Ordinanza n. 338 del 2009

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ORDINANZA N. 338

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-      Ugo                                    DE SIERVO                              Presidente 

-      Paolo                                  MADDALENA                           Giudice

-      Alfio                                  FINOCCHIARO                              "

-      Alfonso                              QUARANTA                                   "

-      Franco                                GALLO                                        "

-      Luigi                                  MAZZELLA                                    "

-      Gaetano                              SILVESTRI                                    "

-      Sabino                                CASSESE                                       "

-      Maria Rita                           SAULLE                                         "

-      Giuseppe                             TESAURO                                      "

-      Paolo Maria                         NAPOLITANO                               "

-      Giuseppe                             FRIGO                                            "

-      Alessandro                          CRISCUOLO                                  "

-      Paolo                                  GROSSI                                          "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3 [recte: art. 5, comma 1, lettera a)], della legge 17 febbraio 1992, n. 154 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari), e dell’art. 117, comma 7, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), promosso dal Tribunale di Milano, nel procedimento vertente tra Solara s.r.l. ed altri e la Banca Popolare Commercio e Industria s.p.a., con ordinanza del 4 marzo 2009, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 novembre 2009 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto che, nel corso di un processo civile – promosso per l’accertamento della non debenza e per la restituzione degli importi addebitati agli attori e da questi corrisposti alla Banca convenuta, a titolo di interessi anatocistici e di interessi passivi ultralegali su conti correnti – il giudice unico del Tribunale ordinario di Milano, con ordinanza emessa il 4 marzo 2009, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,  questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3 [recte: art. 5, comma 1, lettera a)], della legge 17 febbraio 1992, n. 154 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari), e dell’art. 117, comma 7, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), «nella parte in cui identificano il tasso legale sostitutivo – delle clausole di contratti bancari nulle perché indeterminate – con riguardo al valore dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari emessi nei dodici mesi “precedenti la conclusione del contratto”»;

che il rimettente precisa che tre dei contratti oggetto del giudizio (nei quali il «tasso d’interesse debitore» è determinato con riferimento alle «condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza») risultano rispettivamente stipulati il 13 novembre 1983, il 13 dicembre 1984 ed il 1° luglio 1992, cioè in epoca precedente all’entrata in vigore (il 9 luglio 1992), dell’art. 4, comma 3, della legge sulla trasparenza bancaria (poi trasfuso nell’art. 117, comma 6, del testo unico bancario, a decorrere dal 1° gennaio 1994) che espressamente commina la nullità di siffatte clausole di rinvio agli usi;

che, peraltro, il giudice a quo osserva che tale previsione imperativa, se non incide (in base al principio di cui all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e dell’art. 161, comma 6, del testo unico bancario) sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano, per l’avvenire, produrre ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso, tali dovendosi ritenere (come nella fattispecie) i rapporti anteriormente costituiti, non ancora esauriti alla data di inizio dell’operatività della norma sopravvenuta; la qual cosa comporta (appunto per il periodo successivo al 9 luglio 1992) l’applicazione del tasso sostitutivo legale come determinato dalle norme censurate;

che, esclusa la praticabilità di una interpretazione (altre volte seguita dal tribunale sul consenso delle parti, secondo una “prassi applicativa equitativa”) che parametri il tasso sostitutivo variabile ai b.o.t. dell’anno antecedente “alla chiusura periodica dei conti”, il rimettente ritiene che – rispetto alla opzione del legislatore (coerente con i fini della normativa sulla trasparenza bancaria) volta a sanzionare con la nullità le clausole dei contratti bancari che, per determinare il tasso di interesse passivo, rinviano agli usi, nonché ad individuare un valore sostitutivo legale, attraverso cui ancorare il costo del denaro all’andamento del mercato finanziario, quale parametro oggettivo più prossimo al mondo delle transazioni bancarie, con un rinvio al valore «minimo e massimo» dei titoli di stato di un periodo prefissato di dodici mesi anteriori – il successivo inciso «la conclusione del contratto» pone un ulteriore elemento, che non sembra necessitato dallo scopo prefisso dalla legge, e che cristallizza a un dato momento storico il valore sostitutivo delle clausole nulle (senza che neppure possa operare lo ius variandi di cui all’art. 118, comma 1, del testo unico bancario), in un rapporto (quale quello di conto corrente) che si sviluppa nel tempo e che strutturalmente segue i mutevoli andamenti del mercato finanziario;

che, da ciò, consegue che, nel caso in cui (come nella fattispecie) i valori di mercato dei b.o.t. o analoghi titoli di stato dei dodici mesi anteriori alle conclusioni dei contratti siano più alti di quelli dei periodi successivi (e finanche più alti dei tassi che, in concreto, la banca ha addebitato ai clienti nel corso dei rapporti), il cliente che faccia valere (ai sensi dell’art. 127, comma 2, del testo unico bancario) la nullità della clausola negoziale illegittima finisce paradossalmente per essere in posizione deteriore rispetto al cliente che non sollevi tale nullità, ancorché essa sia posta dal legislatore a sua tutela;

            che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o comunque di infondatezza della sollevata questione.

