Ordinanza n. 232 del 2012

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ORDINANZA N. 232

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

-           Sabino                         CASSESE                                                "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

-           Giorgio                        LATTANZI                                              "

-           Aldo                            CAROSI                                                   "

-           Marta                           CARTABIA                                             "

-           Sergio                          MATTARELLA                                       "

-           Mario Rosario              MORELLI                                                "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), 6 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e 99 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con ordinanza del 3 aprile 2009, dalla Commissione tributaria regionale di Bari con due ordinanze del 24 settembre 2010 e del 5 novembre 2010, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma con ordinanza del 28 aprile 2010, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia del 18 maggio 2011 e dalla Commissione tributaria provinciale di Foggia con ordinanza dell’8 aprile 2011, ordinanze rispettivamente iscritte al n. 190 del registro ordinanze 2009 e ai nn. 63, 64, 68, 195 e 262 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2009 e 16, 17, 41 e 53, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di Bartolini Spa ed altre, della Fida Spa (fuori termine), nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 settembre 2012 e nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi l’avvocato Andrea Bodrito per la Bartolini Spa ed altre e l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con sei distinte ordinanze, iscritte rispettivamente nel reg. ord. n. 190 del 2009 e nn. 63, 64, 68, 195 e 262 del 2011, cinque Commissioni tributarie hanno sollevato, con riferimento ad anni d’imposta dal 2001 al 2007, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), in relazione agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione;

che, inoltre, la Commissione tributaria provinciale di Parma (reg. ord. n. 68 del 2011) ha censurato anche l’art. 6 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e l’art. 99 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), invocando altresì gli artt. 2, 4 e 41, primo comma, Cost.;

che l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997 stabilisce che l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) «ha carattere reale e non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi», mentre l’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha dettato norme sulla deduzione dall’IRES e dall’IRPEF della quota di IRAP relativa al costo del lavoro e degli interessi, prevedendo che: «1. A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione ai sensi dell’articolo 99, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, un importo pari al 10 per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati. 2. In relazione ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008, per i quali è stata comunque presentata, entro il termine di cui all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, istanza per il rimborso della quota delle imposte sui redditi corrispondente alla quota dell’IRAP riferita agli interessi passivi ed oneri assimilati ovvero alle spese per il personale dipendente e assimilato, i contribuenti hanno diritto, con le modalità e nei limiti stabiliti al comma 4, al rimborso per una somma fino ad un massimo del 10 per cento dell’IRAP dell’anno di competenza, riferita forfetariamente ai suddetti interessi e spese per il personale, come determinata ai sensi del comma 1»;

che l’art. 99 del d.P.R. n. 917 del 1986 stabilisce, al comma 1, che: «Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento»;

che, con la prima delle sei ordinanze indicate in epigrafie, emanata il 3 aprile 2009 (reg. ord. n. 190 del 2009), la Commissione tributaria provinciale di Bologna, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, nella parte in cui non consente ai soggetti passivi dell’IRAP di dedurre tale imposta dall’imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e dell’Imposta sul reddito delle società (IRES), con riferimento agli articoli 3, 35 e 53 Cost.;

