Sentenza n. 149 del 2010

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SENTENZA N. 149

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                    AMIRANTE                                    Presidente

-           Ugo                             DE SIERVO                                      Giudice

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                     “

-           Franco                         GALLO                                                    “

-           Luigi                            MAZZELLA                                            “

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             “

-           Sabino                         CASSESE                                                “

-           Maria Rita                   SAULLE                                                  “

-           Giuseppe                     TESAURO                                               “

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       “

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     “

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          “

-           Paolo                           GROSSI                                                   “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria), e degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi spediti per la notifica il 3 e il 20 marzo 2009, depositati in cancelleria il 9 ed il 24 marzo 2009 ed iscritti ai nn. 20 e 22 del registro ricorsi 2009.

Visti gli atti di costituzione della Regione Calabria; 

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi  l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Calabria.

Ritenuto in fatto

1. − Con ricorso depositato il 9 marzo 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che sia dichiarata, con riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria).

La norma regionale impugnata dispone che «il personale sanitario incaricato ai sensi della legge 9 ottobre 1970 n. 740 è inquadrato con uguale numero di ore contrattualizzate, nei ruoli del Servizio Sanitario Regionale nella corrispondente categoria e profilo previsti per il personale delle Aziende Sanitarie Provinciali. Tale disposizione non si applica ai rapporti a tempo determinato instaurati ai sensi della stessa legge. Il personale incaricato ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740 dovrà eliminare eventuali situazioni di incompatibilità al momento dell’accettazione dell’inquadramento nei ruoli del Servizio Sanitario Regionale».

Secondo il ricorrente, la disposizione qui censurata investirebbe due diversi ambiti materiali: da un lato, essa costituirebbe espressione della funzione di coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, afferirebbe alla tutela della salute, materie entrambe oggetto di potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Da ciò conseguirebbe che, vertendosi in materie di legislazione concorrente, lo Stato sarebbe legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le Regioni e per le Province autonome, palesemente disattesi dalla legge regionale impugnata.

L’articolo 1, comma 2, della legge Regione Calabria violerebbe innanzitutto il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008, adottato in attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), secondo il quale, nell’ambito del trasferimento del personale sanitario penitenziario al Servizio sanitario regionale, i rapporti di lavoro instaurati ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento della categoria di personale sanitario addetto agli istituti di previdenza e pena non appartenenti a ruoli organici dell’amministrazione penitenziaria), continuano ad essere disciplinati dalla stessa legge fino alla relativa scadenza. Secondo tale norma finanziaria statale, infatti, il personale sanitario penitenziario “incaricato” ai sensi della menzionata legge n. 740 del 1970, a differenza del personale dipendente di ruolo dell’amministrazione penitenziaria, non dovrebbe essere inquadrato nei ruoli del Servizio sanitario regionale, ma sarebbe semplicemente trasferito alle Aziende sanitarie locali continuando ad essere disciplinato e retribuito secondo quanto previsto dalla citata legge statale. La disposizione regionale in esame pertanto, comportando oneri aggiuntivi non quantificati, eccederebbe dalla competenza concorrente attribuita alla Regione in materia di coordinamento della finanza pubblica e violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Dopo aver effettuato un’articolata disamina delle norme che costituiscono, a suo giudizio, il fondamento dell’attività dell’Amministrazione penitenziaria in materia di sanità penitenziaria, il Presidente del Consiglio espone che il comma 283 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007, in particolare, avrebbe previsto, tra l’altro, che «sono definiti, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza previsti dalla legislazione vigente e delle risorse finanziarie (...) b) le modalità e le procedure (...) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere (...) relativi all’esercizio di funzioni sanitarie nell’ambito del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, con contestuale riduzione delle dotazioni organiche dei predetti Dipartimenti in misura corrispondente alle unità di personale di ruolo trasferite al Servizio sanitario nazionale».

