Ordinanza n. 307 del 2012

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ORDINANZA N. 307

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alfonso                  QUARANTA                                      Presidente

-    Franco                    GALLO                                                 Giudice

-    Luigi                      MAZZELLA                                               ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                                ”

-    Sabino                    CASSESE                                                   ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                  ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                          ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                        ”

-    Alessandro           CRISCUOLO                                               ”

-    Paolo                      GROSSI                                                      ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                 ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                                ”

-    Sergio                     MATTARELLA                                         ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla detta legge di conversione, promossi dal Tribunale di Catania con ordinanza del 5 gennaio 2012 e dal Tribunale di Cassino con ordinanza dell’11 gennaio 2012, iscritte ai numeri 106 e 116 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 23 e 24, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Paternò, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, 102, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, secondo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie) convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla detta legge di conversione;

che, come il rimettente premette, nel giudizio a quo – che ha ad oggetto una controversia relativa ad un contratto di conto corrente bancario – è applicabile il citato art. 2, comma 61, secondo periodo e, in base al meccanismo della «compensazione impropria», occorre verificare la non spettanza degli interessi versati dal correntista con risultato diverso a seconda del ricalcolo del saldo a partire dall’apertura del conto o fino all’entrata in vigore del cosiddetto decreto «Milleproroghe»;

che il detto art. 2, comma 61, secondo periodo, dispone: «In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»;

che, in punto di rilevanza, il rimettente osserva come, nel giudizio a quo, nel quale si controverte, come detto, di conti correnti bancari, la disposizione censurata elida in radice, proprio nei rapporti di conto corrente bancario, il diritto di ripetizione, ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, delle somme versate in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione del detto decreto;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente assume la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 102, primo comma, 111, primo e secondo comma e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;

che il giudice a quo evidenzia come, mentre il citato art. 2, comma 61, primo periodo, specifica, nell’ambito dei contratti di conto corrente bancario, il momento dal quale decorre il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito, il secondo periodo del medesimo comma prevede il diritto di ripetizione, sottoposto al termine estintivo di cui al primo periodo, soltanto per i versamenti successivi all’entrata in vigore della legge di conversione;

che, alla luce del costante orientamento della Corte costituzionale in base al quale la norma di interpretazione autentica è quella che impone una scelta «tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore» (sono richiamate le sentenze n. 362 del 2008 e n. 525 del 2000), il Tribunale rimettente evidenzia come il secondo periodo del comma 61 non sia annoverabile tra le norme di interpretazione autentica, in quanto non diretto ad imporre alcun significato all’art. 2935 cod. civ. tra quelli ad esso ascrivibili;

che, ad avviso del giudice a quo, il secondo periodo del comma 61 sancisce, in via automatica – senza la necessità di un’eccezione di parte – e retroattiva, la perdita del diritto maturato alla ripetizione di somme versate nel corso dei contratti di conto corrente bancario sino all’entrata in vigore della legge di conversione del d.l.;

che il rimettente assume il contrasto di detta norma con l’art. 3 Cost., in quanto la disposizione censurata lederebbe, con la propria efficacia retroattiva, il canone generale di ragionevolezza, data la esclusione, con riferimento al solo contratto di conto corrente bancario, di ogni azione restitutoria, tra cui quella concernente il diritto alla ripetizione dell’indebito maturato in capo al correntista sino all’entrata in vigore della legge di conversione, senza effettuare alcuna distinzione in ordine alla natura dei versamenti e alla parte che li abbia effettuati, mentre l’esclusione colpirebbe anche le fattispecie in cui l’indebita percezione di somme ad opera dell’istituto di credito sia stata dovuta all’esecuzione di clausole nulle per violazione di norme imperative;

che, in particolare, irragionevolmente e senza la necessità di risolvere contrasti giurisprudenziali sulla astratta configurabilità del diritto alla ripetizione di somme indebitamente versate nello svolgimento del rapporto di conto corrente bancario, il legislatore sarebbe intervenuto a discriminare, retroattivamente e limitatamente ad una singola fattispecie negoziale, la legittimità o meno di un dato comportamento – il trattenimento di somme versate in carenza di causa originaria o sopravvenuta – a seconda che quest’ultimo sia stato integrato prima o dopo un dato termine, indicato nella entrata in vigore della legge di conversione del d.l. (pertanto, non individuabile con esattezza ex ante, tenuto conto dei sessanta giorni per la conversione ai sensi dell’art. 77, terzo comma, Cost.);

che, inoltre, ad avviso del rimettente, la disposizione censurata – la quale altera i rapporti pregressi in relazione ad una sola tipologia contrattuale e discrimina retroattivamente, attraverso un riferimento temporale variabile nell’ambito dei sessanta giorni di cui all’art. 77, terzo comma, Cost., una condotta legittima da una condotta illegittima – violerebbe l’affidamento dei consociati nella stabilità della disciplina giuridica della fattispecie, ingenerando, anche dinanzi ai medesimi presupposti e requisiti fattuali e giuridici, un’ingiustificata disparità di trattamento tra chi abbia versato importi privi di causa prima del detto «non individuato» termine e chi li abbia effettuati dopo;

che, in ordine all’assunta violazione dell’art. 24, primo e secondo comma, Cost., il rimettente rimarca come la disposizione censurata, nel discriminare retroattivamente le condotte di chi abbia versato importi privi di causa prima o dopo il detto «non individuato» termine, renderebbe privo di effettività il diritto dei cittadini di agire in giudizio a tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive ormai consolidate;

che il rimettente deduce, altresì, il contrasto con l’art. 102 Cost., in quanto la norma censurata inciderebbe negativamente sulle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria, definendo sostanzialmente, con atto legislativo, l’esito di giudizi in corso;