che il giudice rimettente riferisce che il giudizio principale ha ad oggetto un ricorso presentato avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’ufficio all’istanza per l’ottenimento del rimborso, oltre interessi, delle maggiori imposte IRPEG-IRES pagate negli anni 2003, 2004 e 2005, a motivo della mancata possibilità di dedurre dall’imponibile IRPEG-IRES la quota di IRAP corrispondente al costo del lavoro e agli oneri finanziari;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, la Commissione tributaria provinciale di Bologna osserva che l’indeducibilità del 4,25 per cento dei costi di lavoro e di capitale dal reddito soggetto all’imposta personale, prevista dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008 sia costituzionalmente illegittima in quanto sarebbe violato: l’art. 3 Cost., con riguardo al principio di uguaglianza, perché «viene sottoposto a maggiore tassazione chi faccia ricorso alla forza lavoro e al capitale di prestito, rispetto a chi invece non ne faccia uso»; l’art. 35, primo comma, Cost., in quanto la norma violerebbe «il principio della tutela del lavoro, in relazione alla penalizzazione del ricorso al fattore della produzione “lavoro”, aggravato e quindi “scoraggiato”, da una maggiore tassazione»; l’art. 53, primo comma, Cost., perché l’indeducibilità dell’IRAP dall’imposta personale comporterebbe che due imprese, una con costi di lavoro e/o interessi passivi, l’altra priva, si troverebbero a corrispondere imposte personali in misura diversa, in quanto sulla prima inciderebbero in più sull’imponibile, nella misura del 4,25 per cento i costi di lavoro e di oneri finanziari non deducibili dall’IRAP, sulla seconda no;

che, quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria provinciale di Bologna osserva che il giudizio principale non può essere definito in assenza della risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008;

che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il 28 luglio 2009, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza della questione;

che, quanto all’ammissibilità, la difesa dello Stato osserva che il giudice rimettente si limiterebbe a trascrivere l’eccezione di illegittimità costituzionale così come sollevata dalla parte ricorrente, senza fornire quindi alcuna autonoma motivazione in merito alla non manifesta infondatezza;

che, nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato rileva la manifesta infondatezza della questione, sia perché la legge ha sempre «tendenzialmente escluso la deducibilità dall’imponibile di oneri di natura fiscale», sia in base alla giurisprudenza costituzionale, che lascerebbe alla valutazione discrezionale del legislatore il compito di individuare gli oneri deducibili dalle imposte;

che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il 28 luglio 2009, si è costituita in giudizio la Bartolini s.p.a., ricorrente nel giudizio principale, sottolineando la illegittimità costituzionale, in relazione agli articoli 3, 35 e 53 Cost., dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, nella parte in cui sancisce che l’IRAP, anche afferente il costo del lavoro e gli interessi passivi, «non è deducibile dalle imposte sui redditi»;

che la Commissione tributaria regionale di Bari, con la seconda e la terza delle ordinanze indicate in epigrafe, una del 24 settembre 2010 (reg. ord. n. 63 del 2011) e l’altra del 5 novembre 2010 (reg. ord. n. 64 del 2011), di identico tenore, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 35 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997;

che il giudice rimettente riporta che due imprese di Bari, la Ionica Trasporti s.r.l. (reg. ord. n. 63 del 2011) e l’Abruzzese Trasporti s.r.l. (reg. ord. n. 64 del 2011), avevano presentato ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari avverso il silenzio-rifiuto alla restituzione d’imposta dell’Agenzia delle entrate, domandando il rimborso dell’indebito versamento dell’imposta IRES, per gli anni 2003, 2004, 2005 e 2006, e che i ricorsi erano stati rigettati;

che entrambe le ricorrenti hanno proposto appello, eccependo l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, contestando l’interpretazione data dai giudici di prime cure all’ordinanza n. 258 del 2009 della Corte costituzionale;

che il giudice rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, perché l’indeducibilità del 4,25 per cento dei costi di lavoro e di capitale dal reddito soggetto all’imposta personale sarebbe in contrasto con i seguenti articoli della Costituzione: 3 (principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge violato, laddove viene sottoposto a maggiore tassazione chi faccia ricorso alla forza lavoro e al capitale di prestito, rispetto a chi invece non ne faccia uso), 35 (principio della tutela del lavoro aggravato e quindi scoraggiato, da una maggiore tassazione) e 53 (principio della capacità produttiva, in quanto l’indeducibilità dell’IRAP dall’imposta personale comporta che il 4,25 per cento del costo del lavoro e degli interessi passivi aumenti l’imponibile soggetto al reddito d’impresa, per cui i predetti costi, deducibili al 100 per cento, ai fini dell’imposta stessa, dopo tale variazione, conseguente all’indeducibilità IRAP, diventano, di fatto, deducibili dal tributo personale solo nella misura del 95,75 per cento);

