Sentenza n. 266 del 2010

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SENTENZA N. 266

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                   AMIRANTE                          Presidente

-           Ugo                            DE SIERVO                           Giudice

-           Paolo                          MADDALENA                         ”

-           Alfio                           FINOCCHIARO                       ”

-           Alfonso                      QUARANTA                            ”

-           Franco                        GALLO                                     ”

-           Gaetano                      SILVESTRI                               ”

-           Sabino                        CASSESE                                  ”

-           Maria Rita                  SAULLE                                   ”

-           Giuseppe                    TESAURO                                ”

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                         ”

-           Giuseppe                    FRIGO                                       ”

-           Alessandro                 CRISCUOLO                            ”

-           Paolo                          GROSSI                                    ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 6 agosto 2009, n. 19 [Approvazione del piano di cattura dei richiami vivi per la stagione venatoria 2009/2010 ai sensi della legge regionale 5 febbraio 2007, n. 3 (Legge quadro sulla cattura dei richiami vivi)], e dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 17 settembre 2009, n. 53 [Disciplina dell’attività di cattura degli uccelli selvatici da richiamo per l’anno 2009 ai sensi dell’articolo 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell’articolo 34 della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 (Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”)], promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con i ricorsi rispettivamente notificati il 12-19 ottobre 2009 e il 20-24 novembre 2009, depositati in cancelleria il 21 ottobre 2009 ed il 26 novembre 2009 ed iscritti ai nn. 94 e 102 del registro ricorsi 2009.

Visti gli atti di costituzione delle Regioni Lombardia e Toscana;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Marcello Cardi per la Regione Lombardia, Silvia Fantappiè e Lucia Bora per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 12 ottobre 2009 e depositato il successivo 21 ottobre, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Lombardia 6 agosto 2009, n. 19 [Approvazione del piano di cattura dei richiami vivi per la stagione venatoria 2009/2010 ai sensi della legge regionale 5 febbraio 2007, n. 3 (Legge quadro sulla cattura dei richiami vivi)], per contrasto con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

1.2 – Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente censura la citata legge regionale n. 19 del 2009 per aver autorizzato la gestione degli impianti per la cattura delle specie indicate nell’allegato “A” della medesima legge «in assenza dei presupposti e delle condizioni poste» dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici). In particolare, il ricorrente osserva che la citata norma comunitaria subordina la «possibilità di autorizzare in deroga la cattura di determinate specie di uccelli in piccole quantità alla comprovata assenza di altre soluzioni soddisfacenti, al rispetto di condizioni rigidamente controllate e all’impiego di modalità selettive in modo che le catture vengano effettuate solo nella misura in cui siano strettamente necessarie a soddisfare le richieste del mondo venatorio».

Sotto tale profilo, dunque, risulterebbe integrata la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., non avendo la Regione Lombardia rispettato le misure dettate dalla direttiva citata, così come, peraltro, precisa sempre il ricorrente, sarebbe confermato «dal parere negativo dell’ISPRA del 9 giugno 2009».

1.3 – In secondo luogo, la legge regionale impugnata violerebbe anche il principio stabilito dall’art. 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), in base al quale, ad avviso del ricorrente, la potestà legislativa regionale in ordine alla autorizzazione del piano di cattura dei richiami vivi dovrebbe essere «esercitata non solo nel rispetto dei principi stabiliti dal legislatore comunitario […], ma anche dei principi stabiliti dal legislatore statale […], che richiede espressamente il parere favorevole dell’ISPRA». Pertanto, posto che la suddetta disposizione statale integrerebbe, sempre secondo il ricorrente, una «esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ponendo un limite a interventi regionali che possono pregiudicare gli equilibri ambientali», la legge regionale impugnata violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2. – Con memoria depositata in data 24 novembre 2009, si è costituita in giudizio la Regione Lombardia chiedendo che il ricorso sia dichiarato manifestamente inammissibile o, comunque, infondato.

