Sentenza n. 246 del 2010

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SENTENZA N. 246

ANNO 2010

Commento alla decisione di

Gianguido D’Alberto

Il ruolo di Regioni e Comuni nella procedura di modificazione territoriale di cui all’art. 132, secondo comma, della Costituzione. (a proposito di Corte costituzionale, sentenza n. 246 del 2010 e ordinanze nn. 264 del 2010 e 11 del 2011)

 per g.c. della Rivista AIC

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

-    Francesco                      AMIRANTE                                 Presidente

-    Ugo                               DE SIERVO                                   Giudice

-    Paolo                             MADDALENA                                 "

-    Alfio                             FINOCCHIARO                               "

-    Alfonso                         QUARANTA                                    "

-    Franco                           GALLO                                             "

-    Gaetano                        SILVESTRI                                       "

-    Sabino                           CASSESE                                          "

-    Maria Rita                     SAULLE                                           "

-    Giuseppe                       TESAURO                                        "

-    Paolo Maria                   NAPOLITANO                                 "

-    Giuseppe                       FRIGO                                               "

-    Alessandro                    CRISCUOLO                                    "

-    Paolo                             GROSSI                                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 3 agosto 2009, n. 117 (Distacco dei Comuni di Casteldieci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello dalla Regione Marche e loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito della Provincia di Rimini, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione), promosso dalla Regione Marche con ricorso notificato il 13 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 22 ottobre 2009 ed iscritto al n. 95 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri in data 13 ottobre 2009, la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, ha sollevato, in riferimento all’art. 132 della Costituzione, nonché in riferimento al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale della legge 3 agosto 2009, n. 117 (Distacco dei Comuni di Casteldieci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello dalla Regione Marche e loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito della Provincia di Rimini, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione), con la quale è stato, appunto, disposto il distacco dei citati Comuni dalla Regione Marche e la loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, con inserimento dei medesimi nell’ambito territoriale della Provincia di Rimini.

Rileva la ricorrente che la legge – la quale, come fa notare la stessa ricorrente, è stata promulgata dal Presidente della Repubblica facendo uso della formula prevista per le leggi ordinarie e non di quella, specifica, prevista dall’art. 46, comma 3, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) – consta di tre soli articoli, dei quali, il primo dispone, appunto, il distacco e la conseguente aggregazione territoriale; il secondo detta una specifica disciplina sostanziale e procedimentale per gli adempimenti derivanti dalla attuazione dell’art. 1; il terzo fissa la data di entrata in vigore della legge nel giorno successivo a quello di sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

1.1.– Nel ricostruire l’iter che ha condotto alla adozione della legge impugnata, la ricorrente rammenta che il suo procedimento di formazione ha avuto inizio con la richiesta di referendum, formulata dai Comuni interessati e dichiarata legittima con provvedimento dell’Ufficio centrale per il referendum del 27 giugno 2006; che la consultazione popolare si è svolta nei giorni 17 e 18 dicembre 2006 e che, con la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto, ha dato un risultato favorevole al distacco dei predetti comuni dalle Marche ed alla loro aggregazione alla Emilia-Romagna, come da comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del successivo 28 dicembre.

Sono quindi stati richiesti dal Governo, che nell’occasione ha allegato lo schema di disegno di legge predisposto dal Ministro dell’interno, i pareri dei Consigli regionali delle due regioni interessate che, con deliberazione del 14 novembre 2007, per l’Emilia-Romagna, e con deliberazione del 17 marzo 2008, per le Marche, sono stati resi, rispettivamente, in senso favorevole dalla prima e non favorevole dalla seconda.

