Sentenza n. 295 del 2012

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SENTENZA N. 295

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                                     Presidente

-           Franco                         GALLO                                                              Giudice

-           Luigi                           MAZZELLA                                                            "

-           Gaetano                      SILVESTRI                                                              "

-           Sabino                         CASSESE                                                                 "

-           Giuseppe                     TESAURO                                                                "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                                                        "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                                      "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                                           "

-           Paolo                           GROSSI                                                                    "

-           Giorgio                       LATTANZI                                                               "

-           Aldo                           CAROSI                                                                    "

-           Marta                          CARTABIA                                                              "

-           Sergio                         MATTARELLA                                                        "

-           Mario Rosario             MORELLI                                                                 "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l’art. 1, comma 325, della legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, nel procedimento tra C. G. e il Ministero della giustizia ed altro, con ordinanza del 1° febbraio 2012, iscritta al n. 73 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 1° febbraio 2012, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sede di Reggio Calabria ha proposto, con riferimento agli articoli 2, 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l’art. 1, comma 325, della legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005).

Espone il Tribunale amministrativo rimettente che la ricorrente, magistrato in servizio presso il Tribunale di Reggio Calabria con funzione di giudice, aveva chiesto il riconoscimento del proprio diritto alla restituzione dell’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981, così come modificato dall’art. 1, comma 325, della legge n. 311 del 2004, relativa al periodo di assenza obbligatoria di cui all’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), oggi disciplinata dagli artt. 16 e 17 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), e la conseguente condanna delle amministrazioni resistenti al versamento dell’indennità non corrisposta.

Osserva il rimettente che la risoluzione della controversia dipende, a suo avviso, da una unica questione di diritto, costituita dalla interpretazione della modifica che il citato 1, comma 325, ha apportato all’art. 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981: norma la cui natura non retroattiva è stata affermata in una recente pronuncia dal Consiglio di Stato, in contrasto con l’orientamento precedentemente adottato dal rimettente.

Ciò posto, dopo aver disatteso le argomentazioni odierne della parte ricorrente, tese a reintrodurre ulteriori argomenti di valutazione della portata retroattiva della norma in esame le quali, ancorché condivise dal Tar rimettente, contrastano con l’orientamento consolidato del giudice di appello, afferma di non condividere le valutazioni da quest’ultimo pure espresse circa la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma in esame.

Il rimettente, invero, afferma di non ignorare che la giurisprudenza della Corte costituzionale è ferma nel ritenere non illegittima costituzionalmente la previsione vigente prima della riforma del 2004, secondo la quale l’astensione obbligatoria per maternità sospende il trattamento economico relativo all’indennità giudiziaria.

Tuttavia, ad avviso del Tar, sussistono i presupposti per investire nuovamente la Corte costituzionale dell’esame della questione, nell’auspicio di un ripensamento e della elaborazione di una soluzione più aderente alle specifiche esigenze di tutela dei valori costituzionali che si espongono a seguire.

Nella fattispecie esaminata dalla Corte nel corso del giudizio, conclusosi con la sentenza n. 137 del 2008, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 nel testo risultante anteriormente alla modifica operata con il citato art. 1, comma 325, era stata sollevata, esclusivamente (per violazione dell’art. 3 della Costituzione), sotto il profilo specifico della disparità di trattamento tra il personale di magistratura ed il personale addetto alle cancellerie ed agli uffici giudiziari.

Ad avviso del rimettente, invece, la fattispecie normativa è sospetta di incostituzionalità per profili ulteriori e diversi rispetto a quelli già a suo tempo denunciati e ritenuti manifestamente infondati dalla Corte.

In primo luogo, il rimettente censura la norma in quanto determinerebbe disparità di trattamento, in violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione. Secondo il Tribunale, oggetto del dubbio di legittimità sarebbe non soltanto la norma di cui all’art. 3, primo comma, della l. 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo risultante anteriormente alla modifica operata con l’art. 1, comma 325, della legge n. 311 del 2004, ma quest’ultima norma, nella parte in cui è interpretata, secondo il sopra riportato “diritto vivente”, nel senso che non ha reso retroattivo il riconoscimento della spettanza dell’indennità giudiziaria al personale in congedo per maternità in periodi anteriori alla sua entrata in vigore. In tal modo, secondo il Tar, sarebbe stato violato il precetto di cui all’art. 3 della Costituzione, perché sarebbe stata introdotta una manifesta disparità di trattamento all’interno del personale di magistratura, arbitrariamente suddiviso in ragione del periodo temporale della astensione per maternità, nonostante l’identità di situazioni di tutela e l’identità di funzioni giurisdizionali svolte.