che, con atti depositati presso la cancelleria di questa Corte in data 3 maggio 2011, si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni;

che con atti depositati presso la cancelleria di questa Corte il 14 aprile 2011, si sono costituite in giudizio la Ionica Trasporti s.r.l., ricorrente nel giudizio principale di cui alla reg. ord. n. 63 del 2011, e la Abruzzese Trasporti s.r.l., ricorrente nel giudizio principale di cui alla reg. ord. n. 64 del 2011, rimarcando la illegittimità costituzionale, in relazione agli articoli 3, 35 e 53 Cost., dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, nella parte in cui sancisce che l’IRAP, anche afferente il costo del lavoro e gli interessi passivi, «non è deducibile dalle imposte sui redditi»;

che la Commissione tributaria provinciale di Parma, con la quarta delle ordinanze indicate in epigrafe, emanata il 28 aprile 2010 (reg. ord. n. 68 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 35, 41, primo comma, e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, dell’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008 e dell’art. 99 del d.P.R. n. 917 del 1986;

che il giudice rimettente riporta che la Borsea 3000 s.r.l. ha presentato in data 17 gennaio 2005 una istanza di restituzione della maggiore IRPEG pagata relativamente agli anni dal 2001 al 2003 a causa dell’indeducibilità dell’imposta IRAP, e che, contro il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza, la società ricorrente ha presentato il ricorso n. 598/05, depositato in data 26 aprile 2005, lamentando, in particolare, che l’indeducibilità dell’IRAP nella determinazione del reddito imponibile IRPEG, stabilita dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, comporterebbe un versamento di imposte IRPEG su redditi inesistenti in violazione dell’art. 53 Cost. per mancanza del necessario presupposto della capacità contributiva;

che il giudice riemettente ritiene dunque rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata dalla società ricorrente;

che, quanto alla rilevanza, in caso di caducazione della normativa che consente la deduzione, ai fini delle imposte sui redditi, del solo 10 per cento dell’imposta IRAP, tornerebbero in vigore i principi generali della deducibilità integrale dei costi inerenti alla produzione del reddito, con conseguente diritto all’accoglimento della domanda di rimborso;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il combinato disposto dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997 e dell’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, contrasterebbe con: i principi di razionalità, di ragionevolezza, di certezza del diritto e di affidamento, garantiti dall’art. 2 Cost. sotto forma di diritti inviolabili (dell’uomo ma anche delle persone giuridiche), perché l’indeducibilità dell’IRAP al 90 per cento sarebbe priva di qualsiasi giustificazione sistematica in relazione ai principi generali enunciati dall’art. 64 previgente e dall’art. 99, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 (come modificato dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344 «Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80»), non potendosi qualificare l’IRAP né come una imposta sui redditi, né come una imposta senza rivalsa per il 10 per cento ed a rivalsa per il 90 per cento; il principio di effettività dell’uguaglianza e rimozione degli ostacoli all’organizzazione economica del Paese (art. 3 Cost.) in quanto «i cittadini percettori di redditi diversi da quelli derivanti dall’esercizio di imprese o professioni pagano le imposte su redditi netti da spese, mentre gli operatori economici non possono dedurre il 90 per cento della spesa relativa all’IRAP e sono, oltre che discriminati, anche disincentivati dal lavoro autonomo», e in quanto fra gli operatori economici, tutti parimenti soggetti all’IRAP, si avrebbe «una disparità di trattamento indotta dalla diversa incidenza del costo dei fattori della produzione sul reddito d’impresa, giacché la deduzione del 10 per cento viene applicata forfetariamente a coloro che hanno zero costi di personale e di costo del danaro, come alle imprese molto indebitate (e al limite, fallite) e alle imprese manifatturiere»; la tutela del lavoro in tutte le sue forme (artt. 4 e 35 Cost.), perché l’IRAP, per la parte che rende indeducibili i costi di manodopera superiori al forfait legislativo, scoraggerebbe l’impiego di lavoratori subordinati e parasubordinati, in violazione della incentivazione al lavoro (art. 4 Cost.) e della tutela del lavoro, imposta dall’art. 35 Cost.;

