un certo senso – quello che gli consentirebbe di ottenere il compenso – circostanza che ne pregiudicherebbe l’imparzialità;

che, sostiene il rimettente, pronunciando sulle eccezioni di difetto di legittimazione passiva e di improponibilità della domanda, potrebbe accoglierle – nel qual caso riceverebbe il «compenso» di euro 56,81 – o rigettarle, senza ricevere alcunché;

che, nel deciderla, afferma di non poter essere o, quantomeno, apparire imparziale, circostanza per cui considererebbe doveroso astenersi, facoltà che gli è preclusa dal diniego dell’autorizzazione da parte del capo del suo ufficio;

che, conseguentemente, a suo avviso l’art. 51, secondo comma, cod. proc. civ. – nella parte denunciata – violerebbe l’art. 111, secondo comma, Cost., nonché l’art. 3 Cost. (in quanto irragionevole) e l’art. 54, secondo comma, Cost. (in quanto i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore);

che questa Corte, con l’ordinanza n. 128 del 2013, successiva all’atto di promovimento dell’odierno giudizio, ha dichiarato la manifesta inammissibilità di una questione sollevata dal medesimo giudice a quo e sostanzialmente identica a quella in esame;

che nella fattispecie sono ravvisabili analoghe ragioni di inammissibilità;

che, in particolare, la prospettazione della questione è contraddittoria, in quanto, in base alle stesse argomentazioni del rimettente, anche la dichiarazione di astensione – quale risulterebbe possibile in esito all’intervento additivo invocato – sarebbe contrastata dall’interesse economico del giudicante a non astenersi per non perdere il compenso;

che un ulteriore profilo d’inammissibilità va ravvisato nella genericità delle argomentazioni con le quali il rimettente deduce la violazione dell’art. 3 Cost., espressivo del canone di «ragionevolezza», e dell’art. 54, secondo comma, Cost., di cui si limita a richiamare l’incipit «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore»;

che, infine, va ribadito che in un ambito, quale quello della disciplina del processo e della conformazione degli istituti processuali – caratterizzato dall’ampia discrezionalità spettante al legislatore col solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute – la questione risulta inammissibile perché diretta a chiedere a questa Corte un intervento non costituzionalmente obbligato, oltre che largamente creativo, come tale riservato al legislatore;

che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale sollevata è manifestamente inammissibile, restando assorbito ogni altro profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 54, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Massimiliano BONI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2014.