Il d.P.C.m. 1° aprile 2008 summenzionato, che ha dato attuazione al suddetto comma, si sarebbe preoccupato di disciplinare dal punto di vista operativo  «le modalità, i criteri e le procedure per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali relativi alla sanità penitenziaria» (art. 1). Il provvedimento quindi, riferisce sempre il Presidente del Consiglio, prevede che, ai fini dell’esercizio delle funzioni sanitarie afferenti alla medicina penitenziaria da parte del Sistema sanitario nazionale, siano trasferite allo stesso risorse finanziarie dallo stesso quantificate.

Ebbene, secondo la ricorrente la suddetta disposizione non sarebbe estranea alle esigenze di coordinamento della finanza pubblica, in quanto tenderebbe a contenere i costi del Servizio sanitario. L’art. 6, comma 4, del predetto decreto, infatti, stabilisce espressamente che dalla sua applicazione «non devono derivare oneri a carico della finanza pubblica superiori all’ammontare delle risorse complessivamente trasferite al Servizio sanitario nazionale ai sensi del comma 1». L’esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si scontra con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario.

L’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria n. 46 del 2008, comportando l’inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario regionale dei dirigenti medici che sono stati ammessi all’incarico di cui alla legge n. 740 del 1970 mediante pubblico concorso per titoli ed in possesso del solo diploma di laurea in medicina e chirurgia, contrasterebbe inoltre con il principio fondamentale in materia di tutela della salute di cui all’art. 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e all’art. 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), secondo i quali alla dirigenza sanitaria si accede per concorso pubblico per titoli ed esami solo se in possesso della laurea e della specializzazione nella disciplina oggetto del concorso.

La disposizione impugnata sarebbe, quindi, costituzionalmente illegittima, perché attribuirebbe il diritto al conferimento degli incarichi dirigenziali in questione a soggetti privi dei requisiti stabiliti dalla normativa statale, ovvero della specializzazione nella disciplina oggetto del concorso.

Così disponendo, la norma regionale eccederebbe dalla competenza legislativa concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute e violerebbe l’art. 117, comma terzo, della Costituzione.

2. – Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, contestando, con varie argomentazioni, le affermazioni del Presidente del Consiglio e, in primo luogo, negando che la legge censurata riguardi sia la materia del coordinamento della finanza pubblica che la materia della tutela della salute e che in tali materie (di legislazione concorrente) sarebbero presenti dei princìpi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato che la legge regionale avrebbe violato.

Quanto alla prima censura, in base alla quale la legge regionale impugnata avrebbe violato il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008, adottato in attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge n. 244 del 2007, a tenore del quale i rapporti di lavoro instaurati ai sensi della legge n. 740 del 1970 dovrebbero essere disciplinati da quella stessa legge sino alla loro scadenza, la Regione eccepisce innanzitutto l’inammissibilità della censura, dato che la materia nella quale la legge regionale censurata incide, infatti, non sarebbe quella del coordinamento della finanza pubblica e nemmeno quella della tutela della salute, bensì quella dell’organizzazione degli uffici e del personale regionale. A tal proposito, la difesa della Regione ricorda la sentenza n. 223 del 2006 con la quale questa Corte, pronunciandosi su una legge regionale relativa alla decadenza automatica di alcune nomine di personale regionale, aveva affermato che la norma, «in quanto diretta esclusivamente a disciplinare 1’organizzazione amministrativa delle aziende in questione, non incide sulla materia dell’«ordinamento civile» (né su quella della «tutela della salute», su cui cfr. sentenza n. 181 del 2006» (par. 5), essendosi limitata a «porre norme in materia di competenza residuale (art. 117, quarto comma, Cost.)».

In secondo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile per l’assenza del rango normativo della disposizione interposta, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che non costituirebbe neppure un regolamento.

Il ricorso sarebbe inoltre inammissibile (e comunque infondato) in quanto l’art. 2, comma 283, della legge n. 244 del 2007 è finalizzato proprio ad ottenere il risultato perseguito dalla legge regionale impugnata, e cioè il trasferimento al Servizio sanitario del personale sanitario in servizio presso gli istituti penitenziari. Il ricorrente non dimostrerebbe in alcun modo che la Regione Calabria, con la legge censurata, abbia determinato oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, ovvero oneri eccedenti le risorse trasferite.

