Sentenza n. 205 del 2012

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SENTENZA N. 205

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                            ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             ”

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 19 febbraio 2009 (Doc. IV-ter, n. 7), relativa all’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Lino Iannuzzi nei confronti del dott. Antonio Ingroia, promosso dal Tribunale ordinario di Monza, sezione distaccata di Desio, con ricorso notificato il 30 giugno 2010, depositato in cancelleria il 2 agosto 2010 ed iscritto al registro conflitti tra poteri dello Stato n. 13 del 2009, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

udito l’avvocato Francesco Saverio Bertolini per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato in cancelleria il 16 dicembre 2009 (confl. pot. amm. n. 13 del 2009) il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, in composizione monocratica, ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che non spettava al Senato della Repubblica affermare che i fatti per i quali è in corso un procedimento penale a carico di Raffaele Lino Iannuzzi, per il delitto di cui agli articoli 595 del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) nei confronti di Antonio Ingroia, concernono opinioni espresse da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni in quanto tali insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e di annullare conseguentemente la deliberazione che il Senato aveva adottato il 19 febbraio 2009, recependo la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari.

Il ricorrente rileva che la condotta ascritta al senatore Iannuzzi consiste nell’aver pubblicato il giorno 8 ottobre 2006, sul quotidiano “Il Giornale”, un articolo dal titolo «Covo Riina, il processo a Mori risorge da Santoro», in cui aveva offeso l’onore e la reputazione del dott. Ingroia, rappresentante del pubblico ministero nel processo a carico dei R.O.S. dei Carabinieri. Secondo il capo di imputazione il parlamentare nell’articolo aveva scritto «che il procedimento penale nei confronti degli imputati Mori e De Caprio è stato condotto dal Pubblico Ministero con l’intento di “chiacchierare”, “insozzare”, “sputtanare”, “perseguitare” gli imputati mediante “indagini a vuoto, basate sul nulla e finte richieste di archiviazione fatte apposta per riaprire le indagini il giorno dopo. All’infinito”; che con il medesimo intento, l’iscrizione dei nominativi degli imputati nel registro delle notizie di reato fu eseguita “solo per farne parlare i giornali, per insozzare e per sputtanare, per “mascariare”, tingere di carbone Mori e De Caprio”; che dopo l’assoluzione degli indagati il PM Ingroia è andato di persona ad accusarli di nuovo e ad infamarli dinnanzi alla “Cassazione di Michele Santoro”, dove, partecipando in prima persona alla trasmissione di quest’ultimo, “ha discettato sul suo stesso processo”, spiegando che “in sostanza Mori e De Caprio, benché assolti, sono sempre colpevoli”».

Secondo il tribunale le dichiarazioni oggetto del procedimento penale non sarebbero riferibili alla funzione parlamentare del senatore Iannuzzi, perché dalla relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e dalla deliberazione del Senato della Repubblica non emergerebbe alcun atto tipico della funzione parlamentare cui ricondurre l’articolo che si assume diffamatorio.

Il ricorrente osserva che per giustificare la guarentigia non sarebbero sufficienti le argomentazioni svolte dal senatore Iannuzzi nell’intervento effettuato dinanzi all’Assemblea il 16 dicembre 2008,  secondo le quali il contenuto dell’articolo in questione sarebbe da considerare necessariamente connesso all’attività parlamentare, «atteso che la ragione stessa della sua elezione a senatore riposava esclusivamente nella sua attività giornalistica». Parimenti non condivisibile sarebbe l’affermazione della relazione di maggioranza, secondo cui non sarebbe possibile scindere l’attività di giornalista da quella di senatore, «stante l’intervenuto mutamento della figura del giornalista politico», che renderebbe impossibile la distinzione fra l’attività svolta in questa qualità e quella strettamente politica, coperta dall’immunità prevista dall’art. 68 Cost.

2.– Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 191 del 2010. In seguito ad essa il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, ha notificato il ricorso e l’ordinanza al Senato della Repubblica il 30 giugno 2010, poi, con plico trasmesso avvalendosi del servizio postale il 30 luglio 2010 e pervenuto alla Corte il 2 agosto 2010, ha depositato tali atti, con la prova dell’avvenuta notificazione.

3.– Il Senato della Repubblica si è costituito in giudizio con memoria depositata il 4 agosto 2010 e ha chiesto che sia dichiarata l’infondatezza del conflitto.

Il Senato, richiamata la giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine alle prerogative di insindacabilità parlamentare, ha sostenuto che non sarebbe più attuale la «definizione del nesso funzionale agli atti tipici della funzione di parlamentare, auspicando l’adozione di nuovi e concreti parametri quali chiavi ermeneutiche utili alla ricostruzione della suddetta funzione».

Il Senato ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato, in quanto sarebbe sussistente il suo potere di dichiarare insindacabili le opinioni espresse dal senatore Iannuzzi ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.