che, quanto all’assunta violazione degli artt. 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il giudice a quo osserva come l’applicabilità della norma ai giudizi in corso vulnererebbe i principi del giusto processo e della parità delle parti, incidendo su una determinata tipologia di controversie già pendenti, a vantaggio di una delle parti del giudizio, in mancanza di «ragioni imperative d’interesse generale» (è richiamato il provvedimento CEDU, Grande Camera, del 29 marzo 2006, n. 36813, Scordino c. Italia);

che il Tribunale ordinario di Cassino, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 102, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, comma aggiunto dalla detta legge di conversione;

che il rimettente premette di essere investito di un giudizio promosso da una società nei confronti della Banca di Roma s.p.a. avente ad oggetto la domanda di accertamento della nullità delle clausole – di capitalizzazione trimestrale degli interessi, di calcolo degli interessi passivi, in riferimento alle condizioni d’uso, di applicazione di commissioni a titolo di «massimo scoperto» – relative ad un contratto di conto corrente, sottoscritto in data 20 dicembre 1990 ed estinto il 19 settembre 2006, nonché la domanda di accertamento del diritto della società stessa alla ripetizione dell’indebito versato;

che, nel costituirsi, la convenuta aveva chiesto il rigetto delle domande;

che, nel corso del giudizio, veniva espletata una consulenza tecnica con esito favorevole alle prospettazioni della società;

che, all’udienza di precisazione delle conclusioni, la banca aveva eccepito la prescrizione dei diritti invocati dall’attrice sulla base dell’entrata in vigore, nelle more del giudizio, dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito dalla legge n. 10 del 2011;

che il detto art. 2, comma 61, dispone: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva come dalla sollevata questione di legittimità costituzionale dipenda ogni valutazione in merito alla tempestiva eccezione di prescrizione dell’azione, proposta dalla società;

che, in particolare, se il primo periodo della norma censurata si interpretasse nel senso che la prescrizione decennale decorre non dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente, ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto, la conseguenza sarebbe l’estinzione per prescrizione del diritto dell’attrice alla restituzione degli importi versati;

che, al riguardo, il rimettente pone in evidenza la natura di norma di interpretazione autentica, con applicazione retroattiva, del citato art. 2, comma 61, primo periodo;

che, ad avviso del giudice a quo, se il secondo periodo della norma censurata si interpretasse nel senso che, nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente, ciascuna delle parti può non restituire gli importi già versati, anche se non dovuti, la conseguenza sarebbe il rigetto totale della domanda di ripetizione, in quanto il rapporto bancario in conto corrente è stato chiuso consensualmente dalle parti in data 19 settembre 2006 ed i versamenti sono tutti precedenti alla data di entrata in vigore della legge n. 10 del 2011;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente assume la violazione degli artt. 3, 24, e 102 Cost.;

che, in ordine alla violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di ragionevolezza, diversamente dal consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte – secondo cui una legge interpretativa può essere adottata dal legislatore solo nel caso in cui esistano dubbi sulla portata di attuazione della norma di riferimento o contrasti giurisprudenziali, ovvero quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le probabili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore – la disposizione censurata sarebbe stata irragionevolmente emanata in mancanza di alcuna incertezza interpretativa in tema di decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione nei contratti di conto corrente bancario;

che, infatti, la Corte di cassazione, con la sentenza, resa a sezioni unite civili, il 2 dicembre 2010, n. 24418, in conformità all’indirizzo prevalente della stessa giurisprudenza di legittimità e di quella di merito, ha individuato il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito nella data di chiusura del conto;

che, con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza, il rimettente assume che, se la norma censurata si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso, si avrebbe una ingiustificata disparità di trattamento;

che, quanto all’assunto contrasto con l’art. 24 Cost., il giudice a quo ritiene che, se la norma censurata si applicasse anche per il passato e ai giudizi in corso, rendendo retroattivamente legittimo ciò che era illegittimo, si lederebbe non solo l’affidamento dei consociati nella stabilità della disciplina giuridica delle fattispecie, ma si renderebbe privo di effettività il diritto dei cittadini di agire in giudizio a tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive;

che, in ordine alla prospettata violazione dell’art. 102 Cost., il rimettente ritiene che la norma censurata inciderebbe negativamente sulle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria, travolgendo gli effetti di pronunce divenute irrevocabili e definendo, sostanzialmente con atto legislativo, l’esito dei giudizi in corso.

Considerato che il Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Paternò, e il Tribunale ordinario di Cassino sollevano questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto in sede di conversione, prospettando, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24, 102, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione;

che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia;

che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 78 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di detto art. 2, comma 61;

che, per effetto di tale sentenza, la questione di legittimità costituzionale della medesima norma, sollevata dagli odierni rimettenti, è divenuta priva di oggetto e, pertanto, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

che a tale conclusione si giunge sul rilievo che la questione in esame riguarda la stessa norma della quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale con la richiamata sentenza n. 78 del 2012, sicché, in forza dell’efficacia ex tunc di tale pronuncia, è preclusa al giudice a quo una nuova valutazione della perdurante rilevanza della questione stessa, unica valutazione che potrebbe giustificare la restituzione degli atti al giudice rimettente (da ultimo, ordinanze nn. 146 e 76 del 2012; nn. 312, 85, 55 e 19 del 2011; nn. 298 e 222 del 2010).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, sollevata, in riferimento – nel complesso – agli articoli 3, 24, 102, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Paternò, e dal Tribunale ordinario di Cassino, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012.