Quanto all’infondatezza, la Regione contesta che il principio invocato dal ricorrente sia un principio fondamentale. Invero, lo stabilire che i rapporti di lavoro del personale sanitario assunto in forza della legge n. 740 del 1970 debbano essere regolati da tale legge sino alla scadenza (art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008) significherebbe interferire, con disciplina di dettaglio, nella regolazione di un rapporto di lavoro che non intercorre più con l’Amministrazione statale, bensì con quella regionale.

Quanto alla seconda censura prospettata dal ricorrente, concernente l’asserita violazione del principio fondamentale in materia di tutela della salute fissato dall’art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992 e dall’art. 24 del d.P.R. n. 483 del 1997 – che limiterebbe l’accesso alla dirigenza sanitaria ai soggetti in possesso non solo della laurea, ma anche della specializzazione – la stessa sarebbe inammissibile, dato che il ricorrente censurerebbe l’intero art. 1, comma 2, della legge regionale impugnata, senza distinguere il tipo di personale, così non consentendo l’individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità.

La censura, comunque, sarebbe infondata. In primo luogo, secondo la Regione, occorrerebbe rilevare che la legge regionale prevede espressamente l’inserimento «nei ruoli del Servizio Sanitario Regionale nella corrispondente categoria e profilo previsti per il personale delle Aziende Sanitarie Provinciali», con ciò chiarendo la corrispondenza della posizione in ruolo prima e dopo il trasferimento.

3. − Con ricorso depositato in cancelleria il 24 marzo 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che sia dichiarata, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, l’illegittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria).

Riferisce il ricorrente che, in particolare, l’art. 7 della legge regionale censurata dispone che «ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 8, comma 1-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche ed integrazioni e dell’Accordo collettivo nazionale della medicina generale del 23 marzo 2005, la Regione provvede all’inquadramento in ruolo dei medici a tempo indeterminato, attualmente incaricati nell’emergenza sanitaria, previo giudizio di idoneità secondo le procedure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 dicembre 1992, n. 502, a condizione che gli stessi abbiano maturato almeno cinque anni di attività a regime di convenzione, di cui almeno tre nell’emergenza.»; che, a mente del successivo art. 8, comma 1, «i medici titolari di continuità assistenziale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge ed utilizzati in attività diverse, da almeno tre anni presso le Aziende sanitarie della Regione, possono chiedere, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di essere inquadrati nel relativo posto in organico, previo giudizio di idoneità ove già non esperito»; che, ai sensi dell’art. 9, infine, «i medici della Medicina dei servizi risultati idonei ed inseriti negli elenchi di cui ai decreti dirigenziali n. 17301 del 17 novembre 2005 e 12611 del 6 ottobre 2006 del Dipartimento regionale tutela della salute sono inquadrati in ruolo, nei posti in atto occupati nelle aree previste dal decreto dirigenziale n. 416 del 17 luglio 2000 dello stesso Dipartimento».  

Secondo il Presidente del Consiglio, le disposizioni censurate investirebbero due diversi ambiti materiali. Da un lato, esse costituirebbero espressione della funzione di coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, atterrebbero alla tutela della salute: materie, entrambe, oggetto di potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Da ciò conseguirebbe che, vertendosi in materie di legislazione concorrente, lo Stato sarebbe legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le Regioni e per le Province autonome, e detti principi sarebbero palesemente disattesi dalla legge regionale impugnata.  

Secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’art. 7 della legge della Regione Calabria n. 1 del 2009 violerebbe, innanzitutto, il principio fondamentale in materia di tutela della salute contenuto nell’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo il quale l’inquadramento dei dirigenti medici è consentito, in deroga al principio del pubblico concorso, solo qualora ricorrano le particolari condizioni ed i determinati riferimenti temporali indicati dalla norma stessa. Infatti, l’art. 8, comma 1-bis, citato, permetterebbe, in deroga al principio del pubblico concorso, l’inquadramento dei soli medici in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 229 del 1999, i quali al 31 dicembre 1998 risultavano titolari di un incarico a tempo indeterminato da almeno cinque anni.  

La disposizione regionale – prevedendo, invece, l’inquadramento nei ruoli della dirigenza medica del personale incaricato nell’emergenza sanitaria, che abbia maturato cinque anni di attività in regime di convenzione e che risulti in servizio alla data di entrata in vigore della legge regionale – protrarrebbe l’efficacia della norma transitoria contenuta nel predetto art. 8, comma 1-bis, che, secondo il ricorrente, è una disposizione transitoria ed eccezionale e, quindi, insuscettibile di applicazione estensiva o analogica. Pertanto, la previsione regionale, operando l’estensione dell’inquadramento a fattispecie non contemplate dalla norma statale, eccederebbe dalla competenza concorrente in materia di tutela della salute e violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.  

L’art. 7 della impugnata legge Regione Calabria, inoltre, si porrebbe in contrasto anche con il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), il cui obiettivo è il contenimento della spesa di personale. Infatti, la disposizione regionale, prevedendo un inquadramento nei ruoli dei dirigenti medici non consentito dalla legislazione statale, determinerebbe oneri aggiuntivi non quantificati e, pertanto, eccederebbe dalla competenza concorrente attribuita alle Regioni in materia di coordinamento della finanza pubblica, violando l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.  

La medesima disposizione regionale contrasterebbe, altresì, con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97, Cost., in quanto elude – al di fuori dei casi espressamente contemplati dall’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992 – il principio di eguaglianza dei cittadini ed il principio del concorso pubblico, quale strumento ineludibile di accesso al pubblico impiego, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale, ed a creare, in ambito nazionale, difformità di applicazione della disposizione statale richiamata.  

Secondo il Presidente del Consiglio, anche gli artt. 8 e 9 della legge regionale censurata, nel prevedere l’inquadramento in ruolo dei medici titolari, in virtù di convenzione, della «continuità assistenziale» e della «Medicina dei Servizi», che presentino determinati requisiti, eccederebbero dalle competenze regionali. Tali disposizioni regionali configurerebbero, infatti, una sostanziale stabilizzazione dei dirigenti medici che non è consentita dalla legislazione statale. In particolare, esse contrasterebbero innanzitutto con i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuti nell’art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007 e nell’art. 1, comma 558, e commi da 513 a 543 (ai quali il comma 565 fa rinvio), della menzionata legge n. 296 del 2006, che, nel disciplinare la stabilizzazione del personale precario, escludono espressamente l’applicabilità delle relative procedure al personale dirigente, eccedendo pertanto dalle competenze regionali in materia di coordinamento della finanza pubblica e violando l’art. 117, terzo comma, Cost. Inoltre tale stabilizzazione del personale dirigenziale contrasterebbe con la necessità che alla dirigenza sanitaria si acceda per concorso pubblico per titoli ed esami, stabilita dall’art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, che costituisce normativa di principio in materia di tutela della salute (ai fini dell’art. 117, terza comma, Cost.), secondo quanto può evincersi anche dall’art. 19, comma 1, della stessa legge, che la qualifica espressamente come tale.  

Esse, in fine, potendo dar luogo ad un trattamento differenziato rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, violerebbero altresì i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.  

Inoltre, secondo il ricorrente, gli artt. 7, 8 e 9 della legge regionale in esame, prevedendo, ai fini dell’inquadramento nei ruoli, semplicemente un previo giudizio di idoneità, si porrebbero in contrasto anche con il principio del pubblico concorso, stabilito dall’art. 97 Cost., e darebbero luogo ad un trattamento differenziato rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, violando gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. 

