Ordinanza n. 211 del 2009

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ORDINANZA N. 211

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco          AMIRANTE                                       Presidente

- Ugo                   DE SIERVO                                         Giudice

- Paolo                 MADDALENA                                         ”

- Alfio                  FINOCCHIARO                                       ”

- Alfonso              QUARANTA                                            ”

- Franco               GALLO                                                    ”

- Luigi                  MAZZELLA                                             ”

- Gaetano             SILVESTRI                                              ”

- Sabino               CASSESE                                                ”

- Maria Rita          SAULLE                                                  ”

- Giuseppe            TESAURO                                               ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                         ”

- Giuseppe            FRIGO                                                     ”

- Alessandro         CRISCUOLO                                           ”

- Paolo                 GROSSI                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Bari con ordinanza del 28 ottobre 2008, iscritta al n. 14 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2009.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che la misura alternativa della detenzione domiciliare speciale possa essere concessa al padre di prole infradecenne – qualora la madre sia impossibilitata a prendersene cura – soltanto se «non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre» medesimo;

che il rimettente è chiamato a decidere sull’istanza di concessione della detenzione domiciliare «ai sensi dell’art. 47-quinquies legge n. 354/75 oppure ai sensi degli artt. 146 n. 3 c.p. – 147 nn. 1 e 2 c.p. – 47-ter, comma 1-ter legge n. 354/75», formulata da un detenuto ristretto in carcere dal 23 gennaio 2007, in espiazione della pena della reclusione di anni dodici, mesi due e giorni ventidue, quantificata dal provvedimento di cumulo emesso in data 9 gennaio 2007 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Larino;

che, secondo quanto riferito dal giudice a quo, l’esecuzione della pena avrà termine il 30 novembre 2015, essendo state operate riduzioni pari ad anni tre di reclusione, in applicazione della legge 31 luglio 2006, n. 241 (Concessione di indulto), ed a giorni centotrentacinque a titolo di liberazione anticipata;

che la condizione personale e familiare del detenuto istante è delineata dal rimettente attraverso il richiamo alla documentazione in atti, dalla quale emerge che le numerose condanne riportate dall’interessato si riferiscono a fatti commessi fino all’anno 2000, e che non risultano pendenze ulteriori;

che – aggiunge il rimettente, il quale sul punto richiama il contenuto di un rapporto redatto dai Carabinieri del comune di residenza del detenuto – prima dell’inizio della carcerazione il predetto non lavorava, manteneva una condotta riprovevole e nel 2007 si era reso latitante, rifugiandosi in Germania e in Romania (circostanza, quest’ultima, che, secondo lo stesso rimettente, sarebbe «smentita per tabulas, in quanto dalla posizione giuridica risulta che l’istante ha iniziato la carcerazione in data 23 gennaio 2007»);

che, ancora, il giudice a quo richiama gli esiti dell’osservazione condotta dagli operatori dell’istituto penitenziario, secondo cui l’istante «manifesta una personalità connotata da rigidità, conformismo, tratti di superficialità alternati, però, a momenti di riflessione e di consapevolezza, sicché è necessario verificare se tale riflessione proseguirà in futuro consentendogli di rafforzare quella riconsiderazione critica già avviata e tuttora in atto»;

che inoltre, quanto alla situazione familiare, il rimettente riferisce che l’istante, prima di essere ristretto in carcere, conviveva con una donna di nazionalità romena e con il figlio avuto da costei, e che attualmente la stessa presta assistenza continuativa ad un anziano, alloggiando in una stanza attigua all’abitazione dell’assistito, assieme al figlio di cinque anni, che vive con lei e che accudisce da sola;

che i genitori della donna risiedono in Romania, mentre «le uniche persone in grado di prendersi cura del piccolo» sono i genitori del detenuto, i quali però «sono anziani e ogni giorno si recano in campagna per svolgervi lavori agricoli»;

