Ordinanza n. 38 del 2012

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ORDINANZA N. 38

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                             “

-           Gaetano                       SILVESTRI                                              “

-           Sabino                         CASSESE                                                 “

-           Giuseppe                     TESAURO                                                “

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                        “

-           Giuseppe                     FRIGO                                                      “

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                           “

-           Paolo                           GROSSI                                                    “

-           Giorgio                        LATTANZI                                               “

-           Aldo                            CAROSI                                                    “

-           Marta                           CARTABIA                                              “

-           Sergio                          MATTARELLA                                        “

-           Mario Rosario              MORELLI                                                 “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), promosso dal Tribunale ordinario di Torino ― sezione lavoro, nel procedimento vertente tra S.C. e l’Università degli studi di Torino, con ordinanza del 21 aprile 2011, iscritta al n. 184 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 2012 il Giudice relatore Sabino Cassese.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 aprile 2011, pervenuta presso la cancelleria di questa Corte il 22 luglio 2011 (reg. ord. n. 184 del 2011), il Tribunale ordinario di Torino ― sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; 

che l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 stabilisce che: «L’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 14 gennaio 2004, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2004, n. 63, si interpreta nel senso che, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 26 giugno 2001, nella causa C-212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’art. 4 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto-legge n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge»;

che la questione di costituzionalità, avente ad oggetto l’ultimo periodo dell’art. 26, comma 3 («Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge»), è stata sollevata nel corso di un giudizio che – secondo quanto riferisce il Tribunale rimettente – concerne la fondatezza della «richiesta, da parte di un collaboratore esperto linguistico, assunto presso l’Università degli studi di Torino, di ottenere l’equiparazione del proprio trattamento economico a quello del ricercatore assunto a tempo definito, con conseguente condanna dell’Università convenuta al pagamento delle differenze retributive per il passato e all’adeguamento del trattamento economico per il futuro»;

che, ad avviso del Tribunale rimettente, «la rilevanza della norma è del tutto palese: infatti, la novella legislativa è senz’altro applicabile ai giudizi in corso e la controversia de quo dovrebbe essere necessariamente decisa (o meglio dovrebbe essere immediatamente estinta) sulla base dell’art. 26, comma 3» della legge n. 240 del 2010, con conseguente rilevanza della questione di legittimità costituzionale ai fini della definizione del giudizio principale;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente nega la possibilità di operare un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, in quanto la stessa «è assolutamente stringente e, prevedendo un’ipotesi extra ordinem di estinzione del processo, impedisce ogni possibile ulteriore azione al giudice diversa dalla ordinanza dichiarativa, appunto, dell’estinzione»;

che, secondo il giudice rimettente, l’ultimo periodo dell’art. 26, comma 3, lederebbe innanzi tutto il diritto di difesa sancito dall’art. 24, primo comma, Cost., poiché «la parte privata vedrebbe definire il procedimento dalla medesima iniziata per tutelare il proprio asserito diritto mediante una pronuncia di mero rito, che non prende in esame la fondatezza della propria pretesa ma che si limita ad estinguere il processo»;

che, inoltre, ad avviso del Tribunale rimettente, la norma censurata violerebbe il principio del giusto processo – sancito dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della CEDU, che vincola il legislatore nazionale ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost. – sia sotto il profilo della parità delle armi, in quanto lo Stato «utilizza un mezzo inaccessibile all’altra parte, posteriore all’inizio del procedimento nonché isolato nel nostro sistema giuridico, per ottenere l’assoluzione dalle pretese avanzate nel giudizio», sia sotto il profilo della ragionevole durata del processo, in quanto l’estinzione del processo in conseguenza dell’applicazione della norma impugnata determinerebbe una situazione nella quale, «sia che il ricorrente decida di presentare un nuovo ricorso, sia che decida di impugnare il provvedimento che dichiara l’estinzione del giudizio, vi è un evidente e inevitabile prolungamento dei tempi processuali, senza che vi sia alcuna ragione effettiva a giustificarlo»;

che, infine, secondo il rimettente, l’art. 26, comma 3, ultimo periodo, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto, prevedendo l’estinzione del giudizio solo per le controversie in corso alla data di entrata in vigore della legge, produrrebbe una disparità di trattamento tra i soggetti ricorrenti nelle controversie relative al trattamento economico dei collaboratori esperti linguistici «in base al mero dato temporale della definizione del processo prima o dopo l’entrata in vigore di tale legge», e in quanto perseguirebbe una finalità ultronea rispetto alla volontà del legislatore di fornire una interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 2 del 2004 e, comunque, determinerebbe un utilizzo improprio dell’istituto processuale dell’estinzione, violando, così, il principio di ragionevolezza;

che, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il 4 ottobre 2011, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’irrilevanza della questione e l’infondatezza delle censure sollevate;

che, in punto di rilevanza, la difesa dello Stato sostiene che, avendo l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 dato piena soddisfazione alle pretese vantate dagli ex lettori di madrelingua straniera, «l’ordinanza avrebbe dovuto essere supportata quantomeno dalla prospettazione (…) che in caso di accoglimento della questione di costituzionalità potrebbe pervenirsi ad una statuizione diversa e più favorevole per [la] parte istante»;

