Ordinanza n. 126 del 2009

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ORDINANZA N. 126

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Francesco                  AMIRANTE                          Presidente       

-    Ugo                          DE SIERVO                            Giudice

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                          "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Franco                      GALLO                                       "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Giuseppe                   TESAURO                                   "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

-    Giuseppe                   FRIGO                                        "

-    Alessandro                 CRISCUOLO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 405, comma 1-bis, del codice di procedura penale, aggiunto dall’art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promossi dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro con due ordinanze del 23 ottobre 2006, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cosenza con ordinanza del 31 gennaio 2007 e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Camerino con ordinanza del 28 aprile 2008, ordinanze rispettivamente iscritte ai nn. 415, 416, 579 del registro ordinanze 2007 e al n. 287 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2007 e n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2009 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che con le due ordinanze, di analogo tenore, indicate in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 405, comma 1-bis, del codice di procedura penale, aggiunto dall’art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di appellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, al termine delle indagini, debba formulare richiesta di archiviazione anche quando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 del medesimo codice sia stata esclusa dal tribunale del riesame, e contro la decisione non sia stato proposto ricorso per cassazione, né siano stati acquisiti successivamente ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini;

         che il giudice a quo premette di essere investito della richiesta di rinvio a giudizio di persone alle quali era stata applicata, nel corso delle indagini preliminari, la misura cautelare della custodia in carcere: misura «revocata» dal Tribunale del riesame per carenza della gravità indiziaria, con ordinanze non impugnate dal pubblico ministero, il quale aveva successivamente esercitato l’azione penale per i medesimi fatti, senza che si fosse avuto alcun arricchimento del materiale d’accusa;

         che il rimettente osserva come la norma denunciata imponga al pubblico ministero di chiedere l’archiviazione «quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’articolo 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini»;

che, ad avviso del giudice a quo, la violazione di tale obbligo – lungi dal restare priva di «ricadute processuali», come vorrebbero alcuni interpreti – determinerebbe l’improcedibilità dell’azione penale o, secondo altra possibile opzione ermeneutica, la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.;

         che la questione di costituzionalità risulterebbe, di conseguenza, rilevante, giacché l’estensione del divieto nel senso auspicato condurrebbe, nei casi di specie, all’uno o all’altro dei predetti esiti;

         che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva che la disposizione impugnata mira ad evitare la formulazione di richieste di rinvio a giudizio fondate su un quadro indiziario di «conclamata inconsistenza», in quanto già negativamente valutato in fase cautelare e non arricchito da ulteriori apporti;

         che, in tale ottica, apparirebbe foriera di una irragionevole disparità di trattamento la limitazione del precetto ai soli casi in cui l’inconsistenza degli indizi sia stata vagliata dalla Corte di cassazione, con esclusione delle ipotesi in cui la gravità indiziaria sia stata negata dal giudice di merito con motivazione a tal segno persuasiva da indurre il pubblico ministero a non impugnare il provvedimento;

         che la soluzione normativa censurata non si armonizzerebbe neppure con le caratteristiche proprie della decisione del giudice di legittimità, incentrata sulla motivazione e non sul merito del provvedimento cautelare: né, d’altra parte, l’esaurimento dei gradi di impugnazione costituirebbe indice di migliore e «più consolidata» valutazione del materiale probatorio, specie quando la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso dell’indagato, sovverta la doppia valutazione contraria effettuata nei gradi di merito;

         che una ulteriore disparità di trattamento si connetterebbe alla circostanza che l’attivazione del ricorso per cassazione dipende dall’iniziativa dell’indagato solo quando siano intervenute valutazioni di merito a lui sfavorevoli (ossia, in pratica, nei casi «più dubbi»); mentre negli altri casi – e, cioè, quando il ricorso dipenda dall’iniziativa del pubblico ministero – quest’ultimo potrebbe decidere di non proporlo proprio allo scopo di non incorrere nella preclusione di cui all’art. 405, comma 1-bis, cod. proc. pen.: sicché, in sostanza, l’operatività della disposizione resterebbe rimessa all’arbitrio dell’organo della accusa proprio nelle ipotesi in cui la preclusione dell’esercizio dell’azione penale risulterebbe maggiormente giustificata;