2.1 – Dopo aver ricostruito il quadro normativo comunitario, statale e regionale, di riferimento, la resistente evidenzia che la finalità della disciplina censurata è «quella di assicurare il rifornimento dei richiami vivi ai cacciatori che esercitano l’attività venatoria nella forma dell’appostamento fisso e temporaneo», in attuazione dell’art. 4 della legge n. 157 del 1992 e dell’art. 7 della legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria).

Ciò premesso, in ordine al primo motivo del ricorso, la difesa regionale deduce che l’art. 9 della direttiva 79/409/CEE ammette la possibilità di derogare al divieto di cattura dei richiami vivi, «sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti», al fine di consentire «in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità» (art. 1, paragrafo 1, lettera c, della direttiva 79/409/CEE).

Il secondo comma dello stesso art. 9 della direttiva, prosegue la Regione Lombardia, dispone che le predette deroghe dovranno menzionare: le specie coinvolte, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzata, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui dette deroghe possono essere applicate, l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone, nonché, infine, i controlli da effettuarsi.

Orbene, la difesa della resistente evidenzia che l’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2007 «prevede che il Consiglio regionale approvi con legge, “sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS)” (ora ISPRA), entro il mese di giugno di ogni anno, il piano con cui è individuato il numero massimo di impianti da abilitare per Provincia e il numero massimo dei richiami vivi da catturare per singola specie consentita e complessivamente per ogni provincia». Detto piano annuale, prosegue la resistente, è stato adottato, con la legge impugnata, in considerazione della comprovata insufficienza (desunta dai dati forniti dalle singole Province) del patrimonio di richiami vivi appartenenti alle specie in essa individuate in possesso dei cacciatori lombardi rispetto all’ammontare potenzialmente consentito in base alle previsioni della legge regionale n. 26 del 1993.

La Regione Lombardia deduce, infatti, di non disporre allo stato di un sistema alternativo alla cattura, nonostante l’amministrazione regionale – in ottemperanza a quanto previsto dal comma 6 dell’art. 1 della legge regionale n. 3 del 2007 – abbia da tempo attivato e finanziato un programma finalizzato all’incremento dell’allevamento delle specie di uccelli utilizzabili come richiami vivi, poiché gli allevatori non avrebbero garantito la copertura del fabbisogno complessivo.

Quanto all’individuazione delle specie utilizzate allo scopo di richiamo, la difesa regionale sottolinea che, in quanto appartenenti a specie cacciabili, esse sarebbero soggette ad un prelievo ben più consistente attraverso l’esercizio venatorio, sicché, anche sotto tale profilo, non vi sarebbe alcun contrasto della disciplina impugnata con le esigenze di conservazione delle diverse specie coinvolte dettate dalla direttiva 79/409/CEE.

In conformità con le precedenti argomentazioni, la resistente ritiene che la potestà legislativa della Regione riconosciuta dall’art. 4, comma 3, della legge n. 157 del 1992 sia stato esercitato nel rispetto di tutte le condizioni e  presupposti previsti dalla citata normativa comunitaria.

2.2 – Con riferimento al secondo motivo di censura, la Regione Lombardia deduce che, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, il parere dell’ISPRA avrebbe un indubbio carattere obbligatorio, ma non anche vincolante. Osserva al riguardo la difesa regionale che l’art. 7, comma 1, della legge n. 157 del 1992 qualifica detto istituto come «organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le Regioni e le Province», cosicché la funzione istituzionale ad esso spettante non potrebbe «essere quella di sostituirsi alle amministrazioni nel compimento delle proprie scelte in materia di caccia, ma quello di supportarle sotto il profilo squisitamente tecnico».

Peraltro, nonostante la natura non vincolante del parere reso dall’ISPRA sul piano di cattura oggetto della legge impugnata, la Regione Lombardia evidenzia di averne comunque tenuto conto nell’esercizio dell’attività legislativa impugnata, riducendo di oltre quarantamila unità la stima del fabbisogno di richiami vivi rispetto a quella originariamente effettuata.

Sulla base di tali osservazioni, secondo la difesa regionale, sarebbe quindi infondata la dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 4, comma 3, della legge n. 157 del 1992.

3. – Con memoria depositata in data 17 maggio 2009, la difesa regionale ha integralmente ribadito le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione a sostegno della inammissibilità e, comunque, della infondatezza delle questioni proposte con il ricorso.