Essendo, nel frattempo, decaduto, a causa dell’intervenuto scioglimento delle Camere, il citato disegno di legge governativo, in occasione della apertura della XVI Legislatura, sono stati presentati tre diversi progetti di legge di iniziativa parlamentare volti a realizzare il medesimo scopo di quello decaduto. Questi, dopo l’esame in Commissione, nel corso del quale è stato approntato un testo unificato, sono transitati per la Assemblea della Camera dei Deputati che ha discusso ed approvato, nelle sedute del 4 e 6 maggio 2009, il testo unificato. Il successivo 7 maggio il testo licenziato dalla Camera è stato trasmesso al Senato per l’esame in Commissione – alla quale, al fine di accelerare il procedimento, il disegno di legge è stato deferito in sede deliberante – ove esso è stato definitivamente approvato il 29 luglio 2009.

2.– Così ricostruito l’iter della legge censurata, la Regione Marche ritiene che quest’ultima sia in contrasto con l’art. 132 della Costituzione in quanto il parere espresso dalla sua Assemblea legislativa, sebbene acquisito alla procedura parlamentare, non è stato oggetto di considerazione in maniera ufficiale e conoscibile nel corso di questa, come invece sarebbe richiesto dalla detta norma costituzionale. La legge medesima, ad avviso della ricorrente, si porrebbe in contrasto, altresì, col principio di leale collaborazione, che deve informare le relazioni fra i soggetti istituzionali, in quanto la Regione Marche non sarebbe stata posta in condizione di conoscere le ragioni in forza della quali le Camere hanno disatteso il suo parere non favorevole allo scorporo territoriale.

2.1.– Prima di motivare le predette censure la Regione ricorrente, dato atto che le sue doglianze attengono a vizi di carattere procedimentale intervenuti nell’approvazione della legge impugnata, si sofferma sulla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di rilevabilità di siffatte irregolarità, osservando che sin dal 1957 essa ha chiarito che, così come quelle relative alle disposizioni di rango costituzionale di contenuto sostanziale, anche «le violazioni delle norme strumentali per il processo formativo della legge (sono) suscettibili di sindacato costituzionale», essendo il procedimento legislativo «soggetto al controllo di costituzionalità attraverso la verifica dell’esistenza dei vizi tipici delle leggi, compresi quelli procedimentali».

Svolta questa premessa, la difesa della ricorrente ricorda come l’art. 132 della Costituzione individui una ipotesi di legge atipica, in relazione alla quale sono previste delle forme aggravate di approvazione, una delle quali è, appunto, la previa acquisizione dei pareri dei Consigli regionali interessati dal fenomeno di distacco-aggregazione da essa disciplinato; trattasi di previsione eccezionale, volta a creare un’articolata interlocuzione fra le popolazioni direttamente interessate, le assemblee rappresentative delle Regioni coinvolte e quelle nazionali.

2.2.– Sulla base di questo rilievo, ritiene la ricorrente Regione che detta finalità sarebbe frustrata ove si ritenessero soddisfatti i vincoli procedimentali prescritti dal citato art. 132 della Costituzione tramite la mera acquisizione formale dei pareri dei Consigli regionali, senza che questi siano effettivamente presi in considerazione nell’ambito della procedura legislativa e senza che siano rese conoscibili all’esterno, in particolare al Consiglio regionale che abbia reso il parere non favorevole, le ragioni per le quali ci si è discostati da essi.

In tal senso militerebbe anche la stessa giurisprudenza della Corte, la quale, con la sentenza n. 334 del 2004, ha riconosciuto ai pareri dei Consigli regionali interessati «l’imprescindibile valore sistemico, consistente nel portare all’interno del procedimento il punto di vista delle altre popolazioni non direttamente coinvolte da(lla …) operazione», onde fornire anche alle «valutazioni di tali altre popolazioni» una «congrua tutela», cosicché «l’acquisizione e l’esame dei pareri dei consigli regionali» non possono che avere «sicura incidenza ai fini dell’eventuale approvazione della legge di modifica territoriale».

2.3.– Dato il carattere non vincolante dei pareri in questione, la richiamata «sicura incidenza» non può consistere, secondo la ricorrente, altro che nella effettiva e sostanziale considerazione di essi nel corso del procedimento di formazione legislativa e nel formale riscontro di tale considerazione negli atti del procedimento medesimo.