La disparità di trattamento operata dal combinato disposto dell’art. 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981 e dall’art. 1, comma 325, della legge n. 311 del 2004, sarebbe particolarmente grave ed inaccettabile laddove si consideri che l’indennità giudiziaria nel periodo anteriore all’entrata in vigore del predetto art. 1, negata alle lavoratrici magistrato in maternità, sarebbe riconosciuta ai magistrati collocati fuori ruolo per incarichi extra-giudiziari, nonostante che gli stessi non prestino la propria attività nell’ambito di quelle specifiche funzioni giurisdizionali al sollievo delle quali l’indennità è istituita. Il collocamento fuori ruolo per incarichi extra giudiziari o incarichi speciali, invero, riferisce il rimettente, non è espressamente elencato nel citato art. 3, primo comma, tra le condizioni – tassativamente elencate e di stretta interpretazione, avendo natura di eccezione rispetto alla regola generale – di aspettativa, astensione facoltativa, congedo o sospensione dal servizio, da escludersi ai fini del computo dell’indennità.

Secondo il Tar rimettente, inoltre, la disparità di trattamento e l’ingiustizia manifesta della diversa condizione dei medesimi magistrati si apprezzerebbero maggiormente considerando che, nella prassi concreta degli uffici giudiziari, il periodo in astensione non diminuisce la quantità di lavoro che il magistrato interessato è chiamato ad assicurare, traducendosi solitamente in un mero differimento delle cause a ruolo, che dovranno comunque essere trattate al rientro dall’aspettativa.

Un ulteriore profilo di manifesta disparità di trattamento “interna” alla norma sarebbe, poi, ravvisabile nell’elencazione delle ipotesi di esclusione: esse sarebbero tutte accumunate da una circostanza di riferibilità della condizione di temporaneo mancato esercizio delle funzioni giudiziarie a scelta del magistrato (congedo straordinario o aspettativa).

Anche l’astensione facoltativa di cui agli artt. 32 e 47, commi 1 e 2, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, sarebbe frutto di un libero apprezzamento del genitore, finalizzato alla cura della prole; la sospensione per qualsiasi causa sarebbe, infine, ipotesi residuale che raccoglie le circostanze relative, ad esempio, a misure disciplinari il cui mancato computo ai fini dell’indennità giudiziaria sarebbe comunque sorretto da un criterio oggettivo.

Pertanto, secondo il Tar di Reggio Calabria, pur nella doverosa considerazione dei margini di discrezionalità politica del legislatore, è certamente irrazionale l’inclusione dell’aspettativa obbligatoria per maternità tra i periodi di esclusione del servizio dal computo della indennità giudiziaria, perché non sussisterebbe una possibilità di scelta per il genitore magistrato tra l’astenersi o meno dal lavoro, né potrebbe ravvisarsi in essa alcuna ipotesi anche latamente sanzionatoria o disciplinare.

In secondo luogo, viene denunciata la violazione degli artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 37 Cost.

In un contesto etico e sociale caratterizzato da una forte tendenza alla dissociazione tra dimensione personale-affettiva ed ambiente produttivo (già di per sé contrastante con il modello sociale che l’art. 2 della Costituzione presuppone), il disconoscimento dell’indennità giudiziaria per il periodo di astensione obbligatoria per maternità assumerebbe una forte e chiara connotazione simbolica, lesiva dei diritti della persona e dell’individuo e di quella specifica tutela che va riservata alla donna lavoratrice.

Ciò contrasterebbe con la tutela della dignità dell’individuo, sia di per sé che nelle due formazioni sociali in cui si realizza, ovvero la famiglia ed il contesto lavorativo, che è invece obbligo della Repubblica ex art. 2 della Costituzione assicurare.

La norma, inoltre, si porrebbe in contrasto con gli articoli 29 e 30 e 31 della Costituzione, essendo compromessa la tutela della famiglia, dei genitori e dei minori.

