Ordinanza n. 81 del 2009

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ORDINANZA N. 81

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-              Paolo                          MADDALENA              Presidente

-              Alfio                            FINOCCHIARO           Giudice

-              Alfonso                       QUARANTA                         ”

-              Franco                        GALLO                                 ”

-              Luigi                            MAZZELLA                           ”

-              Gaetano                      SILVESTRI                           ”

-              Sabino                        CASSESE                              ”

-              Maria Rita                   SAULLE                                ”

-              Giuseppe                     TESAURO                             ”

-              Paolo Maria                 NAPOLITANO                      ”

-              Giuseppe                     FRIGO                                  ”

-              Alessandro                  CRISCUOLO                         ”

-              Paolo                          GROSSI                                ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 4, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), promosso, con ordinanza del 16 giugno 2008 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sul ricorso proposto dalla G.I.T. s.r.l. nei confronti del Comune di Ostuni ed altri, iscritta al n. 338 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che, con ordinanza del 16 gennaio 2008, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato – in un giudizio avente ad oggetto una procedura di gara indetta dal Comune di Ostuni per l’aggiudicazione di un appalto di «servizi a supporto dell’istituenda Area protetta delle dune di “Lido Morelli”» – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 84, comma 4, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE);

che il remittente premette, nella ricostruzione della vicenda del giudizio a quo, che la società ricorrente (G.I.T. s.r.l.), con il ricorso introduttivo e successivamente con ricorso per motivi aggiunti, aveva impugnato sia il provvedimento di esclusione dalla procedura concorsuale, sia l’atto di aggiudicazione a favore della impresa controinteressata;

che, inoltre, la predetta società «era stata esclusa per ben due volte dalla procedura, ottenendo una prima volta la riammissione per effetto della sentenza n. 3240 del 2007» della seconda sezione dello stesso Tribunale;

che il secondo provvedimento di esclusione è stato, invece, ritenuto legittimo in sede cautelare con ordinanza n. 1063 del 2007, con la conseguenza che «la gara è proseguita senza che l’offerta della ricorrente fosse esaminata dalla commissione», concludendosi con l’aggiudicazione in favore della controinteressata;

che con il ricorso per motivi aggiunti la ricorrente, «oltre a dedurre il vizio di invalidità derivata dell’aggiudicazione, ha dedotto vizi di legittimità tali per cui il loro accoglimento implicherebbe il travolgimento dell’intera procedura»;

che, in particolare, è stato prospettato il vizio di violazione dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile anche agli appalti sotto-soglia, il quale prescrive che «i commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta»;

che, nel caso di specie, avrebbe fatto parte illegittimamente della commissione di gara il dirigente dell’ufficio tecnico comunale (u.t.c.);

che ne conseguirebbe l’invalidità dell’intera gara «a partire dal primo atto compiuto dalla commissione, ossia proprio l’esclusione» della ricorrente stessa;

che il giudice a quo puntualizza, inoltre, che dalla documentazione allegata ai motivi aggiunti si evincerebbe come il predetto funzionario sia stato nominato membro della commissione di gara in virtù di quanto disposto dall’art. 6 del regolamento comunale sui contratti: tale norma regolamentare prescrive, secondo quanto si legge nell’ordinanza di remissione, che il dirigente o il responsabile dell’ufficio o servizio che ha elaborato il progetto a base di gara (o un suo vicario) fa sempre parte della commissione;

che, chiarito ciò, il Tribunale assume che la decisione della controversia non può prescindere dalla verifica di legittimità del citato art. 84, comma 4, sia pure ai soli fini della decisione della domanda risarcitoria, proposta unitamente a quella di annullamento, atteso che il Comune ha proceduto medio tempore alla consegna dei lavori per non incorrere nella perdita del finanziamento regionale;

che, in particolare, si sottolinea come la predetta questione sia rilevante, in quanto gli altri motivi di ricorso sarebbero infondati, «la qual cosa è a dirsi, in particolare, per quanto concerne il provvedimento di esclusione dalla gara impugnato con il ricorso introduttivo»;

che, sul punto, si rileva come la ricorrente sarebbe stata esclusa per non avere allegato alla domanda di partecipazione e all’offerta una serie di documenti richiesti dal bando a pena di esclusione e, fra questi, il «deposito cauzionale provvisorio»;

che tale deposito, ritiene il giudice a quo, «costituisce nelle procedure di evidenza pubblica un elemento essenziale dell’offerta, il quale deve essere presentato in sede di gara, non essendo ammissibile una regolarizzazione postuma dell’adempimento»;

che ne consegue che, in relazione a tale profilo, l’esclusione sarebbe legittima;

che, inoltre, non sarebbe fondato anche il motivo di ricorso con cui si deduce la violazione del termine minimo per la presentazione delle offerte, previsto dall’art. 70 del d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che tale termine, nella specie, sarebbe stato rispettato;

che sarebbe, invece, fondato, nella prospettiva del remittente, il motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, «in quanto non è oggetto di contestazione fra le parti il fatto che uno dei componenti della commissione di gara ricopre l’incarico di dirigente dell’u.t.c. di Ostuni e, in tale veste, ha svolto nell’