che infine, dalla certificazione medica redatta in data 25 settembre 2008, risulta che la donna «è affetta da grave sindrome depressiva con attacchi di panico e di astenia grave, con calo di peso considerevole» e «necessita di assistenza psichiatrica e psicologica»;

che su tali premesse il Tribunale rimettente solleva questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 47-quinquies, comma 7, della legge n. 354 del 1975, sul rilievo che il carattere “residuale” che connota l’affidamento dei minori infradecenni al padre detenuto contrasti con numerosi principi costituzionali;

che sarebbe violato in primo luogo l’art. 2 Cost., nell’accezione solidaristica e del rispetto del primato della persona, che deve informare anche l’attuazione della pretesa punitiva dello Stato e, con essa, l’accesso alle misure alternative alla detenzione;

che, al riguardo, il giudice a quo richiama l’esito degli studi specialistici secondo cui «occorre prestare la massima attenzione alla stabilità relazionale della triade madre-padre-figlio, perché tale stabilità è all’origine del senso di sicurezza del figlio in tenera età e […] perché un adulto fonda gran parte dei suoi sentimenti di legittimità proprio sull’esperienza della vicinanza affettiva del padre»;

che, prosegue il rimettente, in tal senso si è espressa in data 26 ottobre 2006 anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (ricorso n. 23848/04, Wallová e Walla c. Repubblica Ceca), la quale ha affermato – relativamente ad un caso di allontanamento dei figli minori dai genitori per motivi d’indigenza e povertà materiale – che l’assenza dei genitori o di uno solo di essi determina profondi traumi e scompensi nei figli, e che pertanto  la decisione di separare questi ultimi dai genitori «deve sempre assicurare il rispetto della disposizione dell’art. 8 della Convenzione Europea, secondo cui lo Stato ha il dovere – fra l’altro – di conservare, agevolare e rinsaldare le relazioni fra genitori e figli»;

che, al contrario, la norma oggetto di censura, oltre a privilegiare il rapporto tra madre e figlio minore, pospone la figura paterna ad altri soggetti, in ipotesi anche estranei alla cerchia parentale, e in questo modo sacrifica sia il diritto del minore a godere dell’assistenza e dell’affetto paterni, sia quello del padre a svolgere la funzione genitoriale;

che risulterebbe violato l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la norma in esame riserva un «trattamento largamente e irragionevolmente preferenziale alla madre rispetto al padre, discriminando […] quest’ultimo nell’accesso alla detenzione domiciliare c.d. “speciale”», disconoscendo l’importanza del contributo paterno allo sviluppo armonico della personalità dei minori;

che la norma censurata, secondo il giudice a quo, si pone in contrasto anche con il secondo comma dell’art. 3 Cost., in quanto rende particolarmente difficoltoso l’accesso, per il padre detenuto, alla misura alternativa della detenzione domiciliare speciale, ed in tal modo impedisce, in un numero significativo di ipotesi, che il padre possa realizzarsi nella funzione genitoriale, esponendo altresì la prole a tutti i rischi connessi alla lontananza della figura paterna;

che il rimettente sottolinea come la giurisprudenza della Corte costituzionale sia orientata nella direzione della valorizzazione della figura paterna. Sono richiamate in proposito la sentenza n. 215 del 1990, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare, concedibile alla madre di prole in età inferiore a tre anni con lei convivente, potesse essere concessa, nelle stesse condizioni, anche al padre detenuto, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, e la sentenza n. 350 del 2003, che ha esteso l’ambito applicativo della detenzione domiciliare ordinaria alla madre condannata, ovvero, in caso di decesso o impedimento di costei, al padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante;

che in particolare, la sentenza da ultimo citata afferma, tra l’altro, che lo sviluppo psico-fisico del figlio portatore di handicap totalmente invalidante può essere gravemente pregiudicato dalla lontananza dei genitori – non essendo indifferente per il figlio godere della vicinanza dei predetti e ricevere cure dagli stessi piuttosto che da altre persone – e che garantire la vicinanza dei genitori al figlio significa, in definitiva, dare attuazione ai principi contenuti negli artt. 2 e 3 Cost., secondo i quali debbono essere rimossi gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità di ciascuno;