che, inoltre, l’obbligo di pagare le imposte sui redditi senza poter dedurre il costo dell’IRAP costituirebbe «un disincentivo alla intrapresa del lavoro professionale e di quello imprenditizio ed un vincolo alla libertà dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.)», e la normativa censurata contrasterebbe anche con l’art. 53 Cost., in quanto determinerebbe «in modo fittizio il reddito dei professionisti, degli imprenditori individuali e delle società (nonché dei soci per le ricadute degli utili societari sul reddito personale), che è invece ridotto dalla incidenza del 90 per cento dell’imposta regionale»;

che il giudice rimettente censura, dunque, tre disposizioni: l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, nella parte in cui dispone che l’ IRAP «non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi»; l’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nella parte in cui limita la deducibilità dell’IRAP al 10 per cento, disponendo che «È ammesso in deduzione ai sensi dell’articolo 99, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, un importo pari al 10 per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell’articolo 11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997»; l’art. 99 del testo unico approvato con d.P.R. n. 917 del 1986, come modificato dal decreto legislativo n. 344 del 2003 e dall’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, nella parte in cui dispone che «Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento. A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione un importo pari al 10 per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive determinata»;

che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 10 maggio 2011, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza della questione, con argomenti analoghi a quelli già rilevati con riferimento al giudizio di cui alle ordinanze reg. ord. n. 190 del 2009 e nn. 63 e 64 del 2011;

che, quanto all’ammissibilità, la questione sollevata in relazione all’art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 185 del 2008, che si riferisce al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, difetterebbe di rilevanza, in quanto il giudizio principale, secondo quanto riferito dal giudice rimettente, ha ad oggetto una richiesta di rimborso per gli anni 2001, 2002 e 2003 e che, quindi, potrebbe essere rilevante solo una questione riferita all’art. 6, comma 2, del medesimo decreto-legge n. 185 del 2008, che disciplina le richieste di rimborso per periodi di imposta anteriori al 2008, ma tale ipotesi neanche ricorrerebbe nel caso in questione, perché l’istanza sarebbe stata presentata dalla ricorrente nel 2005, e dunque non in applicazione dell’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008;

che, inoltre, sarebbero inammissibili per genericità del parametro le censure riferite agli artt. 2, 3, 4, 35 e 41 Cost., e, per insufficiente motivazione, quelle riferite all’art. 53 Cost.;

che, in data 29 agosto 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, rilevando che, successivamente alla proposizione della questione, è entrato in vigore l’art. 2 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha dettato norme in materia di «Agevolazioni fiscali riferite al costo del lavoro nonché per donne e giovani», poi integrato dall’art. 4, comma 12, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento);

che, secondo la difesa dello Stato, tali modifiche, intervenendo in materia di deducibilità dell’IRAP dall’imponibile del reddito IRES-IRPEG, avrebbero determinato un «definitivo e radicale mutamento del quadro normativo», talché la questione sarebbe divenuta priva di rilevanza o comunque andrebbe «rimessa al giudice a quo per nuovo esame della rilevanza»;

che la Commissione tributaria regionale Lombardia, con la quinta ordinanza delle sei indicate in epigrafe, emanata il 18 maggio 2011 (reg. ord. n. 195 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 35 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997;

che il giudice rimettente riporta che la Fida s.p.a. aveva presentato alla Commissione tributaria provinciale di Milano ricorso contro il silenzio-rifiuto opposto dall’Ufficio all’istanza di rimborso delle maggiori imposte IRPEG-IRES pagate negli anni 2003, 2004, 2005, 2006, oltre interessi, a motivo della mancata possibilità di dedurre dall’imponibile IRPEG-IRES la quota di IRAP corrispondente al costo del lavoro e agli oneri finanziari, e che la Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 93/5/2010 depositata il 23 marzo 2010, aveva respinto il ricorso, ragione per la quale la Fida s.p.a. ha appellato la sentenza dinanzi al giudice rimettente, sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997;