Che i pareri espressi in sede regionale abbiano una rilevanza centrale nella procedura legislativa costituisce convincimento che è, d’altra parte, maturato anche all’interno delle stesse Camere. La ricorrente osserva, infatti, come la Commissione parlamentare per le questioni regionali, pur dando parere favorevole al distacco aveva segnalato, in considerazione del parere non favorevole espresso dalla Regione Marche, «l’opportunità di una valutazione del merito di tali pronunciamenti nel corso dell’esame del provvedimento»; il che, ribadisce la ricorrente, non è, però, avvenuto.

Da nessun atto formale, infatti, risultano conoscibili i motivi che hanno indotto le Camere a discostarsi dal parere espresso dal Consiglio regionale delle Marche: non dalla formula di promulgazione; non dal messaggio col quale il Presidente del ramo del Parlamento che per ultimo ha approvato la legge ne ha licenziato il testo; non da quest’ultimo o da un separato atto contestuale; non, infine, dalle relazioni delle Commissioni parlamentari referenti.

2.4.– A tali omissioni formali corrisponde anche un silenzio sostanziale; infatti, lamenta la Regione, al suo ricordato parere in sede di discussione parlamentare è stato assegnato un peso trascurabile o è stato apprezzato solo in quanto dava conto dell’esistenza di ragioni a sostegno della operazione di distacco territoriale.

La ricorrente, pur dandosi carico del fatto che in linea generale l’ordinamento non prevede un obbligo di motivazione degli atti legislativi, osserva, però, che sussistono, in relazione a specifici aspetti, talune eccezioni.

Richiama, a tal proposito, la sentenza n. 14 del 1964 della Corte costituzionale ove è detto che «di norma, non è necessario che l’atto legislativo sia motivato», inferendo da ciò che tale principio concerne non la «totalità» ma, solo, la «normalità» dei casi.

L’art. 132 della Costituzione, nel prevedere la necessità di sentire i Consigli regionali, richiede, altresì, che sia dato conto dei motivi in base ai quali il punto di vista espresso da tali assemblee legislative non è stato seguito.

Affinché sia soddisfatto il prescritto obbligo di motivazione, non è sufficiente che siano genericamente indicati i motivi per i quali si procede al distacco – in tal senso la difesa regionale ricorda che l’art. 1 della legge impugnata richiama la «particolare collocazione territoriale e i peculiari legami storici, economici e culturali» che i Comuni distaccati hanno con la provincia di Rimini – occorrendo, invece, che siano specificate le ragioni per le quali non sono stati condivisi i punti di vista espressi dai Consigli regionali. Sarebbe stato necessario, in altre parole, che il legislatore avesse esplicitato i motivi per i quali le soluzioni, alternative al distacco territoriale, che la Regione Marche aveva prospettato nel suo parere come preferibili e che anzi essa già aveva iniziato a mettere in pratica, erano state ritenute impraticabili o insufficienti.

2.5.– Quanto alle modalità attraverso le quali il surrichiamato obbligo deve essere adempiuto, la difesa regionale ritiene che esse siano libere, purchè «esteriorizzate in qualche atto formale caratterizzato da un regime di pubblicità»; atto che, nel caso che interessa, come ricordato, sarebbe carente.

3.– Andando, poi, ad esaminare il contenuto del parere contrario reso dalla Regione Marche, la difesa di quest’ultima rileva che esso si fonda essenzialmente sulle seguenti quattro ragioni: a) pur sussistendo motivi di carattere economico-sociale e logistico a fondamento della richiesta di distacco, tuttavia, sono, rispetto all’accoglimento di quest’ultima, «maggiormente opportune, efficaci ed economiche azioni programmatorie sul territorio interessato ed interventi concordati fra i vari enti locali della Valle del Marecchia e le Regioni interessate»; b) già è stato, a tal fine, sottoscritto un protocollo d’intesa tra i Presidenti delle Regioni e delle Provincie interessate, volto a risolvere i problemi sollevati dalle popolazioni ed Amministrazioni coinvolte; c) fra i Comuni oggetto di distacco e gli altri enti locali delle Marche sono da tempo «consolidati […] positivi rapporti di collaborazione interistituzionale che è opportuno mantenere»; d) vi è «l’esigenza primaria di mantenimento dell’attuale assetto territoriale, sociale e culturale, nonché dell’immagine unitaria della Regione, della quale i Comuni interessati rappresentano una parte significativa». Di tali puntuali ragioni, nessuna è stata oggetto della benché minima considerazione nello svolgimento dell’iter legislativo, dato questo che, secondo la ricorrente, depone per l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale.

