Sentenza n. 284 del 2010

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SENTENZA N. 284

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                    AMIRANTE                                    Presidente

-           Ugo                             DE SIERVO                                       Giudice

-           Paolo                           MADDALENA                                       “

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                     “

-           Alfonso                       QUARANTA                                           “

-           Franco                         GALLO                                                    “

-           Luigi                            MAZZELLA                                            “

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             “

-           Sabino                         CASSESE                                                “

-           Maria Rita                   SAULLE                                                  “

-           Giuseppe                     TESAURO                                               “

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       “

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     “

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          “

-           Paolo                           GROSSI                                                   “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, primo comma, della legge 5 maggio 1976, n. 248 (Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento dell’assegno di incollocabilità di cui all’articolo 180 del testo unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), promosso dalla Corte d’appello di Catania, nel procedimento vertente tra l’INAIL e R. A., con ordinanza del 29 maggio 2008, iscritta al n. 197 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti l’atto di costituzione dell’INAIL nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi l’avvocato Luigi La Peccerella per l’INAIL e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte d’appello di Catania – nel corso del procedimento promosso dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro nei confronti di R.A., ed avente ad oggetto la domanda di corresponsione dell’assegno continuativo di cui all’art. 1 della legge 5 maggio 1976, n. 248 (Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento dell’assegno di incollocabilità di cui all’articolo 180 del testo unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), come modificato dall’art. 11 della legge 10 maggio 1982, n. 251 (Norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, primo comma, della legge n. 248 del 1976 nella parte in cui prevede che, per ottenere l’assegno di cui all’art. 1, gli aventi diritto devono presentare domanda «entro il termine di centottanta giorni dalla data del decesso dell’assicurato».

Il Collegio rimettente premette che il giudice del lavoro di Catania aveva accolto la domanda di R.A. – quale figlio inabile di R.A., titolare di rendita INAIL con un grado di inabilità permanente relativa superiore al sessantacinque per cento – avente ad oggetto la corresponsione del predetto assegno continuativo, stante la mancata contestazione da parte dell’INAIL della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della prestazione pretesa e ritenuta la tardività della eccezione di decadenza dall’Istituto formulata ai sensi dell’art. 7 della legge n. 248 del 1976.

A seguito di gravame proposto dall’INAIL – che aveva ribadito l’eccezione di intervenuta decadenza ai sensi della disposizione richiamata per avere l’appellato proposto istanza di corresponsione dell’assegno continuativo solo in data 29 febbraio 2000, e quindi ben oltre il termine di centottanta giorni dalla data del decesso del padre R.A., avvenuto il 10 aprile 1997 – la Corte d’appello ha rilevato che l’Istituto lamentava l’erroneità della decisione del giudice di prime cure nella parte in cui aveva qualificato l’eccezione in questione quale eccezione in senso stretto e, pertanto, rilevabile solo ad istanza di parte con le preclusioni di cui all’art. 416 cod. proc. civ. Al riguardo, il giudice a quo ha osservato che il termine di decadenza previsto dall’art. 7 della legge n. 248 del 1976 per la presentazione della domanda di assegno continuativo, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità, ha natura sostanziale ed è pertanto rilevabile d’ufficio, sicché il mancato rispetto del suddetto termine determina l’estinzione del diritto senza alcuna possibilità di sanatoria, con la conseguente rilevanza della questione sollevata ai fini della definizione del giudizio.

In punto di non manifesta infondatezza della questione, la Corte rimettente sospetta che la perentorietà del termine previsto per la presentazione della domanda, in ragione della decorrenza dalla data del decesso dell’assicurato, si ponga in contrasto anzitutto con l’art. 3 Cost., tenuto conto di quanto statuito con la sentenza n. 14 del 1994, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 122 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui non prevedeva che l’Istituto assicuratore, nel caso di decesso dell’assicurato, dovesse avvertire i superstiti della loro facoltà di proporre domanda per la rendita nella misura e nei modi previsti dall’art. 85, nel termine decadenziale di novanta giorni decorrenti dalla data dell’avvenuta comunicazione piuttosto che dalla data della morte dell’assicurato. La diversa regolamentazione dell’istituto dell’assegno speciale continuativo – che si diversifica dalla rendita ai superstiti solo in quanto la morte dell’assicurato non è riconducibile all’infortunio o alla malattia professionale per i quali la rendita è stata in vita concessa – determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina propria della rendita ai superstiti, come richiamata dal citato art. 122 per effetto della pronuncia n. 14 del 1994 di questa Corte.