Il rimettente auspica che la Corte rimediti criticamente quanto ritenuto nell’ordinanza n. 137 del 2008, ove si nega l’esistenza di quella disparità di trattamento che, invece, emergerebbe dai lavori preparatori, nei quali si leggerebbe chiaramente l’intento dei proponenti di eliminare una irrazionale disparità di trattamento tra il personale di magistratura ed il personale addetto alle cancellerie degli uffici giudiziari, nei quali si evidenzierebbe come l’attribuzione della indennità è stata “scollegata” dall’ambito del rischio professionale e le è stata riconosciuta natura retributiva, per poi essere riconosciuta normativamente ai magistrati ordinari distaccati per funzioni amministrative (così come ai magistrati del Consiglio di Stato, dei Tar, della Corte dei Conti, dei Tribunali militari), oltre che delle cancellerie e segreterie giudiziarie e delle magistrature speciali.

Nei limiti in cui è interpretabile come non retroattiva, dunque, la norma diverrebbe causa di una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi normative di struttura analoga, nelle quali si è riconosciuto l’applicabilità della nuova disposizione a fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore.

2. – È intervenuto nel giudizio incidentale il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo la manifesta inammissibilità e l’infondatezza della questione proposta.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, invero, l’ordinanza di rimessione riproporrebbe questioni di legittimità costituzionale identiche rispetto a quelle già esaminate dalla Corte costituzionale in diverse pronunce, che hanno escluso la sussistenza di tutti i profili di illegittimità denunciati dal rimettente, e presupporrebbe, ingiustificatamente, che la modifica normativa operata dal legislatore nel 2004 avrebbe posto rimedio ad una precedente situazione di illegittimità costituzionale, laddove, al contrario, il sistema stabilito dal legislatore precedente non presenterebbe alcun profilo di criticità.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sede di Reggio Calabria dubita, con riferimento agli articoli 2, 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l’art. 1, comma 325, della legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005).

L’art. 3 della legge n. 27 del 1981 prevede, per i magistrati ordinari, una speciale voce retributiva «in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività». Tale voce, nell’iniziale formulazione della disposizione, era esclusa nei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione obbligatoria per maternità e di astensione facoltativa e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa.

In seguito, per effetto della modifica apportata dall'art. 1, comma 325, legge n. 311 del 2004, tra le situazioni in cui l’indennità non è riconosciuta è stata esclusa quella dell’astensione obbligatoria per maternità.

Oggetto della presente questione è, al contempo, la norma nella sua formulazione originaria e quella di modifica nella parte in cui – secondo l’interpretazione ormai consolidata dal Consiglio di Stato e, dunque, in base al diritto vivente – anziché disporre in modo retroattivo il riconoscimento dell’indennità giudiziaria durante i periodi di astensione obbligatoria a tutte le lavoratrici in maternità, ha riconosciuto tale spettanza solo per l’avvenire.

Tale complessiva disciplina è ritenuta, in primo luogo, discriminatoria rispetto ad altra ipotesi, normativamente prevista, nella quale si realizzerebbe una sospensione delle funzioni giurisdizionali per le quali l’indennità sarebbe stata prevista.

In secondo luogo, il rimettente, reputa la disciplina irragionevole, atteso che, per il carattere necessitato della sospensione della prestazione lavorativa in caso di maternità, la condotta del magistrato in tale stato non potrebbe ritenersi al medesimo addebitabile.

Il Tribunale, infine, denuncia il contrasto della norma in esame con i principi costituzionali dettati dagli artt. 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, in materia di protezione della famiglia, della maternità e dell’infanzia.

2. – Preliminarmente, in punto di ammissibilità, deve condividersi l’opzione ermeneutica adottata dal rimettente, circa l’irretroattività del riconoscimento dell’indennità giudiziaria ai magistrati in astensione obbligatoria.

Tale interpretazione, ormai consolidata nella giurisprudenza amministrativa, è stata già condivisa da questa Corte nella sentenza n. 137 del 2008 e nella successiva ordinanza n. 346 del 2008, nelle quali è stato affermato che «contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, non è possibile dedurre dall’intervento dell’art. 1, comma 325, della legge finanziaria per l’anno 2005 a favore dei magistrati assenti per maternità, l’intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparità di trattamento» e che «la novella citata costituisce invece manifestazione della discrezionalità del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni legislative».

3. – Quanto alle questioni sollevate con riferimento al principio di uguaglianza e di ragionevolezza, deve in primo luogo evidenziarsi che il richiamo dell’art. 2, Cost., essendo privo di motivazione, deve considerarsi del tutto pleonastico.

