Sentenza n. 264 del 2009

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SENTENZA N. 264

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                          AMIRANTE                    Presidente

- Ugo                                   DE SIERVO                   Giudice

- Paolo                                 MADDALENA                         "

- Alfio                                  FINOCCHIARO                       "

- Alfonso                              QUARANTA                            "

- Franco                               GALLO                                    "

- Luigi                                  MAZZELLA                             "

- Gaetano                             SILVESTRI                              "

- Maria Rita                          SAULLE                                  "

- Giuseppe                            TESAURO                               "

- Paolo Maria                        NAPOLITANO                         "

- Giuseppe                            FRIGO                                     "

- Alessandro                         CRISCUOLO                           "

- Paolo                                 GROSSI                                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 146, primo comma, numero 3), del codice penale, promosso dal Tribunale di sorveglianza di Palermo, nel procedimento relativo a B.E., con ordinanza del 4 dicembre 2008, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2009.

    Udito nella camera di consiglio del 23 settembre 2009 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

 

Ritenuto in fatto

    1. ¾ Il Tribunale di sorveglianza di Palermo, con ordinanza emessa il 4 dicembre 2008, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 146, primo comma, numero 3), del codice penale (Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena).

    Il giudice rimettente premette di avere promosso d'ufficio il procedimento per l'eventuale nuova concessione del beneficio del differimento obbligatorio della pena nei confronti di un condannato per i reati di rapina aggravata, furto, ricettazione ed altro, già sottoposto alla misura della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in quanto affetto da AIDS conclamata (incompatibile con il regime penitenziario ed in stadio così avanzato da non rispondere più alle terapie praticate), nuovamente arrestato e ristretto in carcere dopo essere stato denunciato per evasione e rapina aggravata, ma ancora una volta segnalato dalla direzione sanitaria del carcere per il grave deficit immunitario incompatibile con il regime penitenziario.

    L'art. 146, primo comma, numero 3), cod. pen. prevede l'obbligo di differire l'esecuzione della pena allorché questa debba avere luogo nei riguardi di persona affetta da AIDS conclamata o da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

    Il rimettente osserva che, nell'attuale quadro normativo, la norma denunciata si combina con la previsione di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario, che, superando l'alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli, consente al tribunale di sorveglianza, quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 146 cod. pen., di applicare sempre la detenzione domiciliare.

    Ad avviso del giudice a quo, qualora lo stato di detenzione domiciliare si palesi assolutamente inidoneo a fronteggiare la pericolosità sociale del soggetto, manifestatasi mediante violazioni delle prescrizioni inerenti al relativo regime o, nei casi più gravi, attraverso la commissione di reati, non sarebbe possibile, nell'attuale assetto normativo, salvaguardare adeguatamente l'esigenza di tutela della collettività disponendo la revoca di tale misura ed il ripristino dell'esecuzione della pena in carcere, perché il meccanismo previsto dall'art. 146 cod. pen. impone di disporre nuovamente il differimento obbligatorio, inibendo qualsivoglia valutazione discrezionale in ordine all'opportunità di negarne l'applicazione in ragione della pericolosità sociale del soggetto, risultata in concreto contenibile solo attraverso il regime carcerario.

    Secondo il Tribunale di sorveglianza, l'automatica e obbligatoria concessione del beneficio, nell'ipotesi in cui il destinatario del differimento sia un soggetto contrassegnato da una attuale ed elevata pericolosità sociale, avrebbe l'effetto di esporre a grave pericolo fondamentali valori della collettività e dei singoli quali la vita, l'incolumità, il patrimonio e la stessa salute individuale e collettiva, tutelati dall'art. 2 Cost. Sotto tale profilo, ad avviso del rimettente sarebbe priva di ragionevole giustificazione la diversità rispetto alla disciplina recata, in tema di rinvio facoltativo della pena, dall'art. 147, ultimo comma, cod. pen., la quale opportunamente consente di ancorare la concessione del rinvio ad un giudizio prognostico, da formulare alla stregua delle emergenze del caso concreto, avente per oggetto il pericolo di commissione di nuovi delitti.

