Sentenza n. 63 del 2013

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SENTENZA N. 63

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Franco                         GALLO                                            Presidente

-           Gaetano                       SILVESTRI                                     Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 66, comma 9, secondo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 23 maggio 2012, depositato in cancelleria il 29 maggio 2012 ed iscritto al n. 83 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi gli avvocati Luigi Manzi e Daniela Palumbo per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.― La Regione Veneto, con ricorso notificato il 23 maggio 2012 e depositato il successivo 29 maggio, ha impugnato, tra l’altro, l’articolo 66, comma 9, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, lamentando la lesione degli articoli 42, 117, terzo comma, 118 e 119, sesto comma, della Costituzione, e del principio di leale collaborazione, in relazione agli articoli 1, comma 1, 2, comma 2, lettera a), e 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e all’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 (Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

La norma impugnata – osserva la ricorrente − dispone sulla utilizzazione delle risorse derivanti dalle operazioni di dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola, stabilendo che esse, al netto dei costi di dismissione, siano destinate dagli enti territoriali alla riduzione del debito pubblico, e, in assenza del debito ovvero per la parte eventualmente eccedente, al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Detta norma afferisce alla materia del coordinamento della finanza pubblica, attribuita alla competenza legislativa concorrente della Regione, in relazione al quale spetta ad essa la potestà legislativa salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato (art. 117, terzo comma, Cost., e art. 2, comma 2, lettera a), della legge 5 maggio 2009, n. 42).

Ciò posto, ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata non si limiterebbe a porre principi, ossia criteri ed obiettivi che lascino alle Regioni un sufficiente spazio di manovra nella individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi, ma interverrebbe con previsioni specifiche ed autoapplicative incidenti sull’autonomia di spesa della Regione, imponendo una specifica destinazione per le somme reperite per il tramite delle operazioni di dismissione. Sicché la denunciata lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., si risolverebbe altresì in un contrasto con l’autonomia di spesa garantita dall’art. 119 Cost. e dagli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettera a), della legge 5 maggio 2009, n. 42, ed ancora in un vulnus alla proprietà pubblica, con riferimento agli artt. 42 e 119, sesto comma, Cost., e 19 della predetta legge n. 42 del 2009.

Sotto un diverso profilo, la ricorrente censura la disposizione de qua per violazione dell’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 85 del 2010, che dà attuazione al predetto art. 19 della legge n. 42 del 2009, stabilendo che l’ente territoriale che riceva beni nell’interesse della collettività rappresentata è tenuto a favorirne la massima valorizzazione funzionale a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata. Infatti, ad avviso della Regione Veneto, la previsione di cui all’art. 66, comma 9, relativa alla utilizzazione dei proventi della dismissione per alimentare il Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, sottrae alle collettività territoriali, presso le quali si trova il bene dismesso, le risorse ottenute proprio attraverso la valorizzazione dello stesso.

I profili di illegittimità dedotti in riferimento alla lesione dell’autonomia normativa e finanziaria regionale determinerebbero, altresì, una compromissione della stessa potestà di esercizio autonomo delle funzioni amministrative, con ciò rivelando la lesività della disposizione impugnata rispetto all’art. 118 Cost.

Infine, la ricorrente lamenta che la disposizione impugnata, afferente ad una materia ricompresa nella competenza concorrente di Stato e Regioni, ed in cui vengono in giuoco la valorizzazione di beni propri degli enti territoriali e la destinazione delle risorse da questi derivanti, sia stata emanata in assenza di alcun confronto con le Regioni.

2.― Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza del ricorso, osservando, per ciò che rileva nella presente sede, che la previsione di cui all’art. 66, comma 9, del decreto-legge n. 1 del 2012 costituisce un principio generale di coordinamento della finanza statale e locale.

3.― Nell’imminenza della data fissata per la pubblica udienza la difesa della Regione Veneto ha depositato una memoria con la quale insiste per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Considerato in diritto

1.― La Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, tra cui l’articolo 66, comma 9 (rectius: 66, comma 9, secondo periodo), in riferimento agli articoli 42, 117, terzo comma, 118 e 119, sesto comma, della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, in relazione agli articoli 1, comma 1, 2, comma 2, lettera a), e 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e all’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 (Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

La trattazione delle questioni di legittimità costituzionale relative alla predetta disposizione viene qui separata da quella relativa alle altre questioni proposte con il medesimo ricorso, che viene riservata a separate pronunzie.