che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la norma impugnata non contrasterebbe con l’art. 24 Cost. in quanto, «essendo l’obiettivo perseguito dai ricorrenti attraverso lo strumento processuale, soddisfatto da quanto disposto dal medesimo articolo 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010, per evidenti ragioni di economia processuale, i giudizi pendenti all’entrata in vigore della norma non hanno più ragione d’essere»;

che, ad avviso della difesa dello Stato, sarebbero parimenti non fondate le censure riguardanti gli artt. 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, in quanto «l’avvenuto riconoscimento del bene della vita esclude che l’estinzione del giudizio si traduca in un illegittimo utilizzo della parte pubblica di strumenti di risoluzione delle controversie preclusi al privato», e che neppure sarebbe leso il principio di ragionevole durata dei processi, in quanto la disciplina impugnata risponderebbe, al contrario, «al principio di economia processuale, che impone l’estinzione di quei processi che non abbiano più ragion d’essere, onde evitare un inutile dispendio di risorse pubbliche e al fine di garantire una deflazione del contenzioso, assicurando in tal modo il buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 Cost., in particolare dell’amministrazione della giustizia»;

che, infine, la difesa dello Stato ritiene che la dedotta disparità di trattamento tra ricorrenti, a seconda che i giudizi in materia si siano conclusi prima o dopo l’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, non sussisterebbe, in quanto, benché solo nel primo caso i ricorrenti abbiano ottenuto una sentenza di merito, «ciò che rileva è che la pretesa economica vantata sia soddisfatta in entrambi i casi, anche se con strumenti diversi».

Considerato che, con ordinanza pervenuta presso la cancelleria di questa Corte il 22 luglio 2011 (reg. ord. n. 184 del 2011), il Tribunale ordinario di Torino ― sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), ai sensi del quale «Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge», per violazione degli artt. 3, 24 e 111, nonché dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

che la difesa dello Stato deduce l’inammissibilità della questione, in quanto sostiene che, avendo l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 dato piena soddisfazione alle pretese vantate dagli ex lettori di madrelingua straniera, i ricorrenti non potrebbero trarre da una eventuale pronuncia di merito alcuna utilità ulteriore rispetto a quella riconosciuta dalla disposizione in esame e, quindi, che «l’ordinanza avrebbe dovuto essere supportata quantomeno dalla prospettazione (…) che in caso di accoglimento della questione di costituzionalità potrebbe pervenirsi ad una statuizione diversa e più favorevole per [la] parte istante»;

che, ai fini del giudizio di ammissibilità, si deve rilevare l’assenza, nell’ordinanza di rimessione, di una motivazione in ordine alla rilevanza, sotto i profili di seguito indicati;

che, innanzi tutto, il giudice rimettente si limita ad asserire che «la novella legislativa è senz’altro applicabile ai giudizi in corso e la controversia de quo dovrebbe essere necessariamente decisa (o meglio dovrebbe essere immediatamente estinta) sulla base dell’art. 26, comma 3», senza motivare in merito alla applicabilità di tale disposizione a un giudizio che interessa, in veste di resistente, l’Università degli studi di Torino, non inclusa tra le università elencate nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 14 gennaio 2004, n. 2 (Disposizioni urgenti relative al trattamento economico dei collaboratori linguistici presso talune Università ed in materia di titoli equipollenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2004, n. 63, che l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 espressamente richiama;

che, inoltre, lo stesso giudice rimettente riferisce che il giudizio principale trae origine della «richiesta, da parte di un collaboratore esperto linguistico, assunto presso l’Università degli studi di Torino, di ottenere l’equiparazione del proprio trattamento economico a quello del ricercatore assunto a tempo definito, con conseguente condanna dell’Università convenuta al pagamento delle differenze retributive per il passato e all’adeguamento del trattamento economico per il futuro», ma non chiarisce se il ricorrente nel giudizio principale sia stato assunto per la prima volta come collaboratore esperto linguistico, a norma dell’art. 4 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120 (Disposizioni urgenti per il funzionamento delle università), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236, o come lettore di madrelingua straniera, a norma dell’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), con conseguente impossibilità di accertare la natura della pretesa fatta valere in giudizio e l’eventuale soddisfazione della stessa ad opera del legislatore;

che, infine, il tribunale rimettente non indica le ragioni per le quali la norma censurata, prevedendo l’estinzione dei giudizi pendenti «in materia», debba applicarsi al giudizio principale, né chiarisce quale rapporto sussista tra l’eventuale estinzione e le pretese sostanziali vantate dal ricorrente, aspetto tanto più rilevante in quanto la difesa dello Stato afferma che la disciplina sostanziale dettata dall’art. 26, comma 3, «ha dato corretta esecuzione alle pronunce della Corte di giustizia in subiecta materia riconoscendo in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantate» e ha, quindi, «disposto l’estinzione dei giudizi in corso solo a seguito, e in ragione, del pieno riconoscimento a favore degli ex lettori di madrelingua straniera del bene della vita al quale i medesimi aspirano con la proposizione del contenzioso»;

che, per le ragioni indicate, la questione sollevata è inammissibile per carenza di motivazione in merito alla applicabilità della norma censurata al giudizio principale, nonché per la insufficiente descrizione della fattispecie, in quanto il rimettente non individua con esattezza né la pretesa sostanziale fatta valere in giudizio dal ricorrente, né la correlazione esistente tra tale pretesa e la norma censurata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Torino ― sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 febbraio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2012.