Sarebbero, inoltre, violati gli artt. 24 e 38 Cost., poiché l’eventuale scarsa conoscenza delle norme e la decorrenza del termine dalla data della morte dell’assicurato determinerebbero l’ingiustificata perdita del diritto del coniuge e dei figli superstiti di cui all’art. 85 del T.U. n. 1124 del 1965.

2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito l’INAIL, che ha concluso per la infondatezza della questione, sostenendo la diversità delle fattispecie poste a confronto, non solo per la diversa durata dei termini di decorrenza del termine decadenziale, ma altresì per le profonde differenze tra i due diritti sui quali incide il termine, avendo la fattispecie di cui all’art. 122 del d.P.R. n. 1124 del 1965, a differenza di quella di cui all’art. 1 della legge n. 248 del 1976, come presupposti non solo la titolarità della rendita in capo al defunto, ma anche il nesso di causalità tra la patologia in relazione alla quale la rendita era stata costituita e l’avvenuto decesso.

3. – Nel giudizio è altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, alla luce del rilievo della non sovrapponibilità delle relative discipline, osservando che la risalente pronuncia di illegittimità costituzionale evocata dal Collegio rimettente aveva tenuto conto della incidenza di un termine decadenziale in un contesto di scarsa conoscenza delle norme e, comunque, adombrando la possibilità, al fine di superare i rilievi del giudice a quo, di una interpretazione adeguatrice, di cui, in ogni caso, sottolinea gli oneri a carico della finanza pubblica che sarebbero correlati alla riapertura dei termini con riguardo anche alle situazioni pregresse.

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Catania dubita della legittimità costituzionale dell’art. 7, primo comma, della legge 5 maggio 1976, n. 248 (Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento dell’assegno di incollocabilità di cui all’articolo 180 del testo unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), nella parte in cui prevede che, per ottenere la corresponsione dell’assegno speciale continuativo di cui all’art. 1 della stessa legge, spettante ai superstiti di soggetti titolari di rendita INAIL con grado di inabilità permanente pari almeno al sessantacinque per cento, occorre presentare domanda entro il termine di centottanta giorni dalla data del decesso dell’assicurato. Tale disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. per la ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per i superstiti in caso di decesso dell’assicurato riconducibile ad infortunio o malattia professionale per il quale la rendita veniva dallo stesso percepita in vita: infatti, l’art. 122 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella formulazione risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 14 del 1994, dispone che, in tal caso, l’Istituto debba avvertire i superstiti della loro facoltà di proporre domanda per il conseguimento della rendita nei modi e nella misura previsti dall’art. 85 dello stesso decreto, nel termine decadenziale di novanta giorni decorrenti dalla data dell’avvenuta comunicazione piuttosto che, come previsto dalla norma nel testo originario, dalla data della morte dell’assicurato. La disposizione censurata recherebbe, inoltre, vulnus all’art. 24 Cost. per violazione del diritto di difesa; nonché all’art. 38 Cost. per la violazione del diritto ad un’adeguata copertura assicurativa, in quanto la scarsa conoscenza delle norme e la decorrenza del termine dalla data della morte dell’assicurato determinerebbero la ingiustificata perdita del diritto del coniuge e dei figli superstiti alla corresponsione dell’assegno de quo.

2. – La questione è fondata con riferimento alla violazione dei parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost.

2.1. – Va innanzitutto richiamata la normativa inerente alle modalità e alle condizioni perché i superstiti di infortunati abbiano diritto alla rendita nella misura e nei modi stabiliti dall’art. 85 del d.P.R. n. 1124 del 1965 o all’assegno speciale continuativo mensile di cui all’art. 1 della legge n. 248 del 1976.

L’art. 122 del t.u. n. 1124 del 1965 stabiliva, nel testo originario, che, qualora la morte dell’assicurato fosse sopraggiunta in conseguenza dell’infortunio, dopo la liquidazione della rendita di inabilità permanente, la domanda per ottenere la rendita, nella misura e con le modalità stabilite nell’art. 85, dovesse essere proposta dai superstiti, a pena di decadenza, entro novanta giorni dalla data della morte.