4. − Si è costituita in giudizio la Regione Calabria e, in primo luogo, ha contestato il parametro costituzionale invocato dal ricorrente (l’art. 117, terzo comma, Cost.). La materia nella quale la legge regionale censurata incide, infatti, non sarebbe quella del coordinamento della finanza pubblica e nemmeno quella della tutela della salute, bensì quella dell’organizzazione degli uffici e del personale regionale.

In ordine alla asserita violazione di principi fondamentali in materia di tutela della salute, la Regione afferma che tali principi non sarebbero compromessi per effetto del mero inquadramento in ruolo di medici che già sono a tempo indeterminato e che già sono legati al S.S.N. da un rapporto convenzionale, con specifici incarichi nell’emergenza sanitaria, in tal modo maturando una competenza ed una professionalità specifiche. La legge regionale, anzi, sarebbe estremamente rigorosa, poiché non si limiterebbe a richiedere la maturazione di almeno un quinquennio di regime convenzionale, imponendo che entro il quinquennio almeno tre anni siano stati destinati a compiti nel settore dell’ emergenza.

In ogni caso, secondo la Regione il ricorrente cadrebbe in contraddizione, laddove qualifica come principio fondamentale quello che vorrebbe desumere da una disposizione che lo stesso ricorrente qualifica transitoria ed eccezionale.

Per quanto attiene all’asserita violazione dei princìpi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, la Regione rammenta che l’art. 10, comma 1, della legge regionale impugnata dispone espressamente che «L’assunzione a tempo indeterminato ovvero l’immissione nei ruoli organici del personale di cui alla presente legge è subordinata al rispetto del vincolo previsto dall’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, alla esistenza dei relativi posti in organico, alla disponibilità finanziaria, nonché alle motivate esigenze per la stabile copertura dei posti».

In ordine al principio del concorso (invocato in connessione a quello di uguaglianza), la Regione ammette che la norma censurata prevede una procedura selettiva che chiama “giudizio di idoneità”, ma ritiene che, nella specie, la distinzione di tale giudizio da un pubblico concorso sarebbe a dir poco opinabile, dato che la legge regionale definirebbe l’ambito dei requisiti soggettivi necessari per la partecipazione non meno di quanto si faccia in un pubblico concorso. La Regione soggiunge che, in base a un consolidato indirizzo della Corte, al principio del concorso si può derogare quando vi siano ragioni peculiari di pubblico interesse (sentenza n. 81 del 2006).

Quanto, infine, agli artt. 8 e 9 della legge regionale impugnata, la Regione sottolinea che il ricorrente invoca un parametro (l’art. 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006) il cui rispetto l’art. 10, comma 1, della legge regionale impugnata assume a condizione della propria operatività.

D’altronde, prosegue la Regione Calabria, l’art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007 si limiterebbe a disporre l’obbligo, per le Amministrazioni, di elaborare piani per la stabilizzazione del personale non dirigenziale, e non escluderebbe che, in presenza di esigenze di pubblico interesse (quelle che, nella specie, sono esplicitamente menzionate - si ripete - dagli artt. 10 e 11 della legge impugnata), la stabilizzazione (disposta con legge regionale) possa riguardare anche il personale dirigenziale.

In ogni caso, la legge censurata sarebbe stata significativamente modificata, dopo poco tempo dalla sua entrata in vigore, dalla successiva legge regionale 19 marzo 2009, n. 5 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 15 gennaio 2009, n. 1), con l’introduzione di una specifica prova concorsuale. La difesa regionale ritiene che, per tale motivo, sarebbe cessata la materia del contendere.

Considerato in diritto

1. − Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria), nonché, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria).

2. − Preliminarmente, deve disporsi la riunione dei giudizi, avendo gli stessi ad oggetto lo scrutinio, sulla base di parametri in parte coincidenti, di disposizioni di legge tra loro omogenee.