4.– Con memoria depositata il 15 maggio 2012, la difesa del Senato della Repubblica ha segnalato che la notificazione del ricorso al Senato è stata eseguita il 30 giugno 2010, mentre il relativo deposito nella cancelleria della Corte risulta avvenuto il 2 agosto 2010, sicché il conflitto sarebbe improcedibile per l’inosservanza del termine previsto dall’art. 24, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Il ricorso, inoltre, sarebbe inammissibile, in quanto, non riportando il contenuto testuale della dichiarazione del senatore Iannuzzi, si limiterebbe a «riprodurre il capo di imputazione, nel quale peraltro sono riportate, virgolettate, soltanto pochissime parole che la pubblica accusa individua come diffamatorie».

Ad avviso della difesa del Senato, un ricorso per menomazione non potrebbe essere accolto qualora il ricorrente non fornisca tutti gli elementi (in primo luogo, il testo integrale oggetto della controversia) necessari per dimostrare la fondatezza dell’asserita menomazione; nel caso di specie, il ricorrente avrebbe riassunto «in poco più di dieci righe il testo di un articolo su un quotidiano ed il contenuto di un’intervista televisiva».

La memoria segnala che gran parte dell’attività del senatore Iannuzzi ha riguardato questioni inerenti a condotte giudiziarie di alcuni magistrati: al riguardo vengono richiamate tre interrogazioni parlamentari relative, rispettivamente, a un magistrato della Procura della Repubblica di Agrigento, all’azione della magistratura di Reggio Calabria e a un processo nei confronti di un imputato per reato ministeriale. Gli atti funzionali evocati, anteriori alle dichiarazioni “incriminate” nel presente giudizio, presenterebbero un collegamento tematico con il contenuto di queste, anche se forse manca «una sostanziale corrispondenza di significato, ancorché non testuale», ma sarebbe «tuttavia da chiedersi se sia proprio ragionevole che sia la carenza di questo dato cognitivo a privare del carattere divulgativo le dichiarazioni medesime».

Conclude, quindi, la difesa del Senato osservando che sarebbe del tutto logico estendere l’area dell’insindacabilità anche a forme di divulgazione di una pluralità di atti parlamentari, che presentino coincidenza tematica o argomentativa con le opinioni rese extra moenia.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, in composizione monocratica, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e ha chiesto a questa Corte di dichiarare che non spettava al Senato della Repubblica di affermare che i fatti per i quali è in corso un procedimento penale a carico di Raffaele Lino Iannuzzi, per il delitto di cui agli artt. 595 del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) nei confronti di Antonio Ingroia, concernono opinioni espresse da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni in quanto tali insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e di annullare conseguentemente la deliberazione che il Senato aveva adottato il 19 febbraio 2009, recependo la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. 

2.– Preliminarmente, deve rilevarsi l’infondatezza delle eccezioni proposte dalla difesa del Senato della Repubblica e deve essere confermata l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 191 del 2010.

2.1.– Con la prima eccezione il Senato ha eccepito l’improcedibilità del conflitto perché il deposito del ricorso dichiarato ammissibile, con la prova delle notificazioni eseguite a norma dell’art. 37, comma quarto, della legge 11 marzo 1953, n. 87, sarebbe avvenuto oltre «il termine perentorio di trenta giorni dall’ultima notificazione», fissato dall’art. 24, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

L’eccezione è priva di fondamento.

È vero che la notificazione del ricorso è avvenuta il 30 giugno 2010 e che il plico con il ricorso e la prova della notificazione è pervenuto alla cancelleria della Corte, a mezzo posta, il successivo 2 agosto, ma è anche vero che la spedizione è avvenuta il 30 luglio, nell’osservanza del termine perentorio di trenta giorni, e che ciò basta per far escludere l’improcedibilità. Infatti, ai sensi dell’art. 28, comma 2, delle norme integrative, nel caso di deposito effettuato avvalendosi del servizio postale, ai fini dell’osservanza dei termini per il deposito vale la data di spedizione postale.

2.2.– Anche l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa del Senato non è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, affinché si possa verificare «la sostanziale identità» tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e gli atti di funzione dallo stesso posti in essere, «il ricorrente ha l’onere di riportare nell’atto introduttivo del giudizio le espressioni ritenute offensive» (sentenza n. 52 del 2007; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 291 del 2007). Con specifico riguardo alla descrizione delle condotte extra moenia del parlamentare operata dal ricorrente attraverso il riferimento ai capi di imputazione formulati in sede penale, questa Corte ha ritenuto l’inammissibilità del ricorso in un caso in cui – a fronte di un’imputazione nei confronti di vari soggetti a titolo di concorso nel reato – non risultava possibile stabilire se quella ascrivibile ai parlamentari incriminati fosse la realizzazione di un comportamento di carattere materiale o la manifestazione di una opinione (sentenza n. 267 del 2005); analoga decisione è stata adottata per un ricorso che rinviava, ai fini della descrizione dei fatti, a dichiarazioni da intendersi «integralmente riportate», ma non risultanti dagli atti (sentenza n. 307 del 2008). In altra occasione, invece, la riproduzione nel ricorso dell’imputazione formulata dal pubblico ministero, nella quale erano state riportate le affermazioni offensive della reputazione delle persone coinvolte nella vicenda, è stata ritenuta idonea a far conoscere le dichiarazioni rese extra moenia dal parlamentare, come esige il principio di autosufficienza dell’atto introduttivo del giudizio (sentenza n. 330 del 2008).

