Ordinanza n. 95 del 2009

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ORDINANZA N. 95

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-      Paolo                                  MADDALENA                Presidente

-      Alfio                                   FINOCCHIARO                Giudice

-      Alfonso                               QUARANTA                           "

-      Franco                                GALLO                                 "

-      Luigi                                   MAZZELLA                            "

-      Gaetano                               SILVESTRI                             "

-      Sabino                                 CASSESE                               "

-      Maria Rita                           SAULLE                                 "

-      Giuseppe                             TESAURO                              "

-      Paolo Maria                         NAPOLITANO                       "

-      Giuseppe                             FRIGO                                   "

-      Alessandro                           CRISCUOLO                         "

-      Paolo                                  GROSSI                                 "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 621 del codice di procedura civile in combinato disposto con l’art. 2729 del codice civile, promosso dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Lo Monte Caterina e la Furlan s.r.l. con ordinanza del 5 maggio 2008, iscritta al n. 335 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che il Tribunale di Torino – nel corso di giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, in cui la madre del debitore ha rivendicato la proprietà dei beni pignorati e chiesto la sospensione dell'esecuzione, adducendo che i beni, oggetto di pignoramento, arredavano, da tempo, la casa coniugale di lei e del marito, nonché l'impossidenza del di lei figlio, attuale debitore esecutato – ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 621 del codice di procedura civile e 2729 del codice civile, nella parte in cui vieta la prova per presunzioni semplici, anche quando l'esistenza del diritto di proprietà del terzo sui beni pignorati sia resa verosimile dal rapporto di convivenza tra terzo-genitore e figlio, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.;

che il rimettente espone che l'opponente non ha prodotto documenti, con data certa anteriore al pignoramento, che provino la proprietà dei beni pignorati, e quindi si affida alle presunzioni semplici di cui all'art. 2729 cod. civ.;

che, tuttavia, l'art. 621 cod. proc. civ., che vieta la prova per testi per comprovare che i beni mobili siano di proprietà del terzo opponente, esclude, implicitamente e automaticamente, la prova per presunzioni, di cui all'art. 2729 cod. civ., per il divieto legale, di cui al secondo comma di quest'ultimo articolo;

che la circostanza che il terzo non possa invocare la prova per presunzioni e comunque che tale prova non possa essere utilizzata dal giudice, è principio affermato costantemente dalla Corte di cassazione nell’applicazione dell’art. 621 cod. proc. civ., secondo cui il terzo ha l'onere di provare il fatto costitutivo del suo diritto di proprietà nonché il titolo per cui i beni pignorati si trovano presso il debitore;

che a causa della notoria e sempre più diffusa e lunga convivenza dei figli maggiorenni con i genitori, il fenomeno è sempre più ricorrente nella prassi giudiziaria, per cui il figlio maggiorenne, debitore esecutato, privo di redditi, residente nella casa genitoriale, si trova a subire il pignoramento e l'asportazione del mobilio, che per il combinato degli artt. 513 e 621 cod. proc. civ. si presume ex lege iuris tantum di sua proprietà, senza che il genitore possa invocare le presunzioni semplici, di cui agli artt. 621 cod. proc. civ. e 2729 cod. civ., pur in costanza di situazioni di fatto connesse alla sua abitazione, per molti anni, in quella casa;

che, per giurisprudenza costante, la presunzione legale iuris tantum del combinato disposto degli artt. 513 e 621 cod. proc. civ., in base alla quale le cose che si trovino nella casa del debitore si presumono di proprietà dello stesso, opera sul presupposto di una relazione di fatto tra il debitore e questi particolari spazi di vita professionale o familiare, perché chi ne gode può liberamente introdurvi e solitamente vi introduce cose che gli appartengono;

che, secondo il rimettente, il combinato disposto degli artt. 621 cod. proc. civ. e 2729 cod. civ. è in contrasto con il parametro costituzionale dell'art. 24 Cost., perché, se appare ragionevole che l'art. 621 c.p.c. vieti la prova per testi per comprovare che i beni mobili siano di proprietà del terzo, in quanto la prova sulla proprietà non può affidarsi alle percezioni delle persone, chiamate a testimoniare, appare irragionevole che il legislatore vieti anche la prova per presunzioni semplici, che è prova logica basata su fatti obiettivi, quando il terzo opponente sia il genitore del debitore esecutato maggiorenne, che conviva con i genitori;