3. − La prima questione all’esame della Corte attiene alla legge regionale calabra n. 46 del 2008, il cui art. 1, comma 2, dispone l’inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario regionale del personale sanitario «incaricato», ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740 – ossia del personale sanitario che, pur non essendo in carico all’amministrazione penitenziaria, presta la propria opera all’interno della stessa con un rapporto di lavoro non subordinato. Tale inquadramento è disposto dalla norma censurata per un numero di ore pari a quelle contrattualizzate nell’ambito del rapporto disciplinato dalla citata legge n. 740 del 1970.

Secondo il Presidente del Consiglio, la norma regionale censurata inciderebbe su una materia di competenza legislativa concorrente, quale quella del coordinamento della finanza pubblica. Sotto tale aspetto, essa contrasterebbe con i principi fondamentali dettati dall’art. 3, comma 4, del d.P.C.m. 1° aprile 2008, adottato in attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria per il 2008), secondo il quale, nell’ambito del trasferimento del personale penitenziario al Servizio sanitario regionale, i rapporti di lavoro del «personale incaricato» continuano ad essere disciplinati dalla stessa legge fino alla relativa scadenza. Infatti, secondo la legge statale, il personale sanitario incaricato non è inquadrato nei ruoli del servizio sanitario regionale ma semplicemente trasferito alle Asl. Di conseguenza, comportando oneri finanziari aggiuntivi, la norma censurata eccederebbe dalla competenza concorrente regionale.

3.1. − La Regione Calabria ha, preliminarmente, messo in dubbio l’idoneità della disposizione del citato d.P.C.m. a fungere da principio fondamentale della legislazione statale, attesa la sua natura di provvedimento non normativo, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile.

Tale eccezione deve essere disattesa. Deve infatti rilevarsi che il menzionato d.P.C.m. ha disposto il trasferimento dei rapporti di lavoro dall’amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale in pedissequa attuazione dell’art. 2, comma 283, della legge finanziaria per il 2008, parimenti indicato come principio fondamentale dal Presidente del Consiglio: è a tale fonte legislativa, avente rango di norma primaria che, dunque, nel valutare la legittimità della normativa regionale censurata, occorre fare esclusivo riferimento.

3.2. – La questione è fondata.

La figura dei cd. medici incaricati è stata introdotta e disciplinata per la prima volta dall’art. 1 della legge 9 ottobre 1970, n. 740 (Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria), che così qualifica i medici «non appartenenti al personale civile di ruolo dell'Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali prestano la loro opera presso gli istituti o servizi dell'amministrazione stessa».

In base alla predetta disciplina statale, le prestazioni rese da questi ultimi non ineriscono ad un rapporto di lavoro subordinato, ma sono inquadrabili nella prestazione d’opera professionale, in regime di parasubordinazione, come questa Corte ha indirettamente statuito in tempi risalenti (sentenza n. 577 del 1989) affermando che, diversamente dagli impiegati civili dello Stato, i medici «incaricati» possono esercitare liberamente la professione ed assumere altri impieghi o incarichi.

Sotto tale aspetto, la successiva norma statale dettata dal citato art. 2, comma 283, indicata dallo Stato come principio fondamentale, non ha alterato l’originaria natura giuridica del contratto di lavoro con i predetti medici, ma, nell’ottica del contenimento della finanza pubblica, ha delegato lo stesso Presidente del Consiglio a definire il mero trasferimento al Servizio sanitario nazionale di tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, e si è esplicitamente fatto carico del contenimento della spesa pubblica, stabilendo: a) il trasferimento delle risorse finanziarie complessive al Fondo sanitario nazionale per il successivo riparto tra le Regioni e le Province autonome; b) i criteri per la ripartizione delle stesse tra le Regioni e le Province (quantificandole con riferimento agli esercizi finanziari a venire fino a quello del 2010 e finanche prevedendone la progressiva traslazione economica dal bilancio del Ministero della giustizia a quello della salute); c) il riordino di un intero comparto di spesa (il rapporto di lavoro dei medici operanti nel sistema penitenziario).