In relazione al principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., questa Corte ha escluso che la norma censurata determini una disparità di trattamento: a) tra le donne magistrato e la generalità delle dipendenti statali (sentenza n. 238 del 1990); b) tra le donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternità e i magistrati in servizio (sentenza n. 407 del 1996); c) tra magistrati donne e magistrati uomini (sentenza n.106 del 1997); d) tra le donne magistrato e il personale della cancelleria e delle segreterie giudiziarie, al quale tale provvidenza è stata estesa (ordinanze n. 290 del 2006 e nn. 137 e 346 del 2008).

4. – Rispetto a tale orientamento, il rimettente ritiene di poter evidenziare un nuovo profilo di disparità di trattamento sostenendo che l’indennità giudiziaria, negata al personale in astensione per maternità, è riconosciuta (a suo avviso in modo contraddittorio) ai magistrati collocati fuori ruolo per incarichi extra-giudiziari, ancorché gli stessi non prestino la propria attività nell’ambito di quelle specifiche funzioni giurisdizionali in relazione alle quali l’indennità è istituita.

La questione non è fondata.

Lo status dei magistrati collocati fuori ruolo, utilizzato dal rimettente come termine di raffronto, è del tutto disomogeneo rispetto alla fattispecie disciplinata dalla norma in esame. Invero, mentre l’astensione obbligatoria per maternità determina la sospensione della prestazione lavorativa da parte del magistrato, seppur giustificata da validi motivi, il collocamento fuori ruolo per lo svolgimento di funzioni non giudiziarie non produce l’effetto di alcuna sospensione delle prestazioni lavorative e professionali del magistrato, ma determina la mera sostituzione dell’ordinaria attività giurisdizionale con funzioni diverse.

In tutti i casi in cui il legislatore reputa necessario affidare a magistrati compiti di particolare delicatezza, al servizio di alcuni organi o istituzioni (quali, ad esempio, la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, il Governo, il Consiglio superiore della magistratura), anche al fine di garantire l’imparzialità e la competenza giuridica nello svolgimento di tali mansioni, distogliendoli temporaneamente dalle loro funzioni giurisdizionali, la prestazione lavorativa di questi rappresenta, comunque, una delle molteplici modalità di esplicazione della loro attività professionale (che, peraltro, già contempla, come è noto, diverse attività non giurisdizionali).

D’altra parte, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che l’indennità giudiziaria non è specificamente connessa né al rischio professionale, né alla attività decisoria in sé considerata, ma fa parte del trattamento complessivo globalmente spettante al magistrato, essendo collegata al servizio istituzionale da questi svolto (sentenza n. 57 del 1990) e finalizzata alla valorizzazione di tutte le funzioni giudiziarie (sentenza n. 119 del 1991).

Essa, dunque, non è corrisposta in relazione alla sola attività giurisdizionale propriamente detta, ma a compenso di tutte le funzioni in cui si articola l’attività giudiziaria. Cosicché, una sua eventuale sospensione per i magistrati fuori ruolo comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra questi e i loro colleghi in ruolo.

5. – Sotto il profilo degli altri parametri citati, deve escludersi che la mancata erogazione della indennità giudiziaria valga a far considerare il trattamento complessivamente assicurato alla donna magistrato insufficiente ai fini della tutela garantita alla famiglia ed ai figli dagli artt. 29 e 30, Cost, ed alla donna lavoratrice dall’art. 37, Cost. Invero, in base a quanto già più volte affermato da questa Corte (da ultimo, sentenza n. 290 del 2006), la tutela della famiglia e dei minori, di cui agli artt. 29 e 30, Cost. e quella della donna lavoratrice di cui all’art. 37, Cost. ? e, dunque, anche quella della famiglia, della maternità e dell’infanzia di cui all’art. 31, Cost. – non impongono necessariamente la corresponsione al magistrato in maternità, oltre che dello stipendio, anche dell'indennità giudiziaria.

In linea con quanto da questa Corte già enunciato (ordinanze n. 137 e 346 del 2008), ed anche con riferimento ai nuovi profili di censura, deve, dunque, ribadirsi che, con la riforma dell’art. 3 della legge n. 27 del 1981, il legislatore non ha inteso porre rimedio ad alcun profilo di illegittimità costituzionale della precedente disciplina «costituendo, piuttosto, la novella citata la manifestazione della discrezionalità del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), in combinato disposto con l’art. 1, comma 325, legge 30 novembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012.