che la Commissione tributaria regionale ritiene la questione non manifestamente infondata, perché l’indeducibilità del 4,25 per cento dei costi di lavoro e di capitale dal reddito soggetto ad imposta personale sarebbe in contrasto con: l’art. 3, comma 1, Cost., quanto al principio di uguaglianza, perché è sottoposto a maggiore tassazione chi faccia ricorso alla forza lavoro e al capitale di prestito, rispetto a chi invece non ne faccia uso; l’art. 35, comma 1, Cost., in relazione alla penalizzazione del ricorso al fattore della produzione «lavoro», aggravato e quindi «scoraggiato», da una maggiore tassazione; l’art. 53 Cost., in quanto l’indeducibilità dell’IRAP dall’imposta personale comporterebbe che il 4,25 per cento del costo del lavoro e degli interessi passivi aumenti l’imponibile soggetto al reddito d’impresa;

che la questione sarebbe rilevante in quanto il giudizio principale non può essere definito in assenza della risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 6 del decreto-legge 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009;

che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 18 ottobre 2011, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza della questione, con argomenti analoghi a quelli già rilevati con riferimento al giudizio di cui alle ordinanze reg. ord. n. 190 del 2009 e nn. 63, 64 e 68 del 2011;

che, in data 5 luglio 2012, la Fida s.p.a. ha depositato, fuori termine, atto di costituzione in giudizio;

che, in data 29 agosto 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, osservando che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 2 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, poi integrato dall’art. 4, comma 12, del decreto-legge n. 16 del 2012, vi sarebbe stato un «definitivo e radicale mutamento del quadro normativo», talché la questione sarebbe divenuta priva di rilevanza o comunque andrebbe «rimessa al giudice a quo per nuovo esame della rilevanza»;

che la Commissione tributaria provinciale di Foggia, con la sesta ordinanza delle sei indicate in epigrafe, emanata l’8 aprile 2011 (reg. ord. n. 262 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997;

che il giudice rimettente riporta che la Cave Foglia s.r.l. ha presentato ricorso contro il rifiuto dell’Agenzia delle Entrate – ufficio di Manfredonia – di rimborso dell’IRES relativa agli anni dal 2004 al 2007, per mancata deducibilità dell’IRAP, sollevando altresì questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997 in riferimento all’art. 53 Cost.;

che la questione sarebbe rilevante in quanto essa condizionerebbe direttamente ed inequivocabilmente la domanda di restituzione dell’IRES formulata dalla società ricorrente, perché l’eventuale venir meno della norma censurata determinerebbe il favorevole scrutinio della domanda di rimborso IRES;

che la questione sarebbe, altresì, non manifestamente infondata in quanto, con riferimento al reddito di impresa, l’esclusione della deducibilità dell’IRAP (che per l’imprenditore rappresenta un fattore economico di spesa) dal reddito assoggettato alle imposte sui redditi determinerebbe l’imposizione non su un reddito netto, ma su un reddito lordo, con la possibilità che imprese la cui gestione sia in perdita paghino ugualmente l’IRES come se avessero prodotto un reddito, mentre altre imprese con gestione in utile vengano assoggettate ad imposta con prelievo pari o superiore all’utile stesso, con conseguente violazione dell’art. 53 Cost.;

che la norma contestata lederebbe anche il principio della effettività dell’uguaglianza garantito dall’art. 3, secondo comma, Cost., in quanto comporterebbe un’ingiustificata discriminazione di trattamento tra l’IRAP (indeducibile) e le altre imposte diverse dalle imposte sui redditi e da quelle per le quali è ammessa la rivalsa che sono integralmente deducibili ai sensi dell’art. 99 del d.P.R. n. 917 del 1986;

che, infine, ad avviso del giudice rimettente, la norma introdotta dall’art. 6 del decreto legge n. 185 del 2008 non eliminerebbe il dubbio di costituzionalità sollevato, perché si tratterebbe di un rimborso minimale e incerto, in quanto condizionato alla disponibilità dei fondi sulla base dei rimborsi richiesti.