Il d.P.C.m. 1° aprile 2008 ha poi dato attuazione a tale novazione meramente soggettiva del rapporto, disponendo esplicitamente la persistente applicazione al personale «incaricato» del regime dettato dalla legge n. 740 del 1970.

Al contrario, la norma regionale censurata, disponendo lo stabile inquadramento dei medici incaricati nei ruoli della Regione, ha di fatto trasformato, all’interno della Regione Calabria, rapporti parasubordinati in rapporti di lavoro subordinato e a tempo indeterminato.

Tale disciplina è chiaramente lesiva delle competenze legislative statali in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Invero, come chiarito di recente da questa Corte, spetta al legislatore statale il compito di evitare l’aumento incontrollato della spesa sanitaria (sentenza n. 203 del 2008) e di effettuare un bilanciamento tra l’esigenza di garantire egualmente a tutti i cittadini il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile, e quella di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile ad essa destinare (sentenza n. 94 del 2009).

Contravvenendo a tali principi, la norma censurata si è posta in contrasto con il citato art. 2, comma 283, della legge finanziaria per il 2008, che si limita a trasferire la titolarità del rapporto di lavoro dal Servizio sanitario nazionale a quello regionale e che costituisce principio fondamentale della legislazione dello Stato in materia. D’altra parte, la stessa norma, determinando la costituzione di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ha causato un considerevole aggravio di oneri finanziari a carico della Regione e, in definitiva, del Servizio sanitario nazionale.

4. − Il Presidente del Consiglio ricorre anche contro gli articoli 7, 8 e 9 della legge Regione Calabria n. 1 del 2009.

Tali norme dispongono tutte l’inquadramento in ruolo, con contratti a tempo indeterminato, di diverse categorie di personale sanitario incaricato, che in precedenza non risultavano stabilizzati: l’art. 7 dei medici incaricati dell’emergenza sanitaria, gli artt. 8 e 9 dei medici titolari, in virtù di convenzione, della «continuità assistenziale» e della «Medicina dei Servizi».

In particolare, l’art. 7 dispone che «ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 8, comma 1-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche ed integrazioni e dell’Accordo collettivo nazionale della medicina generale del 23 marzo 2005, la Regione provvede all’inquadramento in ruolo dei medici a tempo indeterminato, attualmente incaricati nell’emergenza sanitaria, previo giudizio di idoneità secondo le procedure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 dicembre 1992, n. 502, a condizione che gli stessi abbiano maturato almeno cinque anni di attività a regime di convenzione, di cui almeno tre nell’emergenza.»; il successivo art. 8, comma 1, sancisce che «i medici titolari di continuità assistenziale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge ed utilizzati in attività diverse, da almeno tre anni presso le Aziende sanitarie della Regione, possono chiedere, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di essere inquadrati nel relativo posto in organico, previo giudizio di idoneità ove già non esperito»; l’art. 9, infine, dispone che «i medici della Medicina dei servizi risultati idonei ed inseriti negli elenchi di cui ai decreti dirigenziali n. 17301 del 17 novembre 2005 e n. 12611 del 6 ottobre 2006 del Dipartimento regionale tutela della salute sono inquadrati in ruolo, nei posti in atto occupati nelle aree previste dal decreto dirigenziale n. 416 del 17 luglio 2000 dello stesso Dipartimento».

Secondo il Presidente del Consiglio, le disposizioni censurate investirebbero due diversi ambiti materiali. Da un lato, esse costituirebbero espressione della funzione di coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, afferirebbero alla tutela della salute, materie, entrambe, oggetto di potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Da ciò conseguirebbe che, vertendosi in materie di legislazione concorrente, lo Stato sarebbe legittimato a porre principi fondamentali, come tali vincolanti per le Regioni e per le Province autonome. Tali principi, stabiliti dalla legislazione statale in materia, sarebbero stati violati dalle disposizioni censurate e segnatamente, in materia di tutela della salute, quello dettato dall’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, e, in materia di coordinamento della finanza pubblica, quello dettato dall’art. 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007).