         che analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 405, comma 1-bis, cod. proc. pen. è sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111, primo e secondo comma, Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cosenza con l’ordinanza in epigrafe;

         che, anche secondo tale giudice rimettente, la disposizione di nuovo conio determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra l’indagato che ha ottenuto una decisione della Corte di cassazione sull’insussistenza della gravità indiziaria e l’indagato che ha ottenuto analoga pronuncia del tribunale del riesame, non impugnata dal pubblico ministero, il quale verrebbe reso, così, arbitro del «destino» dell’indagato stesso: profili sotto i quali la disposizione stessa risulterebbe lesiva non soltanto del principio di eguaglianza, ma anche di quello del «giusto processo»;

         che una ulteriore, analoga questione di costituzionalità è sollevata, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Camerino, in riferimento agli artt. 3, 25 e 112 Cost.;

         che, per quanto attiene alla rilevanza della questione e alla lamentata lesione dell’art. 3 Cost., il giudice a quo svolge argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, dianzi riassunte;

         che la norma impugnata violerebbe, peraltro – secondo il rimettente – anche i principi del giudice naturale precostituito per legge e di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, sanciti dagli artt. 25 e 112 Cost.;

che, infatti, la mancata previsione di un regime unitario, che imponga al pubblico ministero di chiedere l’archiviazione in presenza di qualsiasi pronuncia dichiarativa dell’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, anche se emessa da un giudice di merito, vulnererebbe il diritto dell’indagato ad essere sottoposto al giudizio del giudice naturale, da identificare nel giudice per le indagini preliminari ai sensi degli artt. 408 e seguenti cod. proc. pen.: giudice che assolve, nella struttura dell’istituto dell’archiviazione, ad un compito di verifica dell’osservanza del precetto di cui al citato art. 112 Cost.;

         che nei giudizi di costituzionalità relativi alle ordinanze di rimessione dei Giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro e del Tribunale di Camerino è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni sollevate da dette ordinanze siano dichiarate, rispettivamente, infondata e manifestamente infondata.

         Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, relative alla medesima norma, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che, con i quesiti di costituzionalità, i giudici rimettenti mirano ad ampliare l’ambito di applicazione dell’art. 405, comma 1-bis, del codice di procedura penale, aggiunto dall’art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di appellabilità delle sentenze di proscioglimento), il quale stabilisce che, «al termine delle indagini», il pubblico ministero debba formulare richiesta di archiviazione allorché ricorrano due condizioni: e, cioè, da un lato, che «la Corte di cassazione si [sia] pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza», ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen.; e, dall’altro, che «non [siano] stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini»;

che i giudici a quibus reputano, in particolare, eccessivamente restrittiva la prima delle due condizioni, assumendo che – onde evitare la compromissione dei principi costituzionali evocati – l’obbligo dell’organo dell’accusa di chiedere l’archiviazione debba operare anche quando la gravità indiziaria, di cui all’art. 273 cod. proc. pen., sia stata esclusa dal tribunale del riesame con decisione non impugnata mediante ricorso per cassazione e senza che ad essa abbia fatto seguito un arricchimento del materiale investigativo;

         che con sentenza n. 121 del 2009, successiva alle ordinanze di rimessione, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima nella sua interezza la norma che i rimettenti vorrebbero vedere ampliata, sul rilievo della incompatibilità della richiesta “obbligata” di archiviazione, da essa prefigurata, con gli artt. 3 e 112 della Costituzione;

         che, di conseguenza, le questioni di costituzionalità oggi in esame sono divenute prive di oggetto e vanno quindi dichiarate manifestamente inammissibili;

che, infatti, attenendo le questioni alla medesima norma già rimossa dall’ordinamento con efficacia ex tunc dalla ricordata declaratoria di incostituzionalità, resta preclusa ai giudici a quibus una nuova valutazione della perdurante rilevanza dei quesiti, valutazione che sola potrebbe giustificare la restituzione degli atti ai rimettenti (ex plurimis, ordinanze n. 269 del 2008, n. 290 e n. 34 del 2002).

         Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

         riuniti i giudizi,

         dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 405, comma 1-bis, del codice di procedura penale, aggiunto dall’art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di appellabilità delle sentenze di proscioglimento), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, 111, primo e secondo comma, e 112 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cosenza e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Camerino con le ordinanze indicate in epigrafe.

         Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2009.