Ordinanza n. 219 del 2011

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ORDINANZA N. 219

ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alfonso                  QUARANTA                                     Presidente

-    Paolo                      MADDALENA                                    Giudice

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                       ”

-    Alessandro             CRISCUOLO                                            ”

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, nel procedimento vertente tra il Procuratore regionale presso la sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte e T.B. ed altro, con ordinanza del 13 maggio 2010, iscritta al n. 263 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che con ordinanza del 13 maggio 2010, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, per violazione, degli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione;

che il remittente premette che un appuntato scelto e un appuntato dell’Arma dei Carabinieri sono stati condannati, con sentenza del Tribunale di Torino del 12 giugno 2008, n. 1704, «per essersi appropriati, in veste di pubblici ufficiali, nel corso di diversi accertamenti nei confronti di cittadini extracomunitari, di somme di denaro e droga appartenenti a soggetti controllati»;

che la Procura della Corte dei conti, prosegue il giudice a quo, ha citato in giudizio i due soggetti sopra indicati affinché gli stessi venissero condannati al risarcimento del danno all’immagine subito dall’Arma dei Carabinieri, determinato equitativamente in euro 30.000,00;

che il giudice remittente sottolinea come entrambi i convenuti abbiano eccepito la nullità degli atti processuali ed istruttori ai sensi del citato art. 17, comma 30-ter;

che, in particolare, tale articolo stabilisce che le Procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche);

che, a sua volta, l’art. 7 richiamato prevede che «la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente Procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato»;

che la norma censurata stabilisce, altresì, da un lato, che il decorso del termine di prescrizione, di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale; dall’altro, che qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al più volte citato comma 30-ter dell’art. 17 del d.l. n. 78 del 2009, «salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta»;

che, alla luce del contenuto della normativa sopra riportata, la Corte remittente sottolinea come, non essendo ancora passata in giudicato la sentenza di condanna, l’azione è stata «esercitata al di fuori della previsione normativa e, pertanto, gli atti procedimentali (atto di citazione) posti in essere successivamente all’entrata in vigore della stessa andrebbero dichiarati nulli»;

che, esposto ciò, con riferimento al giudizio di non manifesta infondatezza, si assume che la norma in esame contrasterebbe con:

a) l’art. 3 Cost., in quanto sarebbe irragionevole differenziare, senza alcuna plausibile ragione, l’azione di responsabilità per ottenere il danno patrimoniale, per la quale non è prevista alcuna condizione, rispetto all’azione esperita quando si intende chiedere il danno all’immagine dell’ente;

b) gli artt. 97 e 111 Cost., in quanto si costringono le Procure «ad incardinare distinti procedimenti per il risarcimento del danno all’immagine e di quello patrimoniale in senso stretto, atteso che per quest’ultimo non vale la sospensione del termine di prescrizione introdotta per il danno all’immagine; ciò comporta all’evidenza una duplicazione dell’attività processuale con inutile dispendio di tempo, di risorse ed energie»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate vengano dichiarate inammissibili e infondate;

che, in particolare, con riferimento all’asserita violazione degli artt. 97 e 111 Cost., si assume come le censure formulate siano generiche e prive di motivazione;

che, nel merito, comunque, il rinvio della proposizione dell’azione al passaggio in giudicato della sentenza è «finalizzato ad evitare un inutile dispendio di attività giurisdizionale (prevenendo tra l’altro un possibile contrasto di giudicati)»;

che, con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., si assume come non sussista alcuna “disparità di trattamento” tra il danno all’immagine e il danno patrimoniale, in quanto non sussisterebbero le presunte difficoltà operative di mero fatto e gli indimostrati aggravi nell’esercizio dell’azione.

Considerato che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, con ordinanza del 13 maggio 2010 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, per asserita violazione degli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione;

che la questione è manifestamente infondata;

che la norma censurata prevede che le Procure regionali della Corte dei conti esercitino l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche);

che il richiamato art. 7 della legge n. 97 del 2001, a sua volta, fa riferimento, ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo dell’azione risarcitoria, alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate, nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale;

che, con una prima censura, si assume la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto sarebbe irragionevole differenziare, senza alcuna plausibile giustificazione, l’azione di responsabilità per ottenere il danno patrimoniale, per la quale non è prevista alcuna condizione, rispetto all’azione esperita quando si intende chiedere il danno all’immagine dell’ente, per la quale è richiesto il passaggio in giudicato della sentenza di condanna;

che, con riguardo all’ambito di applicazione della norma in esame, questa Corte, con la sentenza n. 355 del 2010, ha affermato che la scelta di non estendere l’azione risarcitoria anche in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli espressamente previsti, può essere considerata non manifestamente irragionevole;

che «il legislatore ha ritenuto, infatti, nell’esercizio della propria discrezionalità, che soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione, possa essere proposta l’azione di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’ente pubblico»;

che «la circostanza che il legislatore abbia inteso individuare esclusivamente quei reati che contemplano la pubblica amministrazione quale soggetto passivo concorre a rendere non manifestamente irragionevole la scelta legislativa in esame»;

che, è bene aggiungere rispetto a quanto già affermato da questa Corte e in relazione alla specifica prospettazione svolta dal remittente, una volta rinvenuta una giustificazione alla previsione che impone la sussistenza di una sentenza di condanna per uno dei reati sopra indicati, è ragionevole che il legislatore abbia richiesto che tale sentenza acquisisca il crisma della definitività prima che inizi il procedimento per l’accertamento della responsabilità amministrativa derivante dalla lesione dell’immagine dell’amministrazione;

che quanto sin qui esposto giustifica la diversità di trattamento giuridico tra le ipotesi di responsabilità per danno patrimoniale, che non richiede la sussistenza di una sentenza di condanna passata in cosa giudicata, e quelle per responsabilità per lesione dell’immagine dell’amministrazione;

che non meritano accoglimento neanche le censure riferite agli artt. 97 e 111 Cost., con le quali il giudice a quo lamenta che la norma censurata costringerebbe le Procure contabili «ad incardinare distinti procedimenti per il risarcimento del danno all’immagine e di quello patrimoniale in senso stretto», con conseguente «duplicazione dell’attività processuale» ed «inutile dispendio di tempo, di risorse ed energie»;

che – a prescindere dalla genericità delle censure e dalla inconferenza del richiamo, in particolare, all’art. 97 Cost., che non trova applicazione in materia processuale – deve rilevarsi come, una volta ritenuta ragionevole la differenza di regime giuridico tra la responsabilità amministrativa per danno patrimoniale e la tipologia di danno che viene in esame in questa sede, ne consegue la manifesta infondatezza delle doglianze in esame;

che, in particolare, è proprio la diversità delle situazioni poste a confronto che giustifica l’autonoma articolazione dei percorsi procedimentali configurati dal legislatore ai fini dell’accertamento della sussistenza dei danni patrimoniali e all’immagine, senza che possa evocarsi un’inutile «duplicazione dell’attività processuale», con incidenza negativa sulla durata ed “efficacia” del procedimento.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente e Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2011.