4. – Con distinto ricorso notificato il 20 novembre 2009 e depositato il successivo 26 novembre, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, l’art. 2 della legge della Regione Toscana 17 settembre 2009, n. 53 [Disciplina dell’attività di cattura degli uccelli selvatici da richiamo per l’anno 2009 ai sensi dell’articolo 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell’articolo 34 della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 (Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”)], nella parte in cui prevede che «le Province di Arezzo, Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia e Siena sono autorizzate alla gestione degli impianti di cattura e alla cattura, per l’anno 2009, di uccelli appartenenti alle specie: cesena, merlo, tordo bottaccio e tordo sassello da utilizzare a scopo di richiamo, nei quantitativi suddivisi per provincia, per tipo e per specie così come risulta dall’allegato A alla presente legge».

4.1 – Il ricorrente premette che la legge regionale n. 53 del 2009 ha la finalità di disciplinare la cattura di uccelli selvatici da richiamo prevista dall’art. 4 della legge n. 157 del 1992, nonché dall’art. 34, comma 6, della legge della Regione Toscana n. 3 del 1994. In tale quadro normativo, ad avviso del ricorrente, l’art. 2 della citata legge regionale n. 53 del 2009, rubricato «cattura di uccelli selvatici a fini di richiamo», si porrebbe in contrasto innanzitutto con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

In particolare, l’autorizzazione alla cattura dei citati esemplari appartenenti alla fauna selvatica da utilizzare a scopo di richiamo risulterebbe disposta in  «assenza dei presupposti e delle condizioni poste dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici)», il quale ammette il prelievo in deroga di piccole quantità di esemplari di alcune specie appartenenti alla fauna selvatica a condizione che «non vi siano altre soluzioni soddisfacenti». A sostegno di tale profilo di incostituzionalità il ricorrente deduce che – così come osservato nel parere sfavorevole del 14 agosto 2009, rilasciato dall’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (ISPRA) alla Regione istante – «i dati relativi ai richiami attualmente detenuti in Regione» mostrerebbero «come la riproduzione in cattività non solo rappresenti una valida alternativa alla cattura, ma costituisca anche la principale fonte di approvvigionamento per i cacciatori».

4.2 – In secondo luogo, ad avviso del ricorrente, con la norma impugnata la Regione avrebbe  approvato con legge il piano di cattura dei richiami vivi in assenza del prescritto parere favorevole dell’ISPRA, così come invece richiesto dall’art. 4, comma 3, della legge n. 157 del 1992.

Conseguentemente l’art. 2 della legge regionale n. 53 del 2009 si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 4 della legge n. 157 del 1992, contenente uno standard minimo ed uniforme di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema inderogabile per il legislatore regionale.

5. – Con memoria depositata in data 22 dicembre 2009, si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo che le sollevate questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

5.1 – In primo luogo, la resistente osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la possibilità di derogare al regime limitativo della caccia prevista dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE sarebbe ammissibile al ricorrere di tre condizioni: innanzitutto che non risulti percorribile un’altra soluzione soddisfacente; in secondo luogo, che sussista uno dei motivi tassativamente elencati dal citato art. 9, n. 1, lettere a), b) e c); in terzo luogo, che la deroga sia adottata con le prescritte formalità indicate al n. 2 del medesimo articolo. Quanto al primo requisito, prosegue la Regione Toscana, il preambolo della legge regionale n. 53 del 2009 espliciterebbe chiaramente le ragioni giustificative della autorizzazione in deroga delle amministrazioni provinciali all’attivazione dei relativi impianti di cattura, affermando che «la disponibilità degli uccelli da utilizzare come richiami vivi risulta essere largamente insufficiente rispetto al fabbisogno accertato, in rapporto al numero dei cacciatori e al quantitativo di richiami utilizzabile da ciascuno di essi» e che, «nonostante numerose iniziative inerenti l’attività di allevamento attuate da privati, allo stato attuale non si riesce a colmare il divario tra il suddetto fabbisogno e la disponibilità effettiva», con il conseguente diffondersi del «fenomeno dell’acquisizione illegale di uccelli da richiamo con grave danno alle popolazioni delle specie di appartenenza».

