Ordinanza n. 146 del 2009

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ORDINANZA N. 146

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco          AMIRANTE                      Presidente

- Ugo                  DE SIERVO                        Giudice

- Paolo                MADDALENA                         “

- Alfio                 FINOCCHIARO                       “

- Alfonso             QUARANTA                            “

- Franco              GALLO                                   “

- Gaetano            SILVESTRI                              “

- Sabino              CASSESE                                “

- Maria Rita         SAULLE                                  “

- Giuseppe           TESAURO                               “

- Paolo Maria       NAPOLITANO                        “

- Giuseppe           FRIGO                                    “

- Alessandro        CRISCUOLO                           “

- Paolo                GROSSI                                  “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 392 e 393 del codice di procedura penale promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia nel procedimento penale a carico di P.S., con ordinanza del 28 marzo 2007, iscritta al n. 855 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2008.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 1° aprile 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

  Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, con ordinanza depositata il 28 marzo 2007, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, degli artt. 392 e 393 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consentono che, nei casi previsti dall’art. 392 cod. proc. pen., l’incidente probatorio possa essere richiesto ed eseguito anche dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari;

che, secondo l’esposizione del rimettente, in un procedimento penale a carico di P. S., sottoposto ad indagine per i delitti di cui agli artt. 609-bis e 527 del codice penale, commessi in Rezzato (BS) il 5 ottobre 2006, il pubblico ministero, dopo avere notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen., ha assunto l’interrogatorio dell’indagato, come da quest’ultimo sollecitato, ed ha poi richiesto al giudice di procedere, mediante incidente probatorio, a ricognizione personale dello stesso da parte della persona offesa, ritenendo che il tempo necessario per giungere al dibattimento potrebbe pregiudicarne i ricordi “per immagine”;

che la richiesta non è stata formulata «nel corso delle indagini preliminari», come disposto dall’art. 392 cod. proc. pen., né nella fase dell’udienza preliminare, come consentito dopo la sentenza di questa Corte n. 77 del 1994, sicché essa dovrebbe essere dichiarata inammissibile;

che si prospetta, quindi, per il tempo intercorrente fra la conclusione delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio, quella stessa «interruzione nell’acquisibilità di prove non rinviabili», che la citata sentenza di questa Corte ha ritenuto «priva di ogni ragionevole giustificazione e lesiva del diritto delle parti alla prova e, quindi, dei diritti di azione e di difesa»;

che, certamente, nel procedere alla ricognizione del contenuto normativo della disposizione da applicare, il giudice deve essere guidato dalla preminente esigenza del rispetto dei principi costituzionali e perciò è tenuto ad adottare, tra le varie possibili letture, quella ritenuta aderente al parametro costituzionale;

che, però, troppo chiara è la lettera dell’art. 392 cod. proc. pen. («nel corso delle indagini preliminari»), per cui procedere con incidente probatorio dopo la chiusura delle indagini, significherebbe oltrepassare i confini dell’attività interpretativa;

che, nel caso in esame, ad avviso del rimettente, è insorta, anche a seguito della dilatazione dei tempi processuali derivante dall’esercizio, da parte dell’indagato, delle facoltà previste dall’art. 415-bis cod. proc. pen., una situazione di non differibilità, al dibattimento, di una prova soggetta ad una inevitabile perdita di genuinità;

che, sempre secondo il rimettente, l’anticipata assunzione della stessa si rivela indispensabile per garantire l’effettività del diritto delle parti alla prova, mentre l’impossibilità di provvedervi è priva di ogni ragionevole giustificazione, sicché devono ritenersi violati gli artt. 3 e 24 Cost.;

che, nel giudizio di legittimità costituzionale, ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità della questione, perché il giudice a quo non avrebbe rispettato il criterio ermeneutico, pur richiamato nell’ordinanza di rimessione, secondo cui in sede di ricognizione del contenuto normativo della disposizione da applicare, il giudice è tenuto a privilegiare, tra le possibili letture, quella ritenuta conforme a Costituzione;

che, infatti, il rimettente si sarebbe limitato a rilevare che il dettato dell’art. 392 cod. proc. pen., riferendosi alla pendenza delle indagini preliminari, per individuare la fase nella quale è possibile chiedere l’incidente probatorio, escluderebbe, senza equivoco, la possibilità di procedere con incidente probatorio dopo la chiusura delle indagini;

che, quindi, egli avrebbe omesso di verificare la possibilità di pervenire ad una diversa interpretazione delle norme in questione, conforme a Costituzione, leggendole in combinato disposto con l’art. 415-bis cod. proc. pen., che consente al pubblico ministero, a seguito delle richieste dell’indagato, di disporre nuove indagini da compiere entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta, termine prorogabile per una sola volta e per non più di sessanta giorni dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta dello stesso pubblico ministero;

che tale possibilità sarebbe senz’altro praticabile nel caso in esame, in quanto l’espressione «nel corso delle indagini preliminari», contenuta nell’art. 392 cod. proc. pen., ben potrebbe giustificare l’espletamento dell’incidente probatorio, nel caso di nuove indagini compiute ai sensi del citato art. 415-bis, comma 4, cod. proc. pen.;