Considerato che con sei distinte ordinanze, iscritte rispettivamente nel reg. ord. n. 190 del 2009 e nn. 63, 64, 68, 195 e 262 del 2011, cinque Commissioni tributarie hanno sollevato, con riferimento agli anni di imposta dal 2001 al 2007, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in cui prevede che l’IRAP non sia deducibile ai fini delle imposte sui redditi, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 6 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, in relazione agli articoli 3, 35 e 53 della Costituzione;

che, ad avviso dei giudici rimettenti, la norma censurata violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost., con riguardo al principio di uguaglianza, in quanto sarebbe sottoposto a maggiore tassazione chi faccia ricorso alla forza lavoro e al capitale di prestito, rispetto a chi invece non ne faccia uso;

che, in secondo luogo, sarebbe leso l’art. 35 Cost., con riguardo al principio della tutela del lavoro, «in relazione alla penalizzazione del ricorso al fattore della produzione “lavoro”, aggravato e quindi “scoraggiato”, da una maggiore tassazione»;

che, in terzo luogo, sarebbe violato l’art. 53 Cost., in quanto l’indeducibilità dell’IRAP dall’imposta personale comporterebbe che due imprese, una con costi di lavoro e/o interessi passivi, l’altra priva, si troverebbero a corrispondere imposte personali in misura diversa, in quanto sulla prima inciderebbero in più sull’imponibile, nella misura del 4,25 per cento, i costi di lavoro e di oneri finanziari non deducibili dall’IRAP, sulla seconda no;

che la sola Commissione tributaria provinciale di Foggia (reg. ord. n. 262 del 2011) – la quale non invoca l’art. 35 Cost. – ritiene violato l’art. 53 Cost. anche perché l’esclusione della deducibilità dell’IRAP dal reddito assoggettato alle imposte sui redditi determinerebbe l’imposizione non su un reddito netto, il quale dovrebbe essere l’indice di capacità contributiva che giustifica l’imposizione erariale, ma su un reddito lordo e, quindi, potrebbe verificarsi che imprese la cui gestione sia in perdita paghino ugualmente l’IRES come se avessero prodotto un reddito, mentre altre imprese con gestione in utile vengano assoggettate ad imposta con prelievo pari o superiore all’utile stesso;

che la sola Commissione tributaria provinciale di Parma (reg. ord. n. 68 del 2011), invocando anche gli artt. 2, 4 e 41, primo comma, Cost., ha censurato altresì l’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nella parte in cui limita la deducibilità dell’IRAP al 10 per cento, nonché l’art. 99 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), modificato dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344 e ulteriormente modificato dall’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, nella parte in cui disporrebbe che: «Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento. A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione un importo pari al 10 per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive determinata»;

che, ad avviso della Commissione tributaria provinciale di Parma, le tre norme censurate – l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, l’art. 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, e l’art. 99 del d.P.R. n. 917 del 1986 – lederebbero innanzitutto l’art. 3 Cost., con riguardo al principio di uguaglianza, sia in quanto «i cittadini percettori di redditi diversi da quelli derivanti dall’esercizio di imprese o professioni pagano le imposte su redditi netti da spese, mentre gli operatori economici non possono dedurre il 90 per cento della spesa relativa all’IRAP e sono, oltre che discriminati, anche disincentivati dal lavoro autonomo», sia perché, fra gli operatori economici, tutti parimenti soggetti all’IRAP, si avrebbe «una disparità di trattamento indotta dalla diversa incidenza del costo dei fattori della produzione sul reddito d’impresa, giacché la deduzione del 10 per cento viene applicata forfetariamente a coloro che hanno zero costi di personale e di costo del danaro, come alle imprese molto indebitate (e al limite, fallite) e alle imprese manifatturiere»;