Al riguardo, la difesa ricorrente segnala una circostanza che, a suo avviso, sarebbe dirimente: nel cosiddetto “fascicolo d’Assemblea” posto a disposizione dei componenti della Camera dei deputati ai fini della discussione dei testi di legge non erano stati inseriti i due atti costituzionalmente necessari ai sensi dell’art. 132, secondo comma Cost., ossia i pareri espressi dalle Assemblee regionali interessate; parimenti era stato omesso qualsiasi riferimento a tali atti nella documentazione allegata al testo del disegno di legge distribuito, dopo l’approvazione di Montecitorio, in Senato.

Nessuna sorpresa, chiude sul punto la ricorrente, che nel dibattito parlamentare non siano stati esaminati gli argomenti contenuti nel parere della Regione Marche, visto che i singoli parlamentari neppure sono stati posti in condizione di conoscerli.

4.– Riguardo al secondo motivo di censura, relativo alla violazione del principio di leale collaborazione, la ricorrente riferisce di essere consapevole dell’insegnamento della Corte, in base al quale, riguardo alla funzione legislativa, non sono previste necessarie forme di interlocuzione fra le Camere e gli enti regionali, ma di essere, tuttavia, consapevole anche della «pervasività» del principio in questione, il quale impone che le relazioni fra soggetti istituzionali siano sempre improntate al reciproco rispetto e considerazione.

Nel definire, pertanto, gli obblighi che in base ad esso gravano sulle Camere, ritiene la ricorrente, che, tenuto conto della elasticità del principio, dinanzi alla peculiarità della statuizione contenuta nell’art. 132 della Costituzione, consistente nella partecipazione, attraverso la necessaria espressione di un parere, delle Assemblee regionali al procedimento legislativo, «non si può fare a meno di ritenere che il rispetto e la considerazione di chi ha reso il parere comportino necessariamente che tale atto sia espressamente esaminato e che (chi) lo ha reso sia messo nelle condizioni di conoscere le ragioni in virtù delle quali le Camere si siano […] determinate in senso difforme».

Rileva, infine, la difesa della Regione Marche che nel procedimento di approvazione della legge impugnata non è rinvenibile neppure «il minimum che deve caratterizzare, in virtù del principio di leale collaborazione, le relazioni tra i soggetti che, a vario titolo, intervengono in un medesimo ciclo funzionale», cioè l’assolvimento degli oneri di mutua informazione.

4.1.– Nel rispetto di quanto sopra le Camere (o almeno quella che per ultima ha approvato il testo di legge) avrebbero dovuto formalmente comunicare alla Regione Marche le risultanze dell’esame del parere da questa formulato e le ragioni per le quali era stato disatteso, ovvero si doveva fare in modo che la detta Regione potesse essere resa edotta su quanto sopra indicato tramite la adozione, da parte del Parlamento di atti formali dotati di un’adeguata pubblicità.

In assenza di tutto ciò, data la mancanza del «reciproco rispetto e considerazione» fra organi istituzionali, non può – secondo la ricorrente – non ritenersi violato il principio di leale collaborazione.

5.– Si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge n. 117 del 2009.

