Sentenza n. 27 del 2013

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SENTENZA N. 27

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                           GALLO                                                         Presidente

- Gaetano                        SILVESTRI                                                     Giudice

- Sabino                           CASSESE                                                               "

- Paolo Maria                   NAPOLITANO                                                      "

- Giuseppe                       FRIGO                                                                    "

- Paolo                             GROSSI                                                                  "

- Giorgio                          LATTANZI                                                             "

- Aldo                              CAROSI                                                                 "

- Marta                            CARTABIA                                                            "

- Sergio                            MATTARELLA                                                     "

- Mario Rosario               MORELLI                                                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 88 e 89 della legge della Regione Toscana 27 dicembre 2011, n. 66 (Legge finanziaria per l’anno 2012), i quali sostituiscono, rispettivamente, gli articoli 80 e 81, comma 1, della legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazioni di alimenti e bevande, vendita della stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti), notificato il 27 febbraio-1° marzo 2012, depositato in cancelleria il 5 marzo 2012 ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica del 15 gennaio 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato a mezzo posta il 27 febbraio-1° marzo 2012 e depositato il successivo 5 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato – in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione – gli articoli 88 e 89 della legge della Regione Toscana 27 dicembre 2011, n. 66 (Legge finanziaria per l’anno 2012), che sostituiscono rispettivamente gli artt. 80 e 81, comma 1, della legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazioni di alimenti e bevande, vendita della stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti), nella parte in cui, con l’art. 88, introducono nuovi limiti agli orari degli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa e reintroducono l’obbligo di chiusura domenicale e festiva e, con l’art. 89, introducono nuovi limiti agli orari degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

L’Avvocatura dello Stato evidenzia che le norme impugnate violano l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della tutela della concorrenza, competenza esercitata mediante l’approvazione dell’art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, che ha eliminato i limiti e le prescrizioni agli orari e alle giornate di apertura degli esercizi commerciali.

La prima delle norme impugnate (art. 88 della legge regionale n. 66 del 2011) reintroduce, per gli esercizi di commercio al dettaglio, l’obbligo di chiusura domenicale e festiva, salvo limitate deroghe, e prescrive il limite massimo di apertura oraria di tredici ore giornaliere, salvo la possibilità di introdurre deroghe da parte dei comuni.

La seconda delle norme impugnate (art. 89) reintroduce limiti agli orari di apertura e chiusura al pubblico per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande da determinarsi da parte dei Comuni previa concertazione con le organizzazioni imprenditoriali del commercio e del turismo, le organizzazioni sindacali dei lavoratori del settore e le associazioni del consumatori, maggiormente rappresentative.

A parere della parte ricorrente, sarebbe evidente il contrasto della normativa regionale impugnata con i principi fissati dalla nuova normativa statale di cui all’art. 3, comma 1, del decreto-legge 14 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come novellato dall’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011.

Gli interventi statali che aboliscono dei limiti orari e festivi all’apertura degli esercizi di vendita al dettaglio tendono a realizzare, secondo l’Avvocatura dello Stato, migliori condizioni di competitività del settore, accrescendo le possibilità dei consumatori di accedere ai servizi commerciali al dettaglio e rimuovendo le disparità territoriali (spesso a base micro-comunale) che determinano notorie e gravi distorsioni nella concorrenza, tanto dal punto di vista dello svolgimento in atto dei servizi commerciali, quanto dal punto di vista dell’insediamento dei nuovi esercizi di vendita.

Le norme statali in materia di rimozione delle limitazioni orarie e festive, tanto per gli esercizi di commercio al dettaglio quanto per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, costituiscono – per il ricorrente – esercizio della competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.).

Pertanto la Regione Toscana, introducendo i limiti di cui agli impugnati artt. 88 e 89 della legge n. 66 del 2011, avrebbe violato la competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

1.1.– Si è costituita in giudizio la Regione Toscana chiedendo il rigetto del ricorso.

La resistente ricorda che la materia delle giornate e degli orari di apertura degli esercizi commerciali è stata dapprima disciplinata dal legislatore statale con l’art. 35, commi 6 e 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale – con l’inserimento della lettera d-bis) nell’art. 3 del d.l. n. 223 del 2006 – aveva stabilito che, in via sperimentale, nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte, le attività commerciali potessero essere svolte senza i limiti e le prescrizioni aventi ad oggetto gli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale (comma 6).

A tal fine, si prevedeva l’obbligo per le Regioni e gli enti locali di adeguare le proprie disposizioni legislative e regolamentari entro il 31 dicembre 2011 (comma 7).