2.― Nel quadro delle misure urgenti per la concorrenza e lo sviluppo introdotte dal citato decreto-legge n. 1 del 2012, si inserisce, sub articolo 66, la «dismissione dei terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola».

La correlativa disciplina – dettata, in primo luogo, per i terreni di proprietà dello Stato – è estesa ai beni di proprietà delle Regioni, Province e Comuni, con la previsione che detti enti «possono» alienarli, conferendo, all’uopo, mandato all’Agenzia del demanio, la quale «provvede al versamento agli enti territoriali già proprietari dei proventi derivanti dalla vendita al netto dei costi sostenuti e documentati» (art. 66, comma 7).

In tale contesto si inserisce la disposizione di cui al successivo comma 9 del richiamato art. 66 del decreto-legge n. 1 del 2012, sulla utilizzazione delle risorse derivanti dalle operazioni di dismissione: disposizione, ora appunto, impugnata dalla Regione Veneto, nella parte in cui stabilisce che «gli enti territoriali destinano le predette risorse alla riduzione del proprio debito e, in assenza del debito o per la parte eventualmente eccedente, al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato».

Siffatta destinazione obbligata delle risorse – che, secondo la ricorrente, dovrebbero invece rimanere nella libera disponibilità degli enti proprietari dei beni dismessi – contrasterebbe, infatti, a suo avviso:

– con l’art. 117, terzo comma, e l’art. 119 Cost., in relazione agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettera a), della legge n. 42 del 2009, per avere lo Stato, in una materia di competenza legislativa concorrente quale quella del coordinamento della finanza pubblica, adottato previsioni specifiche e autoapplicative incidenti sull’autonomia di spesa delle Regioni, anziché limitarsi a porre principi fondamentali, cioè criteri ed obiettivi che lascino alle stesse un sufficiente spazio di manovra nella individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi;

– con gli articoli 119, sesto comma, e 42 Cost., in relazione all’art. 19 della predetta legge n. 42 del 2009, per la lesione della proprietà pubblica derivante dalla utilizzazione dei proventi della dismissione dei beni di cui si tratta secondo le indicazioni dello Stato;

– ancora con l’art. 119, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 19 della legge n. 42 del 2009 e all’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 85 del 2010, per avere, con l’imporre l’utilizzazione dei proventi della dismissione per alimentare il Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, sottratto alle collettività territoriali presso le quali si trovano i beni dismessi le risorse ottenute proprio valorizzando questi ultimi;

– l’art. 118 Cost., per la compromissione della potestà di esercizio autonomo delle funzioni amministrative delle Regioni determinata dalla lesione della autonomia normativa e finanziaria delle stesse;

– il principio di leale collaborazione per essere stata emessa la disposizione censurata in assenza di un confronto con le Regioni pur in un ambito di competenza concorrente in cui sono in giuoco la valorizzazione dei beni propri degli enti territoriali e la destinazione delle risorse da questi derivanti.

3.― Ai fini dello scrutinio di costituzionalità, la disposizione impugnata può scindersi in due profili che, rispettivamente, concernono:

la destinazione delle risorse derivanti dalle operazioni di dismissioni dei beni dell’ente territoriale all’obiettivo di riduzione dei debiti dell’ente medesimo;

la destinazione di quelle risorse al Fondo per l’ammortamento dei titoli dello Stato «in assenza del debito [dell’ente territoriale] o per la parte eventualmente eccedente».

Alla questione sub b) – prospettata in termini di paventata «lesione della proprietà» (secondo la ricorrente, per effetto della disposizione censurata, «è come se i beni dismessi non fossero mai appartenuti alla Regione») è riferita propriamente la denuncia di contrasto della disposizione impugnata con i precetti di cui agli articoli 42 e 119, sesto comma della Costituzione, ed alle (per altro solo genericamente) richiamate norme interposte (art. 19 della legge n. 42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale e articolo 2, comma 4, del decreto legislativo n. 85 del 2010, sul patrimonio degli enti territoriali).

Ad entrambi i profili precettivi della disposizione censurata si rivolge poi la denuncia di violazione degli altri parametri evocati.

4.― La prima questione che in ordine logico viene in esame – quella, come detto, attinente alla destinazione obbligata delle risorse derivanti dalla dismissione all’obiettivo di riduzione del debito del medesimo ente territoriale proprietario del bene dismesso – non è fondata.

