Ordinanza n. 317 del 2010

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ORDINANZA N. 317

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                    AMIRANTE                                    Presidente

-           Ugo                             DE SIERVO                                     Giudice

-           Paolo                           MADDALENA                                    ”

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                  ”

-           Alfonso                       QUARANTA                                        ”

-           Franco                         GALLO                                                 ”

-           Luigi                            MAZZELLA                                         ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                          ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                            ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                    ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                  ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                       ”

-           Paolo                           GROSSI                                                ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), promosso dal Pretore di Salerno, sezione distaccata di Amalfi, nel procedimento penale a carico di F. G. con ordinanza del 22 marzo 1999, iscritta al n. 122 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2010.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

       udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza del 22 marzo 1999, trasmessa dalla cancelleria, dopo oltre dieci anni, il 18 gennaio 2010 e pervenuta a questa Corte il 23 marzo 2010 (r.o. n. 122 del 2010), il Pretore di Salerno, sezione distaccata di Amalfi, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), nella parte in cui non prevedono che il decreto di citazione a giudizio, emesso dal giudice per le indagini preliminari in seguito ad opposizione a decreto penale di condanna, debba essere preceduto, a pena di nullità, dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio, ai sensi dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen.;

che, ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione di detto invito e la conseguente negazione all’imputato della possibilità di contestare anticipatamente il fondamento dell’accusa in sede di interrogatorio comporterebbero una violazione del principio di eguaglianza;

che l’opponente a decreto di condanna verrebbe trattato, infatti, in modo ingiustificatamente deteriore rispetto all’imputato nei cui confronti si procede nei modi ordinari e, in particolare, tramite citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 555 cod. proc. pen. (ipotesi nella quale – per effetto delle modifiche introdotte dalle norme censurate – il decreto di citazione deve essere invece preceduto, a pena di nullità, dall’invito in questione);

che se pure, all’origine, non vi è identità di posizione processuale tra chi, all’esito delle indagini preliminari, viene citato a giudizio e chi è direttamente condannato con decreto, le due posizioni diverrebbero, nondimeno, pienamente assimilabili una volta che sia presentata opposizione al decreto di condanna, senza che con essa vengano richiesti il patteggiamento, il giudizio abbreviato o l’oblazione;

che in questo caso, infatti, l’opposizione è diretta a «recuperare le “vie ordinarie” del processo», esprimendo «un deciso dissenso dalle conclusioni accusatorie»;

che mentre, però, con l’interrogatorio che deve precedere il decreto di citazione a giudizio di cui all’art. 555 cod. proc. pen., l’imputato ha la possibilità di difendersi in via preliminare dalle accuse mosse nei suoi confronti – potendo addirittura indurre il pubblico ministero a presentare richiesta di archiviazione – assai più ridotte risulterebbero le possibilità di difesa dell’opponente, citato a giudizio ai sensi degli artt. 464 e 456 cod. proc. pen.;

che quest’ultimo non sarebbe, infatti, in grado né di «rimuovere preliminarmente» l’imputazione formulata dal pubblico ministero, né di prospettare elementi atti a «far vacillare il castello accusatorio già dalle prime battute del processo futuro» (ciò, tenuto conto del fatto che il proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. può essere invocato da entrambe le parti, e non solo dall’imputato, col risultato di evitare un inutile e dispendioso dibattimento);

che la denunciata disparità di trattamento ridonderebbe, inevitabilmente, anche in un pregiudizio del diritto di difesa: diritto che, rispetto all’imputato opponente a decreto penale di condanna, risulterebbe «fortemente compresso, anzi escluso, nella fase investigativa», per poi «riespandersi» quando ormai, a seguito della valutazione discrezionale del pubblico ministero, «il fatto è stato ritenuto abbastanza fondato da meritare l’instaurazione del processo»;

che la questione sarebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, essendo il rimettente chiamato a trattare il giudizio dibattimentale conseguente alla rituale opposizione dell’imputato a un decreto penale di condanna a lire 975.000 di ammenda, emesso dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Salerno per la contravvenzione prevista dall’art. 5, lettera b), della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande): così che l’accoglimento della questione comporterebbe la nullità del decreto di citazione a giudizio emesso dal medesimo giudice a seguito dell’opposizione, in quanto non preceduto dall’invito di cui si tratta;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

            Considerato che il Pretore di Salerno, sezione distaccata di Amalfi, censura come contraria agli artt. 3 e 24 della Costituzione la mancata previsione, in rapporto al procedimento per decreto, di una disciplina corrispondente a quella introdotta per il procedimento ordinario a seguito delle modifiche operate dalla legge n. 234 del 1997: disciplina in forza della quale la richiesta di citazione a giudizio (nel procedimento con udienza preliminare) e il decreto di citazione a giudizio (nel procedimento a citazione diretta) debbono essere preceduti, a pena di nullità, dalla notificazione all’indagato dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio, ai sensi dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen. (artt. 416, comma 1, e 555, comma 2, cod. proc. pen., come novellati dall’art. 2 della citata legge n. 234 del 1997, attenendo il successivo art. 3 ai profili di diritto transitorio);

            che, in tale ottica, il rimettente chiede che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate nella parte in cui non prevedono che anche il decreto di citazione a giudizio, emesso dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell’opposizione a decreto penale di condanna (artt. 464 e 456 cod. proc. pen.), debba essere preceduto, a pena di nullità, dal predetto invito;

