Ordinanza n. 208 del 2012

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ORDINANZA N. 208

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alfonso                  QUARANTA                                      Presidente

-    Franco                    GALLO                                                 Giudice

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria          NAPOLITANO                                         ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                       ”

-    Alessandro             CRISCUOLO                                            ”

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                  LATTANZI                                                ”

-    Aldo                      CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                               ”

-    Sergio                    MATTARELLA                                         ”

-    Mario Rosario       MORELLI                                                  ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di F.M., con ordinanza del 16 gennaio 2012, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2012 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni;

che la Corte rimettente premette, in fatto, di dover giudicare sul ricorso avverso una sentenza della Corte d’appello di Bologna che aveva confermato la sentenza di condanna emessa in primo grado dal Tribunale di Forlì il 12 febbraio 2003 avverso due imputati ritenuti responsabili di bancarotta fraudolenta per distrazione;

che uno dei motivi di impugnazione è relativo alla violazione dell’art. 216 del r.d. n. 267 del 1942 e dell’art. 37 del codice penale, per essere stata determinata in dieci anni la durata della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali e dell’incapacità all’esercizio di uffici direttivi in qualsiasi impresa, laddove detta durata avrebbe dovuto essere limitata a quella della pena principale;

che, in punto di rilevanza, secondo la Corte di cassazione, il ricorso di uno dei due ricorrenti non è definibile prima della soluzione della questione di costituzionalità dell’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942;

che la rimettente richiama le motivazioni dell’ordinanza del 23 marzo 2011 con la quale ha già ritenuto di sollevare analoga questione di costituzionalità;

che in tale ordinanza si faceva riferimento all’orientamento seguito pressoché costantemente dalla medesima Corte in tema di bancarotta fraudolenta (rilevabile sin dalla sentenza della sezione V del 16 ottobre 1973, n. 126018), secondo il quale la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali ed alla incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa è fissata inderogabilmente nella misura di dieci anni e, pertanto, non trattandosi di pena indeterminata, la sua durata si sottrae alla disciplina disposta dall’art. 37 cod. pen.;

che, tuttavia, a fronte di siffatta lettura, recenti sentenze (Corte di cassazione, sezione V penale, 10 marzo 2010, n. 9672; sezione V penale, 31 marzo 2010, n. 23720) hanno ritenuto che la immodificabilità della sanzione accessoria contrasti con «il “volto costituzionale” dell’illecito penale», e che il sistema normativo debba lasciare, comunque, adeguati spazi alla discrezionalità del giudice, al fine di permettere l’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete;

che, in tal senso, sarebbe illegittima una previsione che lasci il giudice privo di sufficienti margini di adattamento del trattamento sanzionatorio alle peculiarità della singola ipotesi concreta;

che questo secondo indirizzo ermeneutico è ispirato da importanti pronunce della Corte costituzionale (ordinanze nn. 91 e 4 del 2008, n. 50 del 1980) nelle quali si è detto che in linea di principio «previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale; ed il dubbio di illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionatorio e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato»;

che, tuttavia, secondo la Corte rimettente, non sarebbe possibile accedere ad un’interpretazione che superi il dato testuale dell’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 e che, piuttosto, spetti alla Corte costituzionale l’affermazione della illegittimità costituzionale della norma, quando essa sia interpretata in aderenza alla espressa volontà legislativa;

che la durata della sanzione, fissata in dieci anni dal legislatore fallimentare, porrebbe dubbi di ragionevolezza, attesa la rigidità dispositiva della prescrizione penale, a fronte del variare della situazione concreta, caratteristica che determinerebbe una sostanziale ingiustizia nel trattare allo stesso modo condotte di rilievo penale tra loro differenti e difformemente sanzionate dal legislatore mediante la pena principale;

che la Corte di cassazione si riferisce, in particolare, alla ipotesi di «bancarotta preferenziale», nonché alla singolare ampiezza dell’escursione afflittiva contemplata dalle circostanze speciali di cui all’art. 219, primo e ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942, e inoltre, evidenzia la sproporzione che si verrebbe a determinare nei riti alternativi, allorché la pena principale risulti grandemente inferiore rispetto a quella accessoria, a cagione della diminuzione premiale consentita o imposta dal legislatore;

che la norma censurata costituirebbe un esempio della negazione del principio del «minore sacrificio necessario» nella risposta punitiva dell’ordinamento alla violazione penale, quando possano sussistere agevoli parametri mediante cui modulare la stessa, caso per caso, così tramutando la rigidità della previsione in una ingiustificata parificazione di situazioni tra loro diverse;

che, a parere della Corte di cassazione, la sottrazione del giudizio ai consueti criteri dettati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. urta con le previsioni costituzionali degli artt. 3 e 27 Cost.

Considerato che la Corte di cassazione, con ordinanza del 16 gennaio 2012, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni;

che la questione sollevata dalla Corte di cassazione si fonda sulla violazione degli artt. 3 e 27 Cost. perché la rigidità della prescrizione, a fronte del variare della situazione concreta, determinerebbe una sostanziale ingiustizia nel trattare allo stesso modo condotte di rilievo penale tra loro differenti e difformemente sanzionate dal legislatore mediante la pena principale;

che la questione è inammissibile;

che analoga questione è già stata dichiarata inammissibile da questa Corte con la sentenza n. 134 del 2012;

che, in tale occasione, si era evidenziato che la questione sollevata atteneva alla supposta non conformità a Costituzione della predeterminazione, nella misura fissa di dieci anni, della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, di cui all’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 per il delitto di bancarotta, risultando, in tal modo, non applicabile l’art. 37 cod. pen.;

che la rimettente, in definitiva, aveva chiesto di aggiungere le parole «fino a» all’ultimo comma dell’art. 216 del r.d. n. 267 del 1942, al fine di rendere possibile l’applicazione dell’art. 37 cod. pen.;

che, con la citata sentenza, si era ritenuta la questione inammissibile perchè l’addizione normativa richiesta dai giudici a quibus non costituiva una soluzione costituzionalmente obbligata, ma, implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore, eccedeva i poteri di intervento di questa Corte;

che, nel caso in esame, non risultando addotti profili o argomenti diversi o ulteriori rispetto a quelli già valutati nella precedente pronuncia di inammissibilità, la questione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata – in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – dalla Corte di cassazione con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2012.