5.2 – Con riferimento alla seconda condizione, la Regione Toscana sottolinea che l’attività di cattura dei richiami vivi è stata qualificata, in sede di accordo tra Governo, Regioni e Province autonome, quale specifica fattispecie di deroga riconducibile alla lettera c) dell’art. 9 della citata direttiva.

5.3 – In terzo luogo, la resistente osserva che l’art. 2 della legge n. 53 del 2009 risulterebbe rispettoso di tutti i requisiti prescritti dall’art. 9 della richiamata direttiva comunitaria, avendo tale articolo menzionato: le specie (nei quantitativi suddivisi per provincia e per tipo) che formano oggetto della deroga, le autorità abilitate alla gestione degli  impianti di cattura, nonché quelle deputate alla vigilanza e ai controlli sull’attività stessa.

5.4 – Pertanto, ad avviso della Regione Toscana, il primo motivo di ricorso dovrebbe essere respinto.

6. – Quanto al secondo motivo, la resistente osserva che, a seguito della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, la materia della caccia – pur incontrando i limiti derivanti, oltre che dall’ordinamento comunitario, anche dai principi stabiliti dalla normativa statale in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – rientrerebbe tra le competenze assegnate alla potestà legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Ciò premesso, prosegue la Regione, l’art. 4 della legge n. 157 del 1992 prevedrebbe, in relazione all’attività di cattura, la necessità di acquisire il parere dal competente Istituto (ISPRA), ma non anche che la potestà legislativa regionale sia da esso vincolata. Inoltre, sempre ad avviso della resistente, anche la circolare del 22 novembre 1996, n. 31502 (Applicazione dell’art. 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157), adottata dal Ministero delle risorse agricole alimentari e forestali, confermerebbe «l’esigenza di considerare, al fine della determinazione del quantitativo di richiami necessario, anche le richieste provenienti dai cacciatori, raccolte dalle Province competenti».

6.1 – Conseguentemente, posto che la disposizione impugnata sarebbe stata adottata nel rispetto degli indirizzi statali che informano la materia, anche il secondo motivo di ricorso dovrebbe essere respinto.

Considerato in diritto

1. – Con due distinti ricorsi, ritualmente notificati e depositati, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato – in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione –, rispettivamente, la legge della Regione Lombardia 6 agosto 2009, n. 19 [Approvazione del piano di cattura dei richiami vivi per la stagione venatoria 2009/2010 ai sensi della legge regionale 5 febbraio 2007, n. 3 (Legge quadro sulla cattura dei richiami vivi)], e l’art. 2 della legge della Regione Toscana 17 settembre 2009, n. 53 [Disciplina dell’attività di cattura degli uccelli selvatici da richiamo per l’anno 2009 ai sensi dell’articolo 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell’articolo 34 della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 (Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”)].

2. – Il ricorrente dubita, in primo luogo, della legittimità costituzionale delle norme impugnate, rispettivamente adottate dalle Regioni Lombardia e Toscana, poiché, in entrambi i casi, l’autorizzazione alla gestione degli impianti di cattura di alcune specie appartenenti alla fauna selvatica a scopo di richiamo sarebbe stata rilasciata «in assenza dei presupposti e delle condizioni poste» dall’art. 9 della direttiva 409/79/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici), in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

3. – In secondo luogo, il ricorrente lamenta, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la illegittimità costituzionale delle medesime norme in quanto, in entrambi i casi, l’adozione dei piani di cattura in parola sarebbe stata rilasciata in mancanza del parere favorevole del competente Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (ISPRA), che, invece, ad avviso del ricorrente, risulterebbe prescritto dall’art. 4 della legge n. 157 del 1992, quale standard minimo ed uniforme di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema inderogabile per il legislatore regionale.

4. – Considerata l’omogeneità delle questioni sollevate, i ricorsi possono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.

5. – La questione di legittimità costituzionale concernente la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. è fondata.