    Il giudice rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 438 del 1995, ha sancito un temperamento del rigido automatismo previsto dall'art. 146, primo comma, numero 3), cod. pen., dichiarando la citata disposizione costituzionalmente illegittima nella parte in cui non consentiva di accertare in concreto se, ai fini dell'esecuzione della pena, le effettive condizioni di salute del condannato fossero compatibili con lo stato detentivo.

    Tuttavia – precisa il rimettente – la riformulazione legislativa della disposizione, avutasi con la legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori), non ha ribadito tale previsione: pertanto, «non appare chiaro se con la predetta novella il legislatore abbia inteso obliterare l'intervento additivo della Consulta, ovvero se l'art. 146 cod. pen. tuttora consenta al giudice di valutare le circostanze del caso concreto ed eventualmente di determinarsi, in funzione di esse, nel senso di disporre l'esecuzione della pena detentiva, quando ciò possa avvenire senza pregiudizio per la salute del condannato e della restante popolazione carceraria». Anche accedendo a quest'ultima opzione ermeneutica, residuerebbe comunque un margine di irragionevolezza del meccanismo previsto dall'art. 146 cod. pen. per l'ipotesi in cui non sia disponibile una struttura carceraria e tuttavia sussistano concreti elementi idonei a dimostrare che il condannato, beneficiando di un tale differimento dell'esecuzione della pena detentiva ovvero della sua sostituzione con la misura della detenzione domiciliare, commetta nuovi delitti.

    In tali evenienze, il sistema apparirebbe sbilanciato, risultando privilegiata la tutela della salute del condannato a scapito della doverosa salvaguardia delle esigenze di sicurezza collettiva e, dunque, dei diritti fondamentali.

    Ad avviso del rimettente, la disposizione denunciata violerebbe altresì l'art. 27, primo e terzo comma, Cost., perché il condannato rimarrebbe sostanzialmente impunito per il reato già commesso e per quegli altri di cui potrà rendersi autore nel corso del differimento.

    2. ¾ Nel giudizio dinanzi alla Corte non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, né vi è stata costituzione della parte privata.

 

Considerato in diritto

    1. ¾ La questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, investe l'art. 146, primo comma, numero 3), del codice penale (Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena) – nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge 12 luglio 1999, n. 231 (Disposizioni in materia di esecuzione della pena, di misure di sicurezza e di misure cautelari nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave), e ribadite dalla legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori) – che prevede il differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena allorché questa debba avere luogo nei riguardi di persona affetta da AIDS conclamata o da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

      Ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denunciata violerebbe l'art. 2 Cost., perché l'automatica e obbligatoria concessione del beneficio determinerebbe, nell'ipotesi in cui il destinatario del differimento sia un condannato con attuale ed elevata pericolosità sociale, l'effetto di esporre a grave pericolo fondamentali valori della collettività e dei singoli quali la vita, l'incolumità, il patrimonio e la stessa salute individuale e collettiva.

    Il contrasto con l'art. 3 Cost. viene prospettato sotto un duplice ordine di profili: perché la tutela della salute (del condannato e dei membri del consorzio carcerario) non potrebbe obliterare del tutto gli altri beni costituzionalmente rilevanti, come quelli legati alla sicurezza collettiva ed all'effettività del sistema penale; ancora, perché sarebbe priva di ragionevole giustificazione la diversità con la disciplina recata, in tema di rinvio facoltativo della pena, dall'art. 147, ultimo comma, cod. pen., la quale consente di ancorare la concessione del rinvio ad un giudizio prognostico, da formulare alla stregua delle emergenze del caso concreto, avente per oggetto il pericolo di commissione di nuovi delitti.