che, inoltre, secondo tale giudice rimettente, le norme censurate violerebbero l’art. 53 Cost., in quanto determinerebbero «in modo fittizio il reddito dei professionisti, degli imprenditori individuali e delle società (nonché dei soci per le ricadute degli utili societari sul reddito personale), che è invece ridotto dalla incidenza del 90 per cento dell’imposta regionale»; l’art. 2 Cost., che garantisce i principi di razionalità, di ragionevolezza, di certezza del diritto e di affidamento sotto forma di diritti inviolabili (dell’uomo ma anche delle persone giuridiche), in quanto l’indeducibilità dell’IRAP al 90 per cento sarebbe priva di qualsiasi giustificazione sistematica in relazione ai principi generali enunciati dall’art. 64 previgente e dall’art. 99, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 (come modificato dal decreto legislativo n. 344 del 2003), non potendosi qualificare l’IRAP né come una imposta sui redditi, né come una imposta senza rivalsa per il 10 per cento ed a rivalsa per il 90 per cento; gli artt. 4 e 35 Cost., in quanto l’IRAP, per la parte che rende indeducibili i costi di manodopera superiori al forfait legislativo, scoraggerebbe l’impiego di lavoratori subordinati e parasubordinati, in violazione della incentivazione al lavoro (art. 4 Cost.) e della tutela del lavoro, imposta dall’art. 35 Cost.; l’art. 41 Cost., in quanto l’obbligo di pagare le imposte sui redditi senza poter dedurre il costo dell’IRAP costituisce «un disincentivo alla intrapresa del lavoro professionale e di quello imprenditizio ed un vincolo alla libertà dell’iniziativa economica»;

che le questioni sollevate dalle sei ordinanze di rimessione sono in gran parte coincidenti e, pertanto, i relativi giudizi, per la loro connessione oggettiva, devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;

che, successivamente alla proposizione delle questioni, è entrato in vigore l’art. 2 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha dettato norme in materia di «Agevolazioni fiscali riferite al costo del lavoro nonché per donne e giovani»;

che, in particolare il comma 1 di tale articolo ha previsto che: «A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 è ammesso in deduzione ai sensi dell’articolo 99, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, un importo pari all’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell’articolo 11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997»;

che l’art. 4, comma 12, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento) ha poi inserito il comma 1-quater nell’art. 2 del decreto-legge n. 201 del 2011, prevedendo che: «In relazione a quanto disposto dal comma 1 e tenuto conto di quanto previsto dai commi da 2 a 4 dell’articolo 6 del citato decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia ancora pendente il termine di cui all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, nonché ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo»;

che tale ius superveniens è intervenuto, anche retroattivamente, in materia di deducibilità dell’IRAP, con espresso riferimento alle disposizioni censurate dalle sei ordinanze di remissione;

che questa modifica, quindi, riguarda direttamente le norme oggetto delle questioni sollevate dalle Commissioni rimettenti e a queste ultime spetta valutare la misura e gli esatti termini di tale effetto normativo;

che, pertanto, la modifica del combinato disposto delle tre disposizioni censurate impone la restituzione degli atti ai giudici rimettenti perché operino una nuova valutazione della perdurante rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione (ex multis, ordinanze nn. 190, 182 e 180 del 2012), con l’occasione colmando ogni eventuale lacuna delle singole ordinanze di rimessione in ordine alla descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, alla motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni e alla ricostruzione del quadro normativo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria provinciale di Bologna, alla Commissione tributaria regionale di Bari, alla Commissione tributaria provinciale di Parma, alla Commissione tributaria regionale Lombardia e alla Commissione tributaria provinciale di Foggia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2012.