che la lettura indicata eviterebbe, per il tempo intercorrente tra l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio, quella interruzione nell’acquisibilità di prove non rinviabili che questa Corte, con la sentenza n. 77 del 1994, ha ritenuto priva di ogni ragionevole giustificazione e lesiva dei diritti di azione e di difesa.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, con l’ordinanza menzionata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, degli articoli 392 e 393 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consentono che, nei casi previsti dalla prima di tali disposizioni, l’incidente probatorio possa essere richiesto ed eseguito, anche dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari;

che la questione è stata sollevata nel quadro del procedimento penale indicato in narrativa, nel quale il pubblico ministero, dopo aver notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, ha assunto l’interrogatorio dell’indagato (sollecitato da quest’ultimo) ed ha poi richiesto al giudice di procedere, mediante incidente probatorio, a ricognizione personale del medesimo indagato da parte della persona offesa, ritenendo che il tempo necessario per giungere al dibattimento potrebbe pregiudicarne i ricordi “per immagine”;

che la richiesta è stata ritenuta inammissibile dal rimettente, in quanto non formulata «nel corso delle indagini preliminari» ex art. 392 cod. proc. pen., ma tale disciplina normativa, impedendo l’anticipata assunzione di una prova non differibile al dibattimento in quanto soggetta ad inevitabile perdita di genuinità e non suscettibile d’interpretazione adeguatrice, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;

che la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

che, infatti, questa Corte, con la sentenza n. 77 del 1994, dichiarò l’illegittimità costituzionale degli artt. 392 e 393 cod. proc. pen., «nella parte in cui non consentono che, nei casi previsti dalla prima di tali disposizioni, l’incidente probatorio possa essere richiesto ed eseguito anche nella fase dell’udienza preliminare»;

che, nel motivare tale pronunzia, dopo aver richiamato la finalità dell’istituto dell’incidente probatorio, preordinato a consentire alle parti principali l’assunzione delle prove non rinviabili al dibattimento (art. 2, n. 40, della legge delega n. 81 del 1987), questa Corte rilevò tra l’altro che, ricorrendo tali circostanze, «l’anticipata assunzione della prova si appalesa indispensabile per l’acquisizione al processo di elementi – in tesi – necessari all’accertamento dei fatti e per garantire l’effettività del diritto delle parti alla prova», destinata altrimenti ad andare perduta;

che, inoltre, questa Corte pose in luce come, sotto il profilo sistematico, l’interruzione nell’acquisibilità di prove non rinviabili apparisse contraddittoria con la continuità assicurata dal legislatore all’attività d’indagine, prevedendone il proseguimento anche dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 419, comma 3, cod. proc. pen.) e dopo il decreto che dispone il giudizio, ben potendo darsi che per taluno degli elementi, in tal modo acquisiti, insorgessero le situazioni di non differibilità della prova previste dall’art. 392 cod. proc. pen.;

che, con successive pronunzie, la Corte ha precisato che la ratio dell’estensione operata dalla sentenza n. 77 del 1994 va ricercata nell’esigenza di «garantire l’effettività del diritto delle parti alla prova, che sarebbe altrimenti irrimediabilmente perduta ove la necessità di assicurare una prova indifferibile sorga per la prima volta dopo la richiesta di rinvio a giudizio, e che pertanto è il pericolo della perdita irrimediabile della prova a imporne l’assunzione anticipata» (ordinanze n. 249 del 2003; n. 368 del 2002; n. 118 del 2001);

che, come questa Corte ha affermato nell’ordinanza n. 249 del 2003, qualora la suddetta esigenza si presenti tra la conclusione delle indagini e l’inizio dell’udienza preliminare, «non potrebbe non essere assicurata alle parti, anche in tale fase, la facoltà di richiedere l’assunzione della prova in via di incidente»;

che il rimettente, pur essendo consapevole dell’esigenza di adottare, tra le varie possibili letture di una norma, l’interpretazione aderente al parametro costituzionale secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: ordinanze n. 226 del 2008; n. 205 del 2008; n. 193 del 2008; n. 35 del 2006), si è limitato a rilevare che «troppo chiara è però la lettera dell’art. 392 cod. proc. pen. (“nel corso delle indagini preliminari”) tanto che procedere con incidente probatorio dopo la chiusura delle indagini significherebbe oltrepassare i confini dell’attività interpretativa»;

che, così argomentando, egli ha circoscritto la sua attività ermeneutica al testo della norma anteriore sia alla sentenza n. 77 del 1994, sia alle successive pronunzie di questa Corte ora richiamate, e quindi ha omesso di verificare la possibilità di giungere ad una interpretazione adeguatrice della normativa impugnata sulla base delle considerazioni esposte nei menzionati provvedimenti;

che, sotto altro profilo, il giudice a quo ha trascurato di motivare circa la possibilità che l’incidente probatorio fosse richiesto nell’udienza preliminare, suscettibile di sollecita fissazione (art. 418 cod. proc. pen.), in modo da evitare il pericolo della perdita irrimediabile della prova in attesa del dibattimento, e tale omissione si traduce in insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione;

che, pertanto, essa va dichiarata manifestamente inammissibile in riferimento ai parametri evocati dal rimettente.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 392 e 393 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2009.