Il successivo art. 123 dispone che, nel caso di morte di un infortunato avvenuta durante il periodo di corresponsione dell’indennità per inabilità temporanea o di pagamento della rendita di inabilità permanente o mentre si svolgono le pratiche amministrative per la liquidazione della rendita, l’Istituto assicuratore, se gli risulti che i superstiti dell’infortunato non erano informati del decesso, deve, appena venuto a conoscenza, darne notizia ai superstiti, agli effetti dell’eventuale applicazione della norma di cui all’articolo precedente, ed aggiunge (secondo comma) che in ogni caso il termine di cui all’articolo predetto decorre dal giorno nel quale i superstiti sono venuti a conoscenza del decesso.

L’art. 1 della legge n. 248 del 1976 attribuisce al coniuge ed ai figli superstiti di titolari di rendita per inabilità permanente di grado non inferiore all’ottanta per cento (percentuale ridotta a sessantacinque per effetto della modifica di cui all’art. 11 della legge n. 251 del 1982) il diritto ad uno speciale assegno continuativo mensile. A norma dell’art. 7, primo comma, della stessa legge n. 248 del 1976, gli aventi diritto a tale assegno devono presentare entro il termine di centottanta giorni dalla data del decesso dell’assicurato apposita domanda, corredata dalla certificazione degli uffici finanziari e da una dichiarazione resa dagli stessi aventi diritto, dalle quali risulti l’esistenza dei requisiti di legge.

In siffatto quadro normativo, questa Corte, con sentenza n. 14 del 1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 122 nella parte in cui non prevedeva che l’istituto assicuratore, nel caso di decesso dell’assicurato, dovesse avvertire i superstiti della loro facoltà di proporre domanda per la rendita nella misura e nei modi previsti dall’art. 85 nel termine decadenziale di novanta giorni decorrente dalla data della avvenuta comunicazione. Tale pronuncia è stata determinata essenzialmente dalla esigenza di rendere la norma in questione coerente con quella del successivo art. 123.

In conseguenza di tale intervento, il termine decadenziale per l’esercizio della facoltà dei superstiti di proporre domanda per ottenere la rendita di cui all’art. 85 del t.u. n. 1124 del 1965 è fatto decorrere dalla data in cui questi ultimi hanno avuto comunicazione dall’Istituto assicuratore della morte dell’infortunato. Diversamente, quello relativo alla domanda per lo speciale assegno continuativo mensile di cui all’art. 1 della legge n. 248 del 1976, che compete al coniuge ed ai figli superstiti di titolari di rendita per inabilità permanente di grado non inferiore al sessantacinque per cento, decorre dalla data del decesso dell’assicurato, e ciò a prescindere dal momento in cui gli stessi hanno avuto conoscenza della morte del loro dante causa.

La diversità di disciplina è irragionevole ove si tenga presente che le fattispecie poste a confronto derivano entrambe dalla titolarità della rendita in capo al defunto, mentre la circostanza delle diversità sostanziali delle condizioni per avere diritto alle attribuzioni patrimoniali conseguenti al decesso non giustifica una disciplina decadenziale diversa, e ciò anche in presenza della differente durata del termine stesso, poiché ciò che rileva ai fini della tutela del diritto di difesa non è l’ampiezza di tale termine, ma la decorrenza dello stesso da un momento in cui l’interessato acquista conoscenza, tramite l’Istituto assicuratore, della morte dell’infortunato.

3. – L’accoglimento della questione sotto il profilo della violazione degli articoli 3 e 24 Cost. comporta l’assorbimento dell’ulteriore parametro costituzionale evocato dal rimettente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7, primo comma, della legge 5 maggio 1976, n. 248 (Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento dell’assegno di incollocabilità di cui all’articolo 180 del testo unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), nella parte in cui non prevede che l’Istituto assicuratore, nel caso di decesso dell’assicurato, debba avvertire i superstiti della loro facoltà di proporre domanda per ottenere l’assegno di cui all’articolo 1 della stessa legge nel termine decadenziale di centottanta giorni dalla data dell’avvenuta comunicazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2010.