La correlazione funzionale − che l’art. 66, comma 9, del decreto-legge n. 1 del 2012 impone tra operazione di dismissione dei terreni demaniali, sia dello Stato che delle Regioni ed altri enti territoriali, e riduzione del debito rispettivo – risponde, infatti, proprio per tale complessiva estensione, ad una scelta di politica economica nazionale, adottata per far fronte alla eccezionale emergenza finanziaria che il Paese sta attraversando, e si pone, quindi, come espressione del perseguimento di un obiettivo di interesse generale in un quadro di necessario concorso anche delle autonomie al risanamento della finanza pubblica.

Si tratta, pertanto, di una disposizione che, per la sua finalità e per la proporzionalità al fine che intende perseguire, risulta espressiva di un principio fondamentale nella materia, di competenza concorrente, del coordinamento della finanza pubblica. E che, come tale, non è invasiva delle attribuzioni della Regione nella materia stessa, in quanto il finalismo della previsione normativa esclude che possa invocarsi – come fa la Regione − la logica della norma di dettaglio. Invero, una volta assunto l’obiettivo di carattere generale della riduzione dei debiti dei vari enti in funzione del risanamento della finanza pubblica attraverso la dismissione di determinati beni, l’imposizione del vincolo di destinazione appare mezzo necessario al suo raggiungimento.

E ciò tanto più se si considera che il comma 7 dell’art. 66, come fa manifesto il «può» in esso contenuto, lascia alle Regioni la facoltà di scegliere se procedere o meno alla riduzione del debito tramite le dismissioni dei beni di cui trattasi.

Tanto, dunque, esclude il contrasto con i precetti di cui agli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost., ed alle invocate norme interposte.

A sua volta, il vulnus – che la ricorrente sostiene arrecato dalla disposizione stessa agli articoli 42, 119, sesto comma, e 118 Cost., per l’asserita interferenza nei suoi poteri di disposizione ed esercizio di funzioni amministrative, relativi a propri beni − risulta insussistente, tenuto conto, da un lato, che la dismissione dei beni costituisce un atto che è adottato dagli enti territoriali in piena autonomia (comma 7 dell’art. 66 del decreto-legge n. 1 del 2012) e, dall’altro, che la previsione della destinazione delle risorse derivanti dalle dismissioni alla riduzione del debito dell’ente – esprimendo, come visto, un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica − può legittimamente comportare una limitazione dell’autonomia amministrativa della Regione.

Infine, quanto alla denunciata lesione del principio di leale collaborazione, la censura è del pari non fondata, atteso che l’esercizio della funzione legislativa non è soggetto alle procedure di leale collaborazione (ex plurimis, sentenze n. 100 del 2010, n. 284 e n. 225 del 2009).

5.― È invece fondata la questione relativa alla disposizione in esame nella parte in cui essa prevede che gli enti territoriali, in assenza di debito o per la parte eventualmente eccedente, debbano destinare le risorse derivanti dalle operazioni di dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

Per questa parte, la norma impugnata si risolve, infatti, in una disciplina che, non essendo finalizzata ad assicurare l’esigenza del risanamento del debito degli enti territoriali e, quindi, non essendo correlata alla realizzazione del ricordato principio fondamentale, si risolve in una indebita ingerenza nell’autonomia della Regione.

Il vulnus al principio dell’autonomia finanziaria delle Regioni si configura per la ragione che la disposizione determina una indebita appropriazione, da parte dello Stato, di risorse appartenenti agli enti territoriali, in quanto realizzate attraverso la dismissione di beni di loro proprietà, e, con ciò, sottrae ad essi il potere di utilizzazione dei propri mezzi finanziari, che fa parte integrante di detta autonomia finanziaria, funzionale all’assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti territoriali sono chiamati a svolgere (tra le altre, sentenze n. 311 del 2012 e n. 237 del 2009), con conseguente violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost., assorbiti gli ulteriori profili di dedotta illegittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 66, comma 9, secondo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui prevede che gli enti territoriali, in assenza di debito pubblico, o per la parte eventualmente eccedente, debbano destinare le risorse derivanti delle operazioni di dismissione di cui ai commi precedenti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato;

2) dichiara non fondata la ulteriore questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 66, comma 9, secondo periodo, del decreto-legge n. 1 del 2012, sollevata, in riferimento agli articoli 42, 117, terzo comma, 118 e 119, sesto comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione, nonché in relazione agli articoli 1, comma 1, 2 comma 2, lettera a), e 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e all’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 (Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio in attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2013.