            Considerato che il giudice unico del Tribunale civile di Milano censura l’art. 4, comma 3 [recte: art. 5, comma 1, lettera a)], della legge 17 febbraio 1992, n. 154 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari), e l’art. 117, comma 7, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), nella parte in cui identificano il tasso legale sostitutivo – delle clausole di contratti bancari nulle perché indeterminate – con riguardo al valore dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari emessi nei dodici mesi precedenti «la conclusione del contratto»;

che, secondo il rimettente, tali norme (applicabili ai contratti già conclusi) si porrebbero in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto – rispetto alla opzione del legislatore (coerente con i fini della normativa sulla trasparenza bancaria) di sanzionare con la nullità le clausole dei contratti bancari che, per determinare il tasso di interesse passivo, rinviano agli usi, nonché di individuare un valore sostitutivo legale, attraverso cui ancorare il costo del denaro all’andamento del mercato finanziario, quale parametro oggettivo più prossimo al mondo delle transazioni bancarie, con un rinvio al valore «minimo e massimo» dei titoli di stato di un periodo prefissato di dodici mesi anteriori – il successivo inciso «la conclusione del contratto» individua irragionevolmente un ulteriore elemento temporale, che non sembra necessitato dallo scopo prefisso dalla legge, e che cristallizza a un dato momento storico il valore sostitutivo delle clausole nulle, in un rapporto (quale quello di conto corrente) che si sviluppa nel tempo e che strutturalmente segue i mutevoli andamenti del mercato finanziario;

che l’intervenuta Avvocatura generale dello Stato ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità della questione per mancato esperimento, da parte del rimettente, di una possibile lettura alternativa delle norme impugnate, idonea – in ragione della non applicabilità del censurato meccanismo sostitutivo di eterointegrazione ai contratti de quibus conclusi anteriormente alla entrata in vigore delle norme medesime – a superare gli evocati dubbi di incostituzionalità riferiti alla fattispecie in esame;

            che, invero, il rimettente muove dalla premessa secondo cui «la previsione imperativa dell’art. 4 della legge n. 154 del 1992, poi trasfuso nell’art. 117 del Testo unico bancario, là dove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione del tasso di interesse [quali quelle contenute nei contratti oggetto di giudizio], se non incide, in base al principio di cui all’art. 11 preleggi al c.c. – e dell’art. 161, comma 6, del Testo unico bancario che ne è puntuale esecuzione –, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano, per l’avvenire, produrre ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso […], tali dovendosi ritenere i rapporti anteriormente costituiti, non ancora esauriti alla data di inizio dell’operatività della norma sopravvenuta»;

che, da tale premessa il rimettente fa derivare (senza, peraltro, addurre alcun supporto argomentativo in merito) l’automatica conseguenza secondo cui «la nullità di tale indeterminata ed indeterminabile pattuizione del tasso di interesse ultralegale comporta, per il periodo successivo al 9 luglio 1992 […] l’applicazione del tasso sostitutivo legale di cui all’art. 5 della legge n. 154/1992 e, successivamente, all’art. 117-7° TUB»;

che tale conclusione viene basata esclusivamente sulla assiomatica affermazione dell’applicabilità delle norme impugnate ai contratti oggetto del giudizio a quo, che tuttavia non risulta essere l’unica opzione ermeneutica praticabile (e di fatto praticata in sede giurisprudenziale);

che, infatti (come eccepito dall’Avvocatura), parte della giurisprudenza di legittimità e di merito (si vedano: Cassazione 1° marzo 2007, n. 4853, e Cassazione 21 dicembre 2005, n. 28302; nonché Tribunale ordinario di Cagliari, sentenza 27 maggio 2002, n. 1441, e Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sentenza 17 novembre 2001) – muovendo dalla premessa secondo cui la irretroattività (espressamente sancita dall’art. 161, comma 6, del testo unico bancario) della nuova disciplina della nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse si estende anche alla censurata previsione (derogatoria rispetto a quella previgente, fondata su quanto disposto dal terzo comma dell’art. 1284 del codice civile) della sostituzione automatica della clausola nulla, il cui effetto opera in ragione (ed a cagione) della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, cod. civ., derivante dalla mancata osservanza di requisiti sostanziali e formali di singole clausole di contratti stipulati nella vigenza della nuova disciplina – conclude viceversa nel senso della applicabilità ai contratti stipulati anteriormente non già della censurata nuova previsione sostitutiva, bensì degli interessi legali di cui, appunto, al citato art. 1284, terzo comma, del codice civile;

che, dunque, è sufficiente rilevare come la mancata sperimentazione (senza motivazione alcuna) di una pur possibile lettura alternativa (che, peraltro, inciderebbe direttamente anche sul concomitante profilo della rilevanza della sollevata questione nel giudizio a quo: ordinanza n. 171 del 2009) determina la manifesta inammissibilità della questione medesima, per essersi il rimettente sottratto all’obbligo di interpretare la norma, ove possibile, in senso conforme a Costituzione (ex plurimis e da ultimo, ordinanze n. 244 e n. 155 del 2009).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3 [recte: art. 5, comma 1, lettera a)], della legge 17 febbraio 1992, n. 154 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari), e dell’art. 117, comma 7, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sollevata – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – dal giudice unico del Tribunale ordinario di Milano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

         Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2009.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2009.