5.1.– Afferma la difesa dello Stato, in primo luogo, che la censura, relativa alla scarsa «valorizzazione» nel corso della procedura parlamentare del parere reso dalla ricorrente, formulata da quest’ultima non è fondata. Infatti, per un verso il dettato costituzionale si limita a prevedere che siano sentiti i Consigli regionali, per altro verso il grado di approfondimento del parere è difficilmente quantificabile, infine l’espressione «valorizzazione» è priva di riferimenti costituzionali.

La resistente difesa contesta, altresì, l’affermazione che il parere, obbligatorio ma non certo vincolante, non sia stato esaminato in sede parlamentare: invero, nel corso della discussione sarebbero riscontrabili specifici riferimenti ad esso ed alle ragioni per le quali è stato disatteso.

5.2.– Ma al di là di ciò, ritiene la Avvocatura che la procedura delineata dall’art. 132 della Costituzione richiede la mera acquisizione dei pareri dei Consigli regionali e non anche che sia motivato il superamento del parere contrario al distacco territoriale. La procedura in esame si è quindi svolta regolarmente.

Segnala, ancora, la difesa erariale come la giurisprudenza della Corte abbia evidenziato che l’art. 132 della Costituzione mira a garantire un ruolo preponderante e fondamentale alle popolazioni interessate dal fenomeno di distacco-aggregazione, chiarendo che la collettività locale è l’unico soggetto interessato alla fase prodromica al procedimento legislativo.

5.3.– Quanto alla dedotta violazione del principio di leale collaborazione, parte resistente rammenta come, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, questo non sia invocabile a proposito dell’esercizio della funzione legislativa.

Viene, infine, osservato dalla costituita difesa che le censure formulate dalla ricorrente sono infondate anche nel merito, risultando, dall’esame dei lavori parlamentari, che il parere da questa reso è stato superato, essendo state ritenute (opportunamente, aggiunge la difesa dello Stato) prevalenti le ragioni che legittimavano il distacco rispetto a quelle, pur rappresentate nel parere della Regione Marche, ritenute da quest’ultima a ciò ostative.

6.– Nell’imminenza della pubblica udienza la Regione Marche ha depositato una ampia memoria illustrativa, volta a confutare le difese svolte dalla Avvocatura dello Stato.

6.1.– In particolare, la ricorrente, smentita la circostanza secondo la quale essa si dorrebbe genericamente della mancata valorizzazione nel merito del parere reso dal locale Consiglio regionale, osserva, invece, che i termini del suo ricorso sono riassumibili nelle seguenti premesse e nella conseguente conclusione. Posto che lo speciale procedimento legislativo previsto dall’art. 132, secondo comma, della Costituzione prevede l’espressione di un parere obbligatorio, sebbene non vincolante, dei Consigli regionali interessati alla richiesta; che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l’acquisizione e l’esame di tale parere deve avere «sicura incidenza ai fini dell’eventuale approvazione della legge di modifica territoriale»; che il concetto di leale collaborazione impone relazioni di reciproco rispetto e considerazione fra i soggetti istituzionali; a tutto ciò deve conseguire che il vincolo procedimentale imposto dalla Costituzione non può ritenersi rispettato con la mera richiesta del parere e con la sua formale acquisizione, essendo, invece, necessario che esso sia anche effettivamente preso in considerazione in termini «espressi, sostanziali e compiuti» e che siano rese note all’organo consultivo le ragioni per le quali il suo parere è stato disatteso.

Poco importa, prosegue la difesa delle Marche, che alcuni parlamentari si siano espressi nel corso della discussione della legge, sugli stessi temi toccati dal parere, come fa rilevate la difesa dello Stato, posto che ciò non prova né la conoscenza del parere da parte di costoro, né, tantomeno, da parte delle Camere nel loro complesso.

6.2.– Riguardo al «presunto obbligo di motivazione» del legislatore, la Regione, chiarendo il contenuto del suo ricorso, precisa di non lamentare la violazione di un generico obbligo in tal senso, ma di dolersi del fatto che, costituendo l’espressione del parere un atto necessario di interlocuzione istituzionale, essa non abbia avuto la possibilità di reperire, in atti parlamentari ufficiali e pubblici, echi nell’esame del suo parere.

Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione la difesa regionale pone l’accento, onde evidenziare la inapplicabilità alla fattispecie della giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale che ne nega l’applicabilità al procedimento di formazione delle leggi, sul fatto che in questo caso, essendo la stessa fonte costituzionale a richiedere una forma di collaborazione interistituzionale fra Camere e Regioni, è tale medesima fonte che postula l’applicabilità del principio stesso.

6.3.– Riguardo alla dedotta, da parte resistente, infondatezza delle censure relative al «merito delle scelte politiche fatte con la legge» censurata, la ricorrente Regione, infine, ribadisce che tale aspetto non è in discussione, essendo la censura esclusivamente riferita ad aspetti formali del procedimento di approvazione della legge.

Considerato in diritto

1.– La Regione Marche ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale della intera legge 3 agosto 2009, n. 117 (Distacco dei Comuni di Casteldieci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello dalla Regione Marche e loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito della Provincia di Rimini, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione), ritenendola in contrasto con l’art. 132 della Costituzione nonché col principio di leale collaborazione che deve informare i rapporti interistituzionali.

1.1.– La ricorrente, in particolare, denuncia la legge citata – con la quale, in applicazione del meccanismo legislativo previsto appunto dall’art. 132, secondo comma, della Costituzione, è stato disposto il distacco dei Comuni di Casteldieci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello dalla Regione Marche e la loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna – in quanto, a suo avviso, nel corso del procedimento parlamentare di approvazione della legge medesima, il parere, reso in senso contrario al distacco, emesso dalla Assemblea legislativa della Regione Marche ai sensi della citata disposizione costituzionale non è stato oggetto di sostanziale considerazione risultante da atti ufficiali e conoscibili, come, invece, avrebbe richiesto l’art. 132 della Costituzione ed in quanto, nel corso dello stesso procedimento legislativo, sarebbe stato, altresì, violato il principio di leale collaborazione, essendo stato il ricordato parere negativo solamente acquisito agli atti, senza che la Regione che lo ha reso sia stata posta in condizione di conoscere i motivi che hanno spinto le Camere a discostarsi da esso, così risultando violate le regole di reciproco rispetto attraverso le quali devono svolgersi le relazioni tra i soggetti cui spettano poteri riconosciuti dalla Costituzione.

2.– Deve, preliminarmente, darsi atto della ammissibilità del ricorso, ancorché rivolto nei confronti di un’intera legge e non di singole disposizioni in essa contenute: infatti, per un verso, il tipo di censure formulate dalla ricorrente, avendo ad oggetto in sostanza le modalità di svolgimento del procedimento di formazione della legge, involgono il testo normativo nella sua globalità, e, per altro verso, la assoluta omogeneità delle disposizioni contenute nella legge n. 117 del 2009 ne consente, in ogni caso, la complessiva impugnazione.

2.1.– Sempre in via preliminare, va rilevato che esula dal presente giudizio la circostanza che la legge censurata sia stata promulgata facendo uso della formula di promulgazione ordinaria e non di quella specifica prevista dall’art. 46, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), per le leggi che dispongono una variazione territoriale ai sensi dell’art. 132, secondo comma, della Costituzione, in quanto la suddetta evenienza, pur evidenziata dalla Regione nell’ampio ed analitico esame delle questioni attinenti all’attuazione dell’art. 132 Cost., non è stata oggetto di censura.

3.– La questione non è fondata.

3.1.– Rileva questa Corte che, con riferimento alla asserita violazione del secondo comma dell’art. 132 della Costituzione, detta disposizione consente, ove si intenda distaccare uno o più Comuni – o Province – da una Regione onde aggregarli ad un’altra, che ciò avvenga solo attraverso un procedimento speciale, plurifasico, aggravato dal previo svolgimento di due adempimenti ulteriori rispetto a quelli legislativi ordinari. In particolare, è previsto che sia dapprima acquisita, tramite l’esperimento di un’apposita consultazione popolare condotta secondo le forme del referendum, la approvazione della maggioranza delle popolazioni degli enti territoriali interessati all’operazione di distacco e di aggregazione e che, quindi, siano, altresì, «sentiti i Consigli regionali» delle due Regioni coinvolte dalla operazione.