6. – L’art. 9 della citata direttiva 79/409/CEE – oggi riprodotto (senza alcuna modificazione di sostanza) nell’art. 9 della direttiva 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici) – prevede che gli Stati membri, «sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti», possano derogare alle misure di protezione poste dalla medesima direttiva per il conseguimento di una serie di interessi generali tassativamente indicati fra i quali, per quanto riguarda il presente giudizio, quello di «consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di uccelli in piccole quantità».

La costante giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che si tratta di «un potere di deroga esercitabile in via eccezionale» che ammette «l’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima, alle condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall’art. 9.1, e secondo le procedure e le modalità di cui al punto 2 dello stesso art. 9» (sentenze n. 168 del 1999 e n. 250 del 2008).

Il carattere eccezionale del potere in questione è stato peraltro ribadito anche dalla giurisprudenza comunitaria (in particolare, Corte di giustizia CE, 8 giugno 2006, causa C-118/94), secondo la quale l’autorizzazione degli Stati membri a derogare al divieto generale di cacciare le specie protette è subordinata alla adozione di misure di deroga dotate di una motivazione che faccia riferimento esplicito e adeguatamente circostanziato alla sussistenza di tutte le condizioni prescritte dall’art. 9, paragrafi 1 e 2.

Detti requisiti, infatti – precisa sempre la Corte di giustizia della Comunità europea (oggi Corte di giustizia dell’Unione europea) – perseguono il duplice scopo di limitare le deroghe allo stretto necessario e di permettere la vigilanza degli organi comunitari a ciò preposti.

In particolare, il paragrafo 2 dell’art. 9 della citata direttiva prevede che le deroghe debbano menzionare: a) le specie che formano oggetto delle medesime; b) i mezzi, gli impianti o i metodi di cattura o di uccisione autorizzati; c) le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate; d) l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, impianti o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone; e) i controlli che saranno effettuati.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, il rispetto del vincolo comunitario derivante dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE (oggi art. 9 della direttiva 2009/147/CE) impone l’osservanza dell’obbligo della puntuale ed espressa indicazione della sussistenza di tutte le condizioni in esso specificamente indicate, e ciò a prescindere dalla natura (amministrativa ovvero legislativa) del tipo di atto in concreto utilizzato per l’introduzione della deroga al divieto di caccia e di cattura degli esemplari appartenenti alla fauna selvatica stabilito agli articoli da 5 a 8 della medesima direttiva.

7. – Ebbene, tale onere non risulta rispettato in alcuno degli atti legislativi impugnati. In particolare, quanto alla legge della Regione Lombardia n. 19 del 2009, deve rilevarsi la completa omissione di qualsiasi cenno in ordine alla sussistenza delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla direttiva. Quanto all’art. 2 della legge della Regione Toscana n. 53 del 2009, invece, la motivazione, seppure formalmente esistente, risulta fondata su petizioni di principio prive di alcun riferimento alle condizioni concrete che avrebbero potuto, in ipotesi, giustificare la deroga adottata.

Inoltre, il mancato assolvimento di tale onere risulta ancora più evidente se si considerano le puntuali obiezioni svolte dall’ISPRA (nel parere datato 14 agosto 2009), secondo il quale «i dati relativi ai richiami attualmente detenuti» dalla Regione Toscana avrebbero mostrato «come la riproduzione in cattività» non solo rappresentasse «una valida alternativa alla cattura», ma costituisse anche «la principale fonte di approvvigionamento per i cacciatori».

8. – Pertanto, in accoglimento dei ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri,  deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale di entrambe le disposizioni regionali impugnate, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 9 della direttiva 79/409/CEE – oggi riprodotto nell’art. 9 della direttiva 2009/147/CE.

9. – Rimane assorbita ogni ulteriore censura.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 6 agosto 2009, n. 19 [Approvazione del piano di cattura dei richiami vivi per la stagione venatoria 2009/2010 ai sensi della legge regionale 5 febbraio 2007, n. 3 (Legge quadro sulla cattura dei richiami vivi)];

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 17 settembre 2009, n. 53 [Disciplina dell’attività di cattura degli uccelli selvatici da richiamo per l’anno 2009 ai sensi dell’articolo 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell’articolo 34 della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 (Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”)].

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2010.