    Ad avviso del giudice rimettente, l'art. 146, primo comma, numero 3), cod. pen. contrasterebbe con l'art. 27, primo e terzo comma, Cost., perché, con l'automatica e prevedibile sospensione del momento esecutivo, impedirebbe alla pena irrogata di intimidire e dissuadere il reo e così finirebbe per svilire le funzioni di prevenzione generale e speciale e la difesa sociale, alle quali è intimamente orientato il sistema penale; inoltre, vanificherebbe la finalità retributiva della pena, rimanendo il condannato sostanzialmente impunito per il reato già commesso e per quegli altri di cui potrà rendersi autore nel corso del differimento; infine, frustrerebbe il fine rieducativo del sistema penale, perché chiunque si trovi nelle condizioni previste dalla norma denunciata conseguirebbe il beneficio, indipendentemente da una positiva evoluzione del trattamento e persino nell'ipotesi di reiterazione criminosa.

    2. ¾ La questione non è fondata.

    La norma denunciata non è strutturata secondo un modulo di automatismo e non stabilisce una presunzione assoluta di incompatibilità con il carcere per i malati di AIDS o per quanti presentino uno stato di grave deficienza immunitaria, presunzione che, nella sua rigidità, è già stata censurata da questa Corte con la sentenza n. 438 del 1995, che ne ha statuito l'illegittimità quando l'espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio per la salute dell'individuo e per quella degli altri detenuti.

    Come ha chiarito, con orientamento costante, la giurisprudenza della Corte di cassazione, ai fini del differimento obbligatorio non basta che il condannato sia affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'art. 286-bis, comma 2, cod. proc. pen., ben potendo l'una e l'altra patologia essere normalmente fronteggiate con gli appositi presidi di diagnosi e cura esistenti all'interno degli istituti penitenziari o attraverso provvedimenti di ricovero in luoghi esterni a norma dell'art. 11 dell'ordinamento penitenziario, ma occorre l'ulteriore condizione che la malattia non solo sia gravemente debilitante, ma sia giunta alla sua fase terminale, così da escludere, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative.

    L'art. 146, primo comma, numero 3), cod. pen. – rivolto non solo ai malati di AIDS o a quanti presentino uno stato di grave deficienza immunitaria derivante da infezione da HIV, ma anche a coloro che siano affetti da altra malattia particolarmente grave – non individua, quindi, una particolare categoria di persone rispetto alle quali l'incompatibilità con lo stato di detenzione è presunta ex lege, ma affida al giudice il compito di verificare in concreto se, ai fini dell'esecuzione della pena, le effettive condizioni di salute del condannato, per lo stadio estremo al quale è oramai pervenuta la malattia, siano o meno compatibili con lo stato detentivo.

    La norma censurata ha inteso così privilegiare esigenze di natura umanitaria, che trovano fondamento nell'art. 27, terzo comma, Cost.

    Il sistema garantisce un corretto equilibrio tra il diritto alla salute del condannato e le esigenze, reclamate dalla comunità sociale, di sicurezza, di effettività e di certezza dell'espiazione della pena e di sottoposizione dei soggetti pericolosi ai necessari controlli. Difatti, negli stessi casi in cui potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 146 cod. pen., il tribunale di sorveglianza può – a norma dell'art. 47-ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario, introdotto dall'art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165 – disporre, pure ex officio, l'applicazione della detenzione domiciliare, e così assicurare, anche nell'immediato, le istanze di difesa sociale e di tutela collettiva. E deve escludersi che la eventuale lacunosità dei presidi di sicurezza possa costituire, in sé e per sé, ragione sufficiente per incrinare, sull'opposto versante, la tutela dei valori primari che la norma impugnata ha inteso salvaguardare (cfr. sentenza n. 70 del 1994 e ordinanza n. 145 del 2009).

    Non costituisce idoneo tertium comparationis la disciplina dettata dall'art. 147 cod. pen., che, all'ultimo comma, prevede una prevalenza dell'indefettibilità della pena se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti. Le cause che danno luogo al rinvio facoltativo della pena sono differenti rispetto a quelle contemplate dall'art. 146 cod. pen., sicché rientra nella discrezionalità del legislatore disciplinare diversamente istituti che sono ancorati a differenti presupposti di fatto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 146, primo comma, numero 3), del codice penale (Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 27, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Palermo con l'ordinanza indicata in epigrafe.

      Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 ottobre 2009.