            che questa Corte si è, peraltro, già più volte pronunciata su analoghe questioni, sollevate in rapporto ai medesimi parametri costituzionali, dichiarandone la manifesta infondatezza (ordinanze n. 458 e n. 325 del 1999; nonché, con riguardo a questioni affini, volte ad introdurre l’obbligo del previo interrogatorio, o dell’invito a renderlo, quale condizione di validità della richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto penale di condanna, ordinanze n. 326 del 1999 e n. 432 del 1998);

            che, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost., si è in particolare rilevato come l’asserita esigenza di prevedere una anticipazione del contraddittorio, nelle forme suddette, sulla base di un raffronto con la disciplina del rito ordinario risulti «contraddetta dalle caratteristiche del procedimento per decreto penale, che, per la sua struttura di rito a contraddittorio eventuale e differito, improntato a criteri di economia processuale e di speditezza, non è comparabile, come tale, con gli altri modelli delineati dalla […] disciplina del processo penale» (ordinanza n. 326 del 1999): e ciò, neppure alla stregua delle innovazioni introdotte dalla legge n. 234 del 1997, poiché nel procedimento per decreto l’esigenza di garantire la conoscenza dell’indagine si trasferisce sulla fase processuale, conseguente all’opposizione;

che quanto, poi, all’ipotizzata lesione dell’art. 24 Cost., si è osservato che nel procedimento per decreto l’esperimento dei mezzi di difesa, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, si colloca parimenti nella fase susseguente all’opposizione: rimanendo escluso, al tempo stesso, che «alla previsione di un contraddittorio antecedente l’esercizio dell’azione penale» possa «assegnarsi il carattere di necessario svolgimento della garanzia costituzionale della difesa, garanzia che si esercita nel processo e che – tanto più nel quadro del processo di tipo accusatorio – postula primariamente, come interlocutore dell’interessato, il giudice e non la parte pubblica» (ordinanza n. 326 del 1999);

            che, in aggiunta a ciò, l’introduzione dell’obbligo del previo invito a presentarsi per l’interrogatorio, quale condizione di validità del decreto che dispone il giudizio emesso dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell’opposizione (e, dunque, successivamente all’esercizio dell’azione penale), lungi dal riportare ad unità la disciplina dei diversi riti, «comporterebbe l’atipica collocazione di un atto, proprio della fase delle indagini preliminari, nell’ambito della fase del giudizio»: collocazione «oltretutto inidonea a garantire quelle finalità – di conoscenza […] dell’indagine, e di possibilità di instaurare un contraddittorio con l’organo di accusa in funzione dell’esito dell’indagine stessa, cioè dell’alternativa […] tra passaggio al giudizio e archiviazione – che […] con la riforma del 1997 il legislatore ha inteso perseguire» (ordinanza n. 325 del 1999; analogamente, ordinanza n. 458 del 1999);

            che, peraltro, successivamente all’ordinanza di rimessione – trasmessa a questa Corte, come già rimarcato, con patologico ritardo – è intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), la quale, nell’ambito di una più generale revisione del procedimento penale dinanzi al tribunale, anche in composizione monocratica, ha modificato la disciplina introdotta dalle norme censurate, che il rimettente evoca come termine di raffronto;

            che, in particolare, per effetto della novella, il previo invito all’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio non costituisce più un antecedente imprescindibile, stabilito a pena di nullità, della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta a giudizio, quali atti di esercizio dell’azione penale: la garanzia difensiva essendo ora costituita dalla notifica all’indagato di un «avviso della conclusione delle indagini preliminari» (art. 415-bis cod. proc. pen., inserito dall’art. 17, comma 2, della legge n. 479 del 1999) e dalla previsione di nullità, rispettivamente della richiesta di rinvio a giudizio e della citazione diretta a giudizio, in caso di omissione di detto avviso ovvero dell’invito a rendere interrogatorio, se richiesto dall’indagato entro venti giorni dalla notifica dell’avviso stesso (artt. 416, comma 1, secondo periodo, e 552, comma 2 – sostitutivo dell’art. 555 previgente – come modificati dall’art. 17, comma 3, e dall’art. 44, comma 1, della legge n. 479 del 1999);

            che comunque della nuova disciplina il giudice a quo non dovrebbe fare applicazione, sicché non occorre restituire gli atti a detto giudice per un nuovo esame sia della rilevanza che della non manifesta infondatezza della questione;

            che, peraltro e solo per completezza, mette conto di rammentare che anche detta nuova disciplina è stata sottoposta a scrutinio da parte di questa Corte, per la mancata previsione della ricordata nuova garanzia difensiva nel procedimento per decreto: scrutinio che si è ugualmente concluso con la dichiarazione della manifesta infondatezza delle questioni sollevate, sia con riguardo ai parametri costituzionali evocati nel caso qui in esame (artt. 3 e 24 Cost.), sia con riguardo agli ulteriori parametri di cui all’art. 111, terzo, quarto e quinto comma, Cost.; essendosi, in particolare, rilevato che «l’innesto della disciplina dell’avviso di conclusione delle indagini nel procedimento monitorio ne snaturerebbe la struttura e le finalità, inserendovi una procedura incidentale che potrebbe determinare una notevole dilatazione temporale, e si sostanzierebbe in una garanzia che, oltre ad essere costituzionalmente non imposta, si rivelerebbe del tutto incongrua rispetto ai caratteri del rito speciale» (ordinanze n. 131 e n. 32 del 2003; in argomento, altresì, ordinanze n. 8 del 2003 e n. 203 del 2002);

che la questione proposta dal rimettente nel presente giudizio non esprime profili né argomenti nuovi rispetto a quelli già precedentemente esaminati, onde

 va dichiarata manifestamente infondata.

            Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Salerno, sezione distaccata di Amalfi, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2010.