Ordinanza n. 127 del 2012

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ORDINANZA N. 127

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                             Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                           ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                            ”

-           Sabino                         CASSESE                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                      ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                    ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                         ”

-           Paolo                           GROSSI                                                  ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                             ”

-           Aldo                            CAROSI                                                  ”

-           Marta                           CARTABIA                                            ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                      ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                               ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 571 del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di Ribaudo Maria Concetta nella qualità di liquidatrice della società Eurozinco di Lucchese Antonino & C. sas, con ordinanza dell’8 agosto 2011, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che con ordinanza depositata l’8 agosto 2011 (r.o. n. 264 del 2011) il Tribunale di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell’articolo 571 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede che, limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale, gli eredi dell’imputato possano proporre impugnazione nel caso di morte del dante causa intervenuta dopo la sentenza di primo grado e prima della proposizione della impugnazione»;

che l’ordinanza di rimessione, richiamato in apertura il ricorso della liquidatrice di una società in accomandita semplice, premette che, con provvedimento del 28 ottobre 2002, il giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro preventivo di un terreno di proprietà di tale società, che, con sentenza dell’11 luglio 2008 dello stesso tribunale, il rappresentante legale della  società è stato assolto da un’imputazione di associazione per delinquere e condannato, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione e di mille euro di multa per il reato di cui agli artt. 640, primo comma e secondo comma, numero 1), e 61, numero 7), del codice penale e che, nei limiti del valore del profitto del reato, è stata disposta la confisca per equivalente del terreno indicato;

che il giudice rimettente riferisce inoltre che l’imputato è deceduto il 20 luglio 2008, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, ma prima della notifica dell’estratto contumaciale;

che, nella prospettazione del rimettente, per un verso, la morte avrebbe determinato l’estinzione del diritto all’impugnazione e il passaggio in giudicato della sentenza, oltre all’estinzione della pena da dichiararsi dal giudice dell’esecuzione e, per altro verso, il sistema non consentirebbe l’impugnazione degli eredi, mentre, per il combinato disposto degli artt. 236 e 210 cod. pen., l’estinzione della pena dipendente dalla morte del condannato non avrebbe effetti sulla statuizione di confisca, che dovrebbe quindi mantenere la sua efficacia «con definitiva ablazione del diritto in capo al condannato e definitiva frustrazione della aspettativa di successione coltivata dagli eredi»;

che la mancata previsione in capo agli eredi del diritto a impugnare la decisione di primo grado, «limitatamente al caso di sentenza contenente statuizioni di carattere patrimoniale», non sarebbe in sintonia con i principi costituzionali in tema di uguaglianza, dipendendo la loro posizione da «un evento assolutamente imprevedibile, quale l’epoca della morte del loro dante causa, perché nel caso di morte intervenuta prima della impugnazione l’erede rimarrebbe privo di tutela, mentre nel caso di morte successiva all’impugnazione l’erede potrebbe beneficiare della pronuncia emessa in secondo grado»;

che, inoltre, si verificherebbe un’ingiustificata compressione del diritto di difesa, «con impossibilità di fruire di un secondo grado di merito e del controllo di legittimità, in relazione ad un evento del tutto imprevedibile ed estraneo alla sfera di intervento dei soggetti pregiudicati dalla decisione»;

che, secondo il rimettente, la giurisprudenza ha invece ritenuto che la morte dell’imputato successiva alla pronuncia di primo grado e anteriore all’impugnazione non comporti il passaggio in giudicato delle statuizioni civili contenute nella stessa pronuncia, perché verrebbe meno il rapporto processuale principale, sul quale si innesta quello processuale civile, con la conseguente impossibilità per il giudice penale di decidere sulla pretesa civile azionata in sede penale, e vi sarebbe, quindi, «caducazione del rapporto processuale e salvezza del diritto degli eredi a coltivare l’azione civile nella competente sede civile»;

che, osserva ancora il rimettente, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., il giudice di appello decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, anche nel caso di estinzione per amnistia o prescrizione «e non anche – significativamente – nel caso di morte dell’imputato»;

che, inoltre, la progressiva estensione delle ipotesi di confisca  richiederebbe in modo più pregnante il rispetto sostanziale delle garanzie difensive, anche rispetto ai terzi pregiudicati dal provvedimento, considerata l’entità degli interessi patrimoniali in gioco;

che, riferisce inoltre il rimettente, nei confronti dei coimputati appellanti è stata dichiarata l’estinzione dei reati ad essi rispettivamente ascritti per intervenuta prescrizione, sicché potrebbe presumersi il medesimo esito anche nei confronti dell’imputato deceduto, ove avesse impugnato la sentenza di primo grado;

che, nel caso in esame, il tribunale ha disposto la confisca in applicazione dell’art. 640-quater cod. pen., che espressamente richiama l’art. 322-ter cod. pen., che a sua volta prevede la confisca obbligatoria anche per equivalente in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, così, ad avviso del rimettente, escludendo la confisca in caso di estinzione del reato;