Le medesime disposizioni regionali contrasterebbero, altresì, con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97, Cost., in quanto eludono – al di fuori dei casi espressamente contemplati dall’art. 8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992 – il principio di eguaglianza dei cittadini ed il principio del concorso pubblico, quale strumento di accesso al pubblico impiego.  

4.1. − Preliminarmente, deve disattendersi la richiesta, avanzata dalla difesa della Regione, di dichiarazione di cessazione della materia del contendere delle questioni sollevate, per effetto della entrata in vigore della legge regionale 19 marzo 2009, n. 5, la quale ha aggiunto all’art. 6 della legge censurata un comma 2, secondo cui «Per il personale della dirigenza del ruolo sanitario si procederà ad apposita selezione concorsuale con la riserva fino al 50% dei posti a favore di quello con rapporto a tempo determinato individuato ai sensi del comma 1, in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente». Invero, la introduzione di tale procedura concorsuale riguarda una tipologia contrattuale di personale dirigenziale diversa da quelle oggetto di censura, essendo riferita a quei dirigenti che avevano stipulato contratti di lavoro, anche di collaborazione coordinata e continuativa, in data anteriore al 28 settembre 2007.

4.2. − Nel merito, le questioni sollevate sono fondate, con riferimento all’art. 97 della Costituzione.

Le norme censurate, infatti, prevedendo, ai fini dell’inquadramento nei ruoli, semplicemente un previo giudizio di idoneità, si pongono in contrasto con il principio del pubblico concorso.

Questa Corte ha affermato più volte che solo esigenze obiettive, quali la necessità di valorizzare le esperienze lavorative maturate all’interno dell’amministrazione, possono giustificare la validità di procedure di selezione diverse rispetto al concorso pubblico, e solo a condizione che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione sia assicurato in via alternativa con adeguati criteri selettivi idonei a garantire la professionalità dei soggetti prescelti (v. sentenze n. 9 del 2010, n. 191 del 2007, n. 205 del 2004, n. 34 del 2004, n. 427 del 2007, n. 190 del 2005, n. 517 del 2002 e n. 141 del 1999).

Ebbene, sia nel caso della stabilizzazione dei medici reperiti per far fronte a situazioni di emergenza, sia nel caso dei medici titolari di “continuità assistenziale” di cui al successivo art. 8 e infine di quelli della medicina dei servizi di cui al censurato art. 9, la legge regionale non prevede idonei requisiti e criteri selettivi del personale dirigente.

Neppure la disposizione, invocata dalla resistente, dettata dall’art. 10 della legge regionale censurata − che subordina l’immissione nei ruoli organici del personale disciplinata da tale legge al rispetto del vincolo previsto dall’articolo 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006, alla esistenza dei relativi posti in organico, alla disponibilità finanziaria, nonché alle motivate esigenze per la stabile copertura dei posti − può considerarsi idonea, in assenza di pubblico concorso, a soddisfare le esigenze di professionalità del personale medico e dirigente e, quindi, del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Essa, invero, si limita a prevedere una generica e formale clausola di salvaguardia della procedura dettata dal citato art. 1, comma 565 – che peraltro è finalizzata ad assicurare la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, e non a garantire la professionalità del personale da assumere con contratto stabile − oltre che a ribadire, in modo altrettanto generico, la necessità dell’esistenza di obiettive esigenze e della disponibilità finanziaria.

La mancata previsione di un valido criterio di scelta dei soggetti i cui rapporti di collaborazione sono destinati ad essere stabilizzati fa sì che debba dichiararsi, in riferimento all’art. 97 Cost., l’illegittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria n. 1 del 2009.

4.3. – L’accoglimento del ricorso con riferimento al parametro di cui all’art. 97 Cost. per tutti e tre gli articoli censurati determina l’assorbimento delle altre censure.

per questi motivi

la corte costituzionale

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46 (Disposizioni in materia sanitaria);

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 7, 8 e 9 della legge della Regione Calabria 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.