Con riferimento a tale secondo adempimento, questa Corte ha chiarito, come più volte ricordato dalla stessa ricorrente, che esso ha la finalità di consentire la complessiva emersione di tutti gli interessi locali implicati nella operazione – e, pertanto, non solo di quelli di cui sono portatori gli abitanti dei Comuni oggetto del distacco e della conseguente aggregazione, il cui momento di valorizzazione è specificamente fornito dalla consultazione referendaria – e la loro organica valutazione: in tal senso è stata, infatti, affermata la «sicura incidenza […che i predetti pareri…] avranno […] ai fini della eventuale approvazione della legge di modifica territoriale» (sentenza n. 334 del 2004).

Si tratta di una conclusione che viene senz’altro ribadita anche in questa sede, tenendo peraltro presente il quadro generale, delineato dalla citata disposizione costituzionale, entro cui i suddetti pareri si collocano.

3.2.– Al riguardo, è opportuno sottolineare che, costituendo la legge impugnata la prima applicazione di quanto previsto dal secondo comma dell’art. 132 Cost. – tra l’altro nel testo modificato dall’art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – la Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera ha ritenuto di approfondire, anche in via generale, la materia effettuando una apposita indagine conoscitiva sulle problematiche relative al distacco dei Comuni da una Regione ed alla loro conseguente aggregazione ad un’altra, giungendo alla conclusione, secondo le parole di un suo componente, che «in nessun caso il Parlamento possa essere considerato una sorta di notaio in questo procedimento, per effetto di una serie di fasi precedenti che si sono determinate». In realtà, secondo quanto è stato affermato nel corso dell’indagine e delle relative audizioni, «le Camere del Parlamento sono chiamate a valutare questa tematica, così come tutte le altre, alla luce […] dell’interesse generale, dell’intera comunità politica e dell’intera Repubblica».

È senz’altro rispondente al vero che la difesa della Regione non contesta che il Parlamento possa disattendere la volontà della Regione medesima espressa tramite il parere del suo Consiglio, dato che pone al centro della questione di costituzionalità un diverso aspetto attinente alla assenza, nell’atto legislativo e negli adempimenti formali che lo hanno accompagnato e seguito, di valutazioni che esplicitino i motivi della mancata considerazione di detto parere, sì che, portando alle estreme conseguenze tale argomentazione, potrebbe addirittura dubitarsi della circostanza che esso sia stato preso in esame. Così argomentando la ricorrente giunge, però, a porre a carico del legislatore nazionale vincoli non previsti nel normale iter di formazione delle leggi.

3.3.– Questa Corte non ritiene, né lo ha ritenuto nella sentenza n. 334 del 2004, che la «sicura incidenza» che i pareri espressi dalle Regioni vengono ad avere nell’ambito della procedura prevista dal secondo comma dell’art. 132 Cost. possa concretizzarsi nell’esistenza a carico del Parlamento di ulteriori oneri procedimentali susseguenti alla espressione del parere ed alla sua acquisizione in sede parlamentare.

La norma costituzionale infatti, l’unica che possa porre dei vincoli di carattere procedimentale all’operato degli organi legislativi, non prescrive che, esauritasi la prima delle due fasi in cui si articola lo speciale procedimento di cui all’art. 132, secondo comma, della Costituzione (cioè quella avente ad oggetto la consultazione referendaria e la espressione del parere dei Consigli regionali interessati), la seconda fase (quella cioè che ha inizio con la presentazione del disegno di legge) si svolga secondo forme sostanzialmente diverse rispetto a quelle legislative ordinarie. Richiedere, pertanto, come preteso dalla ricorrente, che gli organi parlamentari «rendano conoscibili le specifiche ragioni in forza delle quali ess(i) si siano eventualmente determinat(i) in senso difforme rispetto ai punti di vista espressi dalle Regioni interessate», o che abbiano oneri motivazionali, equivarrebbe ad inserire un ulteriore aggravamento della procedura non richiesto dalla disposizione che si assume violata.