che, per di più, il combinato disposto degli articoli 621 cod. proc. civ. e 2729 cod. civ., si pone in contrasto con la presunzione legale che discende dagli articoli 159 e 177 cod. civ., secondo la quale i beni mobili acquistati, dopo il matrimonio, per la casa coniugale, sono in comproprietà e comunione tra i coniugi e non certo dei figli conviventi;

che l’art. 621 cod. proc. civ. ammette, come eccezione, la prova per testi o per presunzione, ma solo quando «l'esistenza del diritto (di proprietà) del terzo sia reso verosimile dalla professione o dal commercio, esercitati dal terzo o dal debitore», ma non quando sia reso verosimile dal rapporto di convivenza tra terzo-genitore e figlio, debitore esecutato;

che la normativa impugnata appare altresì gravemente discriminatoria, per il contrasto con l'art. 3 Cost., tra il creditore, a cui favore opera la presunzione legale, in base alla quale i beni presenti nella casa ove abita il debitore sono considerati nella di lui proprietà, e il terzo-genitore, che dà alloggio al figlio debitore maggiorenne e vive nella stessa casa (a volte i beni pignorati si trovano nella casa già da prima della convivenza del figlio), sul quale terzo-genitore grava la prova diabolica di presentare documenti con data certa e il divieto di invocare le presunzioni, dell'art. 2729 cod. civ., anche quando l'esistenza del diritto di proprietà del terzo sia reso verosimile dal rapporto di convivenza tra terzo-genitore e figlio, debitore esecutato;

che il Tribunale di Torino motiva la rilevanza della questione nel processo a quo perché, in caso di accoglimento, egli potrebbe servirsi delle presunzioni, di cui all'art. 2729 cod. civ., che allo stato non può utilizzare;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.

Considerato che il Tribunale di Torino dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 621 cod. proc. civ. e 2729 cod. civ., nella parte in cui vieta la prova per presunzioni semplici, anche quando l’esistenza del diritto di proprietà del terzo opponente all’esecuzione dei beni pignorati sia resa verosimile dal rapporto di convivenza tra terzo-genitore e figlio debitore esecutato, per violazione dell’art. 24 della Costituzione, costituendo la prova per presunzioni prova logica basata su fatti obiettivi, quando il terzo opponente sia il genitore del debitore esecutato maggiorenne che conviva con i genitori, ed essendo inoltre in contrasto con la presunzione di comproprietà dei coniugi sui beni acquistati in costanza di matrimonio; nonché dell’art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento nell’onere della prova tra il terzo-genitore, su cui grava la prova diabolica di presentare documenti con data certa e il divieto di invocare le presunzioni, ed il creditore, a cui favore opera la presunzione legale, in base alla quale i beni di casa ove abita il debitore, sono considerati nella di lui proprietà;

che le limitazioni poste dagli artt. 2721 e seguenti cod. civ. all’ammissibilità della prova testimoniale, sulla base della costante giurisprudenza di legittimità, non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica, con la conseguenza che la loro violazione non solo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalle parti ove non sia stata dedotta dalla parte contraria all’ammissibilità della prova;

che dall’ordinanza di rimessione emerge che il terzo, genitore convivente del debitore, non ha prodotto documenti di data certa anteriore al pignoramento, ma ha articolato la propria difesa mostrando di voler avvalersi di una presunzione di proprietà, resa verosimile dal rapporto di convivenza;

che non risulta se il creditore, che ha proceduto al pignoramento, sempre che si sia costituito in giudizio (il che non è dato sapere), si sia doluto della ammissibilità della prova per presunzioni;

che, senza l’eccezione di parte, la prova è ammissibile, con la conseguenza che la causa può esser decisa sulla base di essa, senza che si renda necessaria la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 621 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2729, secondo comma, cod. civ.;

che, da quanto precede, deriva che la questione è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza o, almeno, per insufficiente motivazione sulla rilevanza, per mancanza della attualità pregiudiziale del quesito di costituzionalità rispetto alla definizione del giudizio a quo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 621 del codice di procedura civile e 2729 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Torino, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 aprile 2009.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2009.