Tale art. 35, commi 6 e 7, del d.l. n. 98 del 2011 è stato successivamente modificato dall’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, che ha espunto il riferimento ai comuni turistici ed alle città d’arte inseriti negli elenchi citati, e alla sperimentazione dell’operazione.

Secondo la Regione Toscana l’art. 31 non avrebbe modificato il termine entro cui le Regioni devono adeguare la propria normativa in materia di orari dei negozi, rimanendo quindi fermo il termine del 31 dicembre 2011, disposto dall’art. 35, comma 7, del d.l. n. 98 del 2011.

Per questo motivo la Regione, successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del citato d.l. n. 201 del 2011 ed entro il termine prescritto dall’art. 35, comma 7, del d.l. n. 98 del 2011, è intervenuta sulla disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali con gli artt. 88 e 89 della legge reg. n. 66 del 2011, oggetto del presente giudizio.

In particolare, il nuovo art. 80 della legge reg. n. 28 del 2005 (come sostituito dall’art. 88 della legge reg. n. 66 del 2011) non distingue più tra comuni turistici e non turistici e, inoltre, non contiene più alcun riferimento alle fasce orarie entro cui tenere aperti i negozi.

Inoltre, il limite delle 13 ore giornaliere, così come le limitazioni alle aperture domenicali e festive, sono derogabili dal Comune, senza specifica motivazione, previa concertazione con le parti sociali interessate (commi l e 2 per gli orari di apertura e commi 5 e 6, nonché commi 7 e 8, per le chiusure domenicali e festive).

La resistente ritiene, pertanto, di aver disciplinato la materia degli orari e delle giornate di apertura degli esercizi commerciali nel rispetto della legislazione statale, limitandosi a dettare alcune regole relative a profili di competenza residuale delle Regioni.

In altri termini, con la disciplina in esame, la Regione non avrebbe posto preclusioni alle aperture, sia con riferimento agli orari, sia con riferimento alle giornate domenicali e festive, ma si sarebbe limitata a regolamentare aspetti di sua competenza esclusiva, prevedendo che la possibilità di apertura sia bilanciata con altri interessi, anch’essi di rilevanza costituzionale, come la tutela dei lavoratori, dell’ambiente, e dei beni culturali, interessi peraltro richiamati più volte dallo stesso d.l. n. 201 del 2011 proprio nelle parti in cui disciplina le liberalizzazioni.

In ogni caso, secondo la Regione non sarebbe possibile ravvisare quelle esigenze di tutela della concorrenza invocate dal ricorrente, posto che la normativa statale di rimozione delle limitazioni in ordine ad orari e festività per il commercio al dettaglio non interviene ad eliminare situazioni di squilibrio esistenti tra gli operatori del settore.

Pertanto, contrariamente a quanto affermato dallo Stato, la disciplina regionale non violerebbe la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, anche perché l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. non sarebbe titolo idoneo a legittimare la compressione totale delle prerogative legislative regionali costituzionalmente garantite in una materia, quale è quella del commercio, di competenza esclusiva delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Secondo la Regione, anche nel diritto comunitario si può trovare conferma del fatto che la materia della regolamentazione degli orari e delle giornate di apertura degli esercizi commerciali non rilevi ai fini della tutela della concorrenza.

Tale diritto, infatti, sarebbe totalmente neutro rispetto alla questione dell’orario di apertura e chiusura dei negozi, come dimostrerebbe la circostanza che nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea gli esercizi commerciali chiudono alle ore 18.00 e sono chiusi la domenica ed i giorni festivi.

In particolare, non verrebbero in rilievo né gli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea i quali disciplinano la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali e libertà di stabilimento, per garantire l’accesso e l’esercizio di un’attività economica in un Paese dell’UE diverso da quello di origine, né le finalità di tutela della concorrenza così come definite a livello comunitario, dagli artt. da 101 a 106 del Trattato (già artt. da 81 a 86).

A questo proposito, la Regione richiama la Corte di Giustizia che, proprio con riferimento a normative degli stati membri che regolano l’apertura domenicale degli esercizi commerciali, avrebbe riconosciuto che esse perseguono «un obiettivo legittimo alla luce del diritto comunitario. Invero, le discipline nazionali che limitano l’apertura domenicale di esercizi commerciali costituiscono l’espressione di determinate scelte, rispondenti alle peculiarità socio culturali nazionali o regionali. Spetta agli Stati membri effettuare queste scelte attenendosi alle prescrizioni del diritto comunitario, in particolare al principio di proporzionalità» (sentenza del 16 dicembre 1992, Causa C-169/91).