Ciò che viene in rilievo ai fini dell’ammissibilità del ricorso è l’attitudine del riferimento al capo di imputazione formulato in sede penale a «consentire alla Corte di raffrontare le dichiarazioni extra moenia con il contenuto di atti tipici della funzione parlamentare» (sentenza n. 271 del 2007), e tale attitudine nel caso in esame non è contestabile, tenuto conto dell’analiticità dell’imputazione ascritta al parlamentare e riportata nel ricorso.

3.– Nel merito, il ricorso è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, per ravvisare  un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni – al quale è subordinata la prerogativa dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. – è necessario che le stesse possano essere riconosciute come espressione dell’esercizio di attività parlamentare (ex multis, sentenze n. 98 e n. 96 del 2011, n. 330 e n. 135 del 2008).

Nel conflitto in esame, né la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, né la deliberazione del Senato della Repubblica indicano atti parlamentari tipici del senatore Iannuzzi, anteriori o contestuali alle dichiarazioni oggetto dell’imputazione, ai quali, per il loro contenuto, le stesse possano essere riferite, ed è per questa ragione che la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari si è limitata ad auspicare un «salto interpretativo della giurisprudenza costituzionale, volto a ritenere sussistente il nesso funzionale in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione». Ciò soprattutto nelle ipotesi, quale quella in esame, in cui il parlamentare svolge o abbia svolto attività di giornalista, la quale andrebbe considerata «come parte della più ampia attività di politico ed espressamente, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale».

La circostanza, invocata dalla relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, che il senatore, prima della sua elezione, svolgesse attività di giornalista e che, per tale ragione, sia stato scelto dagli elettori non vale a estendere, a suo favore, l’ambito di operatività della garanzia di insindacabilità sancita dall’art. 68 Cost. Anche con riferimento al parlamentare che svolge o abbia svolto attività giornalistica, infatti, la divulgazione di idee, prive del requisito della sostanziale corrispondenza di significato con le opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari, può inquadrarsi «nella normale attività di critica politica che il parlamentare è libero di svolgere al pari di qualunque cittadino, senza fruire, peraltro, di specifiche clausole di immunità che finirebbero per coinvolgere e compromettere – senza una specifica relazione con la logica di garanzia sottesa all’art. 68, primo comma, Cost. – i diritti dei terzi a veder tutelata in sede giurisdizionale la propria immagine e la propria onorabilità» (sentenza n. 82 del 2011).

Nel caso di specie, difetta dunque il nesso funzionale tra le affermazioni oggetto del procedimento penale ed eventuali atti compiuti in sede parlamentare.

In senso contrario non può farsi utilmente riferimento alle interrogazioni parlamentari richiamate dalla difesa del Senato nella memoria depositata in prossimità dell’udienza. Si tratta infatti di interrogazioni che riguardano vicende o magistrati diversi da quello cui si riferiscono le espressioni per le quali procede il Tribunale di Monza e non è individuabile, rispetto ad esse, alcun nesso funzionale con le dichiarazioni relative al dott. Ingroia, rese extra moenia. Inoltre, come questa Corte ha affermato in altra occasione, «il mero “contesto politico” o comunque l’inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, entro cui le dichiarazioni oggetto del presente conflitto si possano collocare, non connota di per sé tali dichiarazioni quali espressive della funzione parlamentare. Infatti, ove esse non costituiscano la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni e quindi non siano il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato o ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall’insindacabilità), esse devono essere considerate come un diverso contributo al dibattito politico, riferito alla pubblica opinione usufruendo della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 della Costituzione (sentenze n. 302 del 2007 e n. 260 del 2006)» (sentenza n. 134 del 2008).

Pertanto, si deve concludere che la deliberazione del Senato della Repubblica impugnata ha leso le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente e deve essere annullata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara che non spettava al Senato della Repubblica affermare che le dichiarazioni rese dal senatore Raffaele Lino Iannuzzi, per le quali pende il procedimento penale davanti al Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, in composizione monocratica, di cui al ricorso in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

2) annulla, per l’effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 19 febbraio 2009 (Doc. IV-ter, n. 7).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2012.