Ordinanza n. 133 del 2011

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ORDINANZA N. 133

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Ugo                             DE SIERVO                                    Presidente

-           Paolo                           MADDALENA                                  Giudice

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                      "

-           Alfonso                       QUARANTA                                           "

-           Franco                         GALLO                                                    "

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

-           Sabino                         CASSESE                                                "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                      "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

-           Giorgio                        LATTANZI                                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 57, comma 1, lettera a), e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituiti dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell'articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), promosso dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Venezia, sezione di Mestre, nel giudizio di opposizione all’esecuzione presso terzi promosso dall’esecutato nei confronti dell’agente della riscossione Equitalia Polis s.p.a., con ordinanza del 30 settembre 2009, iscritta al n. 118 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2010.

            Visti l’atto di costituzione della s.p.a. Equitalia Polis e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;

            uditi l’avvocato Marco Galdi per la s.p.a. Equitalia Polis e l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza pronunciata nel corso di un giudizio di opposizione all’esecuzione esattoriale e depositata il 30 settembre 2009, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Venezia, sezione di Mestre, chiamato a decidere in via cautelare sulla sospensione dell’esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità «del combinato disposto» degli artt. 57, comma 1, lettera a), e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituiti dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell'articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), in vigore dal 1° luglio 1999, in forza dei quali: a) «Il giudice dell’esecuzione non può sospendere il processo esecutivo, salvo che ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave ed irreparabile danno» (art. 60); b) «Non sono ammesse […] le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni» (art. 57, comma 1, lettera a);

che detto combinato disposto è denunciato dal giudice a quo «nella parte in cui, nel dichiarare inammissibili le opposizioni all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., impedisce, pur in presenza di un danno grave ed irreparabile e di gravi motivi, la concessione della sospensione dell’esecuzione»;

che, secondo quanto il giudice rimettente premette in punto di fatto: a) il pignoramento era stato eseguito presso terzi in forza di somme iscritte a ruolo a titolo sia di «sanzioni stradali» sia di «tributi»; b) il debitore esecutato aveva dedotto, quali motivi di opposizione all’esecuzione, la mancata notificazione delle «cartelle sottese al pignoramento», l’indeterminatezza delle pretese creditorie, l’intervenuto sgravio delle somme relative ad alcuni tributi, nonché, infine, la sopravvenuta prescrizione decennale della pretesa tributaria concernente l’IVA; c) l’istanza dell’opponente di sospendere in via cautelare l’esecuzione era stata accolta solo in via provvisoria; d) l’agente della riscossione si era successivamente costituito in giudizio eccependo l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973, la tardività dell’opposizione – da qualificarsi come opposizione agli atti esecutivi, perché riguardante le «formalità della notificazione degli avvisi di mora» –, l’infondatezza della dedotta omessa notificazione delle cartelle di pagamento poste a fondamento del pignoramento, la tardività ed inammissibilità delle domande dell’opponente, l’inesistenza di sgravi tributari; e) il medesimo agente della riscossione non aveva adempiuto l’ordine – successivamente emesso dal giudice al fine di acquisire elementi utili per provvedere in via definitiva sull’istanza di sospensione dell’esecuzione – di depositare in giudizio le suddette cartelle di pagamento, adducendo a propria giustificazione di essere in possesso esclusivamente delle corrispondenti relate di notificazione, già prodotte in giudizio, e di dover rispettare i tempi tecnici necessari per la ristampa delle cartelle stesse;

che, secondo quanto il medesimo giudice rimettente premette in punto di diritto: a) con riferimento alla richiesta di sospensione dell’esecuzione, ricorrono entrambi i requisiti richiesti dall’art. 60 del d.P.R. n. 602 del 1973 per la concessione di tale misura cautelare, e cioè sia il fumus boni iuris sostanziale (in quanto l’agente della riscossione non ha fornito la prova dell’avvenuta notificazione delle «cartelle esattoriali» e, quindi, dell’avvenuta interruzione del decorso della eccepita prescrizione decennale del credito IVA) sia il periculum in mora («in quanto l’entità della somma azionata in executivis – 75.470,10 di cui la maggior parte per IVA – può arrecare un grave ed irreparabile danno all’esecutato»); b) tuttavia la sospensione concessa in via provvisoria non può essere definitivamente confermata, perché l’istanza cautelare si inserisce in un procedimento di opposizione all’esecuzione che, in quanto non concerne la pignorabilità dei beni, va considerata inammissibile in forza dell’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973; c) detto art. 57 è applicabile alla fattispecie di causa, «atteso che la maggior parte della somma iscritta a ruolo è riferibile ad IVA»;