3.4.– Né da quanto precede potrebbe scaturire un vulnus alle forme di tutela che l’ordinamento appresta alla Regione che si vedesse, in maniera arbitraria ed in contrasto col parere da essa espresso, privata o accresciuta di una parte del suo territorio abituale, posto che la medesima potrebbe (sentenza n. 241 del 2008) impugnare di fronte a questa Corte la legge attraverso la quale si realizzasse la modifica territoriale allegandone, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, la eventuale arbitrarietà sotto la specie della irragionevolezza, essendo evidente, in questo caso, che il vizio dedotto, sebbene non direttamente relativo a parametri attributivi di competenze regionali, ridonderebbe, tuttavia – dato che verrebbe ad incidere in via immediata sulla estensione territoriale entro la quale la Regione eserciterebbe la sua potestas, ampliandone o riducendone l’ambito di applicazione – sulle sue competenze, cosi rendendo ammissibile, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la doglianza formulata da parte della Regione.

4.– È opportuno, infine, per completezza, soffermarsi anche su una argomentazione più volte sottolineata dalla ricorrente, vale a dire il vulnus alla integrale conoscenza dei necessari presupposti della decisione che i parlamentari stavano per assumere, ed alle prescrizioni contenute nel secondo comma dell’art. 132 Cost., che sarebbe stato rappresentato dal mancato inserimento nel cosiddetto “fascicolo d’Assemblea” dei pareri espressi dai Consigli regionali interessati. A prescindere dalla circostanza di fatto che l’esame degli atti parlamentari evidenzia che tali pareri erano ben conosciuti da coloro che sono intervenuti nel dibattito parlamentare, che il diverso contenuto dei due pareri è emerso anche durante lo svolgimento della citata indagine conoscitiva svoltasi presso la prima Commissione della Camera e che ad essi fa esplicito riferimento il parere espresso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali a conclusione dell’esame della proposta di legge relativa al distacco dei suddetti comuni dalla Regione Marche e alla loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, deve osservarsi che le modalità di predisposizione della documentazione relativa ai lavori delle Commissioni e dell’Aula rientrano pienamente negli interna corporis delle Assemblee parlamentari e che, quindi, si tratta di un’indagine relativa ad adempimenti materiali propedeutici all’espressione del voto che deve ritenersi «assorbita dalla valutazione circa il corretto svolgimento dei lavori parlamentari, che solo la Camera è competente a compiere» (sentenza n. 379 del 1996).

5.– Egualmente infondato è il motivo di censura svolto sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione.

Invero, salva ed impregiudicata la assai dubbia congruità del parametro invocato nei confronti di una fattispecie avente ad oggetto lo svolgimento della funzione legislativa (da ultimo, sentenze n. 247 del 2009, n. 371, n. 222 e n. 159 del 2008), anche ove si aderisse alla tesi formulata da parte ricorrente, volta a rivendicare, invece, la pertinenza al caso del parametro costituzionale dedotto, non può non osservarsi che, anche in questa solo astratta ipotesi, la previsione di un onere di informazione – il cui contenuto formale e sostanziale non è, peraltro, univocamente chiarito dalla stessa Regione ricorrente – gravante sulle Camere, in favore del Consiglio regionale che abbia reso il parere ai sensi dell’art. 132, secondo comma, della Costituzione, si risolverebbe in un appesantimento della procedura di approvazione della legge che dispone la variazione territoriale, non giustificato da alcuna norma di rango costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 3 agosto 2009, n. 117 (Distacco dei Comuni di Casteldieci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello dalla Regione Marche e loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito della Provincia di Rimini, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione), sollevata dalla Regione Marche, in riferimento all’art. 132, secondo comma, della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2010.