Ordinanza n. 131 del 2011

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ORDINANZA N. 131

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Ugo                           DE SIERVO             Presidente

- Paolo                         MADDALENA        Giudice

- Alfio                          FINOCCHIARO          "

- Alfonso                     QUARANTA               "

- Franco                       GALLO                        "

- Luigi                          MAZZELLA                "

- Gaetano                     SILVESTRI                  "

- Sabino                       CASSESE                     "

- Giuseppe                   TESAURO                    "

- Paolo Maria               NAPOLITANO           "

- Giuseppe                   FRIGO                          "

- Alessandro                CRISCUOLO               "

- Paolo                         GROSSI                        "

- Giorgio                      LATTANZI                  "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice di pace di Gallina con ordinanza del 14 maggio 2010 e dal Giudice di pace di Albano Laziale con ordinanze del 26 maggio e del 7 luglio 2010 rispettivamente iscritte ai nn. 257, 281 e 301 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della Repubblica nn. 38, 40 e 41, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che, con ordinanza del 14 maggio 2010, il Giudice di pace di Gallina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);

che il giudice a quo premette, in fatto, di dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario accusato del nuovo reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui all’art.10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;

che il rimettente, in punto di non manifesta infondatezza, ritiene che la norma censurata violi il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. perché la scelta di far discendere una sanzione di tipo penale dalla condotta di chi si introduce o si intrattiene clandestinamente nel territorio nazionale mancherebbe di un fondamento giustificativo;

che, inoltre, l’irragionevolezza discenderebbe anche dal trattamento sanzionatorio, giacché il legislatore avrebbe previsto una pena priva di effettività, di funzione deterrente e di efficacia rieducativa, in quanto chi è spinto ad emigrare da condizioni di vita insostenibili, per sfuggire alle quali è disposto anche a rischiare la morte, non cambia certamente idea di fronte al rischio di una sanzione pecuniaria, per quanto elevata e non oblazionabile;

che, inoltre, la quasi totalità degli stranieri irregolari condannati risulterà insolvibile, rendendo inutile anche ogni forma di esecuzione coattiva;

che il Giudice di pace di Gallina lamenta anche la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento in relazione all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, a causa della mancata previsione della esclusione della colpevolezza in caso di «giustificato motivo»;

che la nuova fattispecie incriminatrice sarebbe in contrasto anche con il principio di personalità della responsabilità penale sancito dall’art. 27 Cost., non potendosi individuare il fondamento giuridico di detta figura di reato sulla base di una presunta pericolosità sociale della condizione del migrante irregolare come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 78 del 2007;

che, a parere del rimettente, sarebbe violato anche l’art. 25 Cost. perché l’ingresso o la permanenza illegale del singolo straniero non rappresenterebbero, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sarebbero espressione di una condizione individuale quale quella di migrante, e, pertanto, la relativa incriminazione assumerebbe un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastando non solo con il principio di eguaglianza, ma anche con il principio costituzionale in materia penale in base al quale si può essere puniti solo per la commissione di fatti materiali;

che, con due ordinanze identiche nella parte motiva emesse rispettivamente il 26 maggio e il 7 luglio del 2010, il Giudice di pace di Albano Laziale ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009;

che, a parere del rimettente, la norma censurata non rispetterebbe il principio di offensività delle condotte secondo il quale il ricorso alla sanzione penale è ammesso nel nostro ordinamento esclusivamente a protezione di beni giuridici di rilievo costituzionale e solo come scelta estrema del legislatore mentre le condotte incriminate dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 non sarebbero lesive del bene della sicurezza pubblica né sarebbero di particolare pericolosità sociale, ma piuttosto espressione di una condizione individuale quale quella di migrante, la cui incriminazione sarebbe discriminatoria;

che, inoltre, la sanzione penale sarebbe caratterizzata da una forma di subordinazione nei confronti dell’azione amministrativa diretta all’espulsione o al respingimento, dato che l’art. 10-bis, al comma 2 e al comma 5, prevede la non applicabilità o la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nel caso di respingimento e espulsione, così violando il «principio della estrema ratio» già citato;

che, a parere del rimettente, risulterebbe violato anche il principio di uguaglianza a causa della possibilità di applicare la sanzione penale non «in funzione di volontà o atti del soggetto incriminato», ma in funzione della discrezionalità e disponibilità di mezzi della pubblica amministrazione che deve disporre il provvedimento di espulsione, potendo così verificarsi che uno stesso comportamento venga o meno sanzionato a causa di circostanze estranee alla sfera di intervento degli imputati;

che il rimettente lamenta, sempre in violazione del principio di uguaglianza, la mancata previsione della scriminante del giustificato motivo, così come per il reato analogo di cui all’art. 14, comma 5, della legge 28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio);

che, infine, i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione verrebbero violati dalla previsione di una sanzione penale «fuori della solvibilità della stragrande maggioranza degli stranieri incriminati», in tal modo compromettendo l’effettività della sanzione stessa e la sua funzione deterrente e rieducativa con una irragionevole proliferazione di processi e consequenziale dispendio di risorse pubbliche.

Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;

che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;

che i rimettenti in tutte le ordinanze di rimessione si limitano a riportare un generico capo d’imputazione senza fare alcun riferimento alla vicenda concreta oggetto del giudizio;

che, in mancanza di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta che ha dato origine all’imputazione, resta inibita a questa Corte la necessaria verifica circa l’influenza della questione di legittimità sulla decisione richiesta al rimettente;

che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, dal Giudice di pace di Gallina e dal Giudice di pace di Albano laziale con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2011.