che in base a tali premesse, ad avviso del giudice a quo, le denunciate disposizioni si pongono in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, perché la previsione dell’inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione esattoriale con le quali si contesti non la pignorabilità dei beni, ma l’esistenza (nella specie, per intervenuta prescrizione del credito dell’IVA) o l’entità del credito: a) introduce un «ingiustificabile ed irragionevole privilegio a favore del concessionario per le entrate tributarie», arrecando cosí una lesione del principio di parità di trattamento (fissato dall’art. 3 Cost.), lesione che non trova un adeguato correttivo né nell’eventuale esercizio del potere amministrativo di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 39 del suddetto decreto, né nella possibilità per l’esecutato di proporre nei confronti dell’agente della riscossione una successiva azione risarcitoria, ai sensi dell’art. 59 del medesimo decreto; b) lede il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti (fissato dal primo comma dell’art. 24 Cost.) senza che tale vulnus trovi giustificazione nell’esigenza di riscuotere con speditezza le imposte non pagate (tenuto conto anche «delle nuove misure e mezzi che il legislatore, con il DL 203/2005 ha attribuito ai concessionari»);

che, in ordine alla rilevanza, il giudice rimettente afferma che: a) non ha consumato il proprio potere cautelare, perché deve ancora provvedere sulla conferma della sospensione dell’esecuzione, a suo tempo disposta solo in via provvisoria ed inaudita altera parte; b) l’inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione esattoriale – stabilita dal denunciato comma 1, lettera a), dell’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 –esclude, nella specie, la sussistenza del fumus boni iuris processuale necessario (ai sensi dell’art. 60 dello stesso decreto) per concedere in via definitiva la suddetta sospensione; c) l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale comporterebbe il definitivo accoglimento della domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione;

che si è costituito in giudizio l’agente della riscossione Equitalia Polis s.p.a. eccependo l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza della questione;

che l’inammissibilità deriverebbe, ad avviso della parte, da quattro diverse ragioni: in primo luogo, dall’omessa descrizione della fattispecie (non essendo stata indicata la data di notificazione delle cartelle di pagamento); in secondo luogo, dall’inesistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare di sospensione dell’esecuzione, in considerazione della mancanza sia del fumus boni iuris circa la dedotta prescrizione dei crediti tributari (dato l’avvenuto deposito nel giudizio a quo della copia delle relate di notificazione delle cartelle di pagamento e data la non necessità, al fine di accertare l’interruzione della suddetta prescrizione, del deposito delle cartelle stesse) sia del periculum in mora (in quanto l’esborso di una somma di denaro non costituisce un danno irreparabile); in terzo luogo, dall’omesso tentativo di del rimettente di interpretare in modo conforme a Costituzione le disposizioni denunciate; in quarto luogo, infine, dalla carente motivazione del prospettato dubbio di legittimità;

che l’infondatezza deriverebbe, sempre a parere della medesima parte: a) dal fatto che gli atti antecedenti all’avviso della procedura di riscossione coattiva di entrate tributarie sono impugnabili davanti alle commissioni tributarie, con la conseguenza che ammettere l’opposizione all’esecuzione esattoriale con riferimento a tali atti comporterebbe l’elusione dei termini decadenziali previsti per la loro impugnazione nonché una irragionevole sovrapposizione tra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria ; b) dalla ragionevolezza della previsione per la quale «è possibile impugnare un atto per i soli vizi suoi propri, non certo per motivi relativi ad un atto precedente, che, tuttavia, è rimasto inoppugnato»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza o, comunque, non fondata;

che, per la difesa dello Stato (la quale richiama numerose pronunce della Corte costituzionale), il procedimento di riscossione coattiva delle imposte, improntato a criteri di semplicità e speditezza, risponde all’esigenza di pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato, cosí da giustificare un trattamento differenziato dell’esecuzione esattoriale, rispetto all’ordinario processo esecutivo, e da escludere la violazione dei princípi di uguaglianza e di ragionevolezza, non sussistendo, oltretutto, un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali;

che, in particolare, la suddetta Avvocatura generale, nel richiamarsi alla relazione al d.lgs. n. 46 del 1999, osserva che l’impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie delle cartelle di pagamento di tributi e dei relativi avvisi di mora «rende inutile la previsione di un’opposizione ex art. 615 c.p.c. o ex art. 617» e, quindi, anche della sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 602 del 1973, dati gli strumenti di difesa posti dalla legge a disposizione del contribuente, il quale ha la possibilità non solo di chiedere la sospensione dell’efficacia delle cartelle e degli avvisi di mora al giudice tributario (ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992) ovvero alla stessa amministrazione finanziaria (ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 602 del 1973), ma anche di proporre azione risarcitoria nei confronti dell’agente della riscossione dopo il compimento dell’esecuzione (ai sensi dell’art. 59 del d.P.R. n. 602 del 1973);

che, per la difesa dello Stato, in conclusione, «la pretesa del tribunale di estendere all’esecuzione esattoriale la disciplina prevista dall’art. 615 cod. proc. civ. non solo determina una superflua duplicazione dei rimedi processuali già offerti dall’ordinamento tributario, ma comporta altresí lo sconfinamento dei poteri cognitivi del giudice ordinario in materia riservata alla giurisdizione esclusiva di altro giudice»;

che, con memoria depositata in prossimità della pubblica udienza, la Equitalia Polis s.p.a., quale agente della riscossione, ha ribadito quanto dedotto nell’atto di costituzione, insistendo nelle già formulate conclusioni.

Considerato che il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Venezia, sezione di Mestre, dubita − in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione − della legittimità «del combinato disposto» degli artt. 57, comma 1, lettera a), e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituiti dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), in vigore dal 1° luglio 1999, secondo i quali: a) «Non sono ammesse […] le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni» (art. 57, comma 1, lettera a); b) «Il giudice dell’esecuzione non può sospendere il processo esecutivo, salvo che ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave ed irreparabile danno» (art. 60);

che, in particolare, il giudice a quo − chiamato a decidere in via cautelare sulla sospensione di un’esecuzione esattoriale − censura il suddetto combinato disposto «nella parte in cui, nel dichiarare inammissibili le opposizioni all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., impedisce, pur in presenza di un danno grave ed irreparabile e di gravi motivi, la concessione della sospensione dell’esecuzione»;

che, secondo il rimettente, tale norma, vietando nei suddetti limiti la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione esattoriale e, quindi, impedendo la sospensione dell’esecuzione nel caso in cui ricorra il divieto dell’opposizione, víola: a) l’art. 3 Cost., in quanto introduce un «ingiustificabile ed irragionevole privilegio a favore del concessionario per le entrate tributarie», senza che costituiscano adeguato correttivo a tale privilegio né l’eventuale esercizio del potere amministrativo di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 39 del suddetto decreto, né la possibilità per l’esecutato di proporre nei confronti dell’agente della riscossione una successiva azione risarcitoria, ai sensi dell’art. 59 del medesimo decreto; b) il primo comma dell’art. 24 Cost., in quanto esclude una effettiva tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente, senza che ciò possa trovare giustificazione nell’esigenza di riscuotere con speditezza le imposte non pagate;

che la questione − dal rimettente espressamente ristretta al caso delle opposizioni alle esecuzioni esattoriali promosse per crediti tributari − è manifestamente inammissibile per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza;

che il giudice a quo muove dai seguenti due presupposti, tra loro legati da un nesso di consequenzialità logica: 1) in base al primo, l’amministrazione finanziaria non ha notificato al contribuente gli atti impositivi che costituiscono i titoli posti a fondamento dell’esecuzione esattoriale; 2) in base al secondo, tale mancata notificazione non ha consentito al contribuente di impugnare i suddetti atti impositivi, cosí che il divieto di proporre opposizione all’esecuzione, stabilito dalle disposizioni censurate, si traduce in una irragionevole violazione del diritto di difesa dello stesso contribuente, quale debitore esecutato;

che il primo di tali presupposti sarebbe dimostrato, per il rimettente, dal fatto che l’inottemperanza dell’agente della riscossione all’ordine di depositare in giudizio la copia delle cartelle poste a fondamento dell’esecuzione ha impedito sia di individuare il contenuto delle cartelle stesse sia di riferire a queste le «relate di notificazione» prodotte dall’agente e, quindi, non ha consentito al giudice di valutare se il contribuente abbia avuto l’effettiva possibilità di impugnare davanti alle commissioni tributarie le cartelle per le quali si procede esecutivamente;

che tale assunto del giudice a quo non è adeguatamente motivato, perché: a) una volta riconosciuta dal rimettente la regolarità del procedimento notificatorio a mezzo posta, il deposito della copia della cartelle da lui ordinato può contribuire all’individuazione della pretesa tributaria, ma certamente non è idoneo a dimostrare la correlazione tra dette cartelle e le «relate di notificazione» prodotte in giudizio; b) comunque, il contenuto delle cartelle è pienamente individuabile, in base agli estratti del ruolo (artt. 12 e 25 del d.P.R. n. 602 del 1973) già prodotti nel giudizio principale, come risulta dagli atti; c) il rimettente, inoltre, non ha preso in considerazione le intimazioni di pagamento prodotte nel giudizio principale – denominate anche «avvisi di mora» nelle difese dell’agente della riscossione prospettate in quel giudizio –, le quali fanno esplicito riferimento al mancato pagamento delle sopra menzionate cartelle, sono state regolarmente notificate al contribuente a mezzo della posta e, al pari delle cartelle di pagamento, erano autonomamente impugnabili davanti al giudice tributario;

che, perciò, il rimettente non indica le ragioni per le quali ritiene che – nonostante quanto sopra evidenziato – non siano state notificate al contribuente né le cartelle né le successive intimazioni di pagamento;

che la possibilità di impugnare davanti al giudice tributario tali atti impositivi farebbe venir meno il presupposto da cui muove il rimettente nel prospettare le sue censure, e cioè che il contribuente non ha avuto in concreto la possibilità di richiedere a detto giudice di sospendere, in via cautelare, l’efficacia degli atti e che, quindi, l’opposizione all’esecuzione esattoriale è l’unico strumento a disposizione del debitore per contestare il diritto dell’amministrazione finanziaria a procedere esecutivamente;

che, dunque, le sopra indicate carenze argomentative in ordine alla mancata notificazione degli atti impositivi si risolvono in una evidente insufficienza di motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale

«del combinato disposto» degli artt. 57, comma 1, lettera a), e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituiti dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell'articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), sollevata dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Venezia, sezione di Mestre, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2011.