che la questione sarebbe altresì rilevante «in quanto, ove dovesse ritenersi la impugnabilità della sentenza da parte degli eredi, la pronuncia di secondo grado richiesta con la impugnazione da parte di costoro – in ipotesi dichiarativa della estinzione dei reati per prescrizione – avrebbe comportato la caducazione della statuizione di confisca adottata in primo grado»;

che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata;

che secondo l’Avvocatura dello Stato la questione sarebbe irrilevante alla luce della possibile applicabilità del combinato disposto dell’art. 150 cod. pen. e dell’art. 587 cod. proc. pen., che in relazione alla confisca consentirebbe di salvaguardare le aspettative patrimoniali degli eredi dell’imputato deceduto;

che sarebbe inoltre insussistente uno dei presupposti della questione, ossia l’irrevocabilità della sentenza, considerata l’intervenuta impugnazione da parte degli altri coimputati, che ha portato alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, sicché troverebbe applicazione l’art. 587 cod. proc. pen., con la conseguente «caducazione del potere ablativo (confisca) esercitato dal giudice con la sentenza di condanna di primo grado, richiamata in sede di censura»;

che secondo l’Avvocatura dello Stato l’art. 236, secondo comma, cod. pen. deve essere integrato dall’art. 240 cod. pen., che consente di prescindere dalla condanna nell’unico caso di cui al numero 2) del secondo comma, in cui la confisca deve essere disposta «anche se non è stata pronunciata condanna», in ragione «non tanto della connessione delle cose in questione con la commissione del singolo reato dal quale l’imputato sia stato in ipotesi assolto, quanto delle caratteristiche intrinseche delle cose, che non possono essere lasciate nella disponibilità né dell’imputato né di chicchessia»;

che, pertanto, la questione sarebbe irrilevante nel processo a quo, in quanto sarebbe possibile fornire della norma impugnata un’interpretazione costituzionalmente compatibile.

Considerato che il Tribunale di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 571 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede che, limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale, gli eredi dell’imputato possano proporre impugnazione nel caso di morte del dante causa intervenuta dopo la sentenza di primo grado e prima della proposizione della impugnazione»;

che la norma censurata sarebbe in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, facendo dipendere la posizione degli eredi da «un evento assolutamente imprevedibile, quale l’epoca della morte del loro dante causa, perché nel caso di morte intervenuta prima della impugnazione l’erede rimarrebbe privo di tutela, mentre nel caso di morte successiva all’impugnazione l’erede potrebbe beneficiare della pronuncia emessa in secondo grado», e con l’art. 24 Cost., in quanto determinerebbe un’ingiustificata compressione del diritto di difesa, «con impossibilità di fruire di un secondo grado di merito e del controllo di legittimità, in relazione ad un evento del tutto imprevedibile ed estraneo alla sfera di intervento dei soggetti pregiudicati dalla decisione»;

che la questione sarebbe rilevante «in quanto, ove dovesse ritenersi la impugnabilità della sentenza da parte degli eredi, la pronuncia di secondo grado richiesta con la impugnazione da parte di costoro – in ipotesi dichiarativa della estinzione dei reati per prescrizione – avrebbe comportato la caducazione della statuizione di confisca adottata in primo grado»;

che in via preliminare deve rilevarsi che l’ordinanza di rimessione non ha indicato l’oggetto del “ricorso” proposto dalla liquidatrice della società che ha subito il sequestro, né, comunque, le ragioni per le quali della relativa cognizione è stato investito il tribunale;

che, non essendo il giudice che ha sollevato la questione quello che dovrebbe conoscere di un eventuale appello, la lacuna della motivazione relativa a tali elementi si traduce nell’assoluta mancanza di indicazioni sulle ragioni per le quali il tribunale dovrebbe fare applicazione dell’art. 571 cod. proc. pen., ossia della norma che disciplina l’impugnazione dell’imputato, così dando luogo ad una causa di manifesta inammissibilità della questione (ex plurimis, ordinanza n. 318 del 2011); 

che, inoltre, l’ordinanza di rimessione, mentre censura l’art. 517 cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevede che, limitatamente alle statuizioni di contenuto patrimoniale, gli eredi dell’imputato possano proporre impugnazione nel caso di morte del dante causa intervenuta dopo la sentenza di primo grado e prima della proposizione della impugnazione», non offre alcuna indicazione sull’esistenza di eredi, sulla loro volontà di proporre appello e sulla loro partecipazione, ed eventualmente in quale veste, al procedimento a quo, limitandosi a riferire che il “ricorso” sul quale il rimettente è chiamato a pronunciarsi è stato proposto dalla liquidatrice della società proprietaria del terreno confiscato, società di cui l’imputato deceduto era  stato rappresentante legale;

che anche sotto questo profilo l’insufficiente descrizione della fattispecie e correlativamente la mancanza di motivazione sulla rilevanza comportano la manifesta inammissibilità della questione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 571 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Palermo con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2012.