In conclusione, il ricorso sarebbe infondato e la Regione Toscana avrebbe legittimamente esercitato la propria potestà legislativa in materia di commercio.

Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Toscana ha ribadito le proprie argomentazioni a sostegno dell’infondatezza del ricorso anche alla luce dell’intervenuta sentenza n. 299 del 2012 con la quale questa Corte ha respinto i ricorsi proposti da alcune Regioni, compresa la Regione Toscana, avverso l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011.

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato a mezzo posta il 27 febbraio-1° marzo 2012 e depositato il successivo 5 marzo, ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli articoli 88 e 89 della legge della Regione Toscana 27 dicembre 2011, n. 66 (Legge finanziaria per l’anno 2012), i quali sostituiscono, rispettivamente, gli articoli 80 e 81, comma 1, della legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazioni di alimenti e bevande, vendita della stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti), nella parte in cui, con l’art. 88, introducono nuovi limiti agli orari degli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa e reintroducono l’obbligo di chiusura domenicale e festiva e, con l’art. 89, introducono nuovi limiti agli orari degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

L’Avvocatura dello Stato ritiene che le norme impugnate violino l’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della tutela della concorrenza, competenza esercitata mediante l’approvazione dell’art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, che ha eliminato i limiti e le prescrizioni agli orari e alle giornate di apertura degli esercizi commerciali.

La questione è fondata.

L’art. 3, comma 1, del decreto-legge 14 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, nel dettare le regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale − al fine di garantire condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale – individua gli ambiti normativi per i quali espressamente esclude che lo svolgimento di attività commerciali, comprese quelle di somministrazione di alimenti e bevande, possa incontrare limiti e prescrizioni.

L’art. 35, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha aggiunto la lettera d-bis) al comma 1 del citato art. 3 del d.l. n. 223 del 2006, estendendo anche alla disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva degli esercizi commerciali l’elenco degli ambiti normativi per i quali è espressamente escluso che lo svolgimento di attività commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni, sia pure solo in via sperimentale e limitatamente agli esercizi ubicati nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte.

L’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 ha modificato la lettera d-bis) del comma 1 dell’art. 3 citato, eliminando dal testo della norma le parole «in via sperimentale» e dopo le parole «dell’esercizio» l’espressione «ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte», con il risultato che le attività commerciali non possono più incontrare limiti o prescrizioni relative a orari o giornate di apertura e chiusura da rispettare, essendo tutto rimesso al libero apprezzamento dell’esercente.

Tale ultima norma è stata oggetto di impugnazione da parte di numerose Regioni che hanno lamentato la violazione della competenza legislativa residuale in materia di commercio, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Questa Corte, con sentenza n. 299 del 2012, ha ritenuto non fondate le questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni ricorrenti, dovendosi inquadrare l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 nella materia «tutela della concorrenza», riservata alla competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

La prima delle norme impugnate nel presente giudizio (art. 88 della legge regionale n. 66 del 2011) si rivolge agli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa, in relazione ai quali reintroduce l’obbligo di chiusura domenicale e festiva, salvo limitate deroghe, e prescrive il limite massimo di apertura oraria di tredici ore giornaliere, salvo la possibilità di introdurre deroghe da parte dei comuni.

La seconda delle norme impugnate (l’art. 89 della medesima legge reg. n. 66 del 2011) reintroduce limiti agli orari di apertura e chiusura al pubblico per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, da determinarsi da parte dei Comuni previa concertazione con le organizzazioni imprenditoriali del commercio e del turismo, le organizzazioni sindacali dei lavoratori del settore e le associazioni dei consumatori, maggiormente rappresentative.

Risulta palese il contrasto tra la normativa regionale impugnata e l’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del d.l. n. 223 del 2006, come novellato dall’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela della concorrenza», che, come si è innanzi precisato, ha liberalizzato gli orari e le giornate di apertura degli esercizi commerciali.

Ne consegue che gli artt. 88 e 89 della legge reg. n. 66 del 2011 violano l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 80 della legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazioni di alimenti e bevande, vendita della stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti), come sostituito dall’articolo 88 della legge della Regione Toscana 27 dicembre 2011, n. 66 (Legge finanziaria per l’anno 2012);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 81, comma 1, della legge della Regione Toscana n. 28 del 2005, come sostituito dall’articolo 89 della legge regionale n. 66 del 2011.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2013.