che per le ragioni già esposte, il giudice a quo rileva un possibile contrasto della norma censurata con i principi sanciti negli artt. 30, primo comma, e 31, secondo comma, Cost.;

che infatti la norma censurata, soprattutto nei casi di prolungata carcerazione del genitore, finirebbe per «agevolare di fatto un processo di progressivo distacco e deresponsabilizzazione da parte del padre nei confronti del figlio minorenne, determinando così per quest’ultimo una condizione di sostanziale abbandono o comunque una crescita compromessa da squilibri interiori e da traumi psicologici», con contestuale aumento delle probabilità che il figlio diventi adolescente e poi maggiorenne senza aver goduto della vicinanza affettiva del padre;

che il rimettente segnala, sempre con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, come il disegno di legge di riforma dell’ordinamento penitenziario (n. 6164) presentato alla Camera dei deputati il 3 novembre 2005, nel corso della XIV legislatura, all’art. 63, in tema detenzione domiciliare speciale, non contenesse la locuzione «e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre»;

che, quanto alla rilevanza della questione sull’esito del giudizio principale, il giudice a quo evidenzia come, soltanto in ipotesi di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata, l’istanza del detenuto possa essere accolta senza dover previamente escludere l’idoneità dei nonni paterni a prendersi cura del minore;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;

che, secondo la difesa erariale, quanto riferito dal rimettente renderebbe di per sé evidente che la domanda avanzata dal detenuto, padre di un minore infradecenne, è accoglibile indipendentemente dalla soluzione del dubbio di costituzionalità;

che, in particolare, dagli atti richiamati risulterebbe l’impedimento della madre del minore a prendersi cura dello stesso, in ragione dell’attività lavorativa (assistenza continuativa di un anziano) e delle precarie condizioni psico-fisiche, così come emergerebbe che i nonni paterni del minore, genitori del detenuto istante, sono anziani e perciò non in grado di accudire il nipote.

Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Bari dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che la misura alternativa della detenzione domiciliare speciale possa essere concessa al padre di prole infradecenne – qualora la madre sia impossibilitata a prendersene cura – soltanto se «non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre» medesimo;

che la questione è manifestamente inammissibile in ragione delle gravi lacune che segnano la descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo e che precludono il necessario controllo in punto di rilevanza;

che infatti dall’ordinanza di rimessione non emerge se sussistano, per il detenuto istante, le condizioni di ammissione alla detenzione domiciliare speciale indicate nel comma 1 dell’art. 47-quinquies della legge n. 354 del 1975, con riferimento alla madre detenuta di prole infradecenne, ed espressamente richiamate, per il padre detenuto, dal censurato comma 7 dell’articolo citato;

che, ai fini dell’ammissione alla misura, il legislatore esige che la persona detenuta abbia espiato almeno un terzo della pena, o quindici anni di reclusione in caso di condanna all’ergastolo, e che sia formulato, dall’autorità giudiziaria competente, un giudizio di prognosi favorevole, che escluda il concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti;

che, stando all’indicazione fornita dal rimettente circa la data di inizio della fase esecutiva della pena, non è ancora maturato il periodo minimo di espiazione per l’accesso al beneficio richiesto, e d’altra parte manca nell’ordinanza di rimessione qualsiasi riferimento ad un eventuale periodo di restrizione detentiva antecedente;

che inoltre, quanto al presupposto dell’assenza di pericolosità dell’interessato, il rimettente si limita a richiamare la documentazione acquisita agli atti senza esprimere una valutazione di sintesi delle risultanze, di segno peraltro discordante, che emergono dalla documentazione stessa;

che le rilevate carenze descrittive impediscono a questa Corte di stabilire se la norma denunciata sia effettivamente applicabile al caso dedotto nel giudizio principale, e ciò determina la manifesta inammissibilità della questione (ex plurimis, ordinanze n. 96 e n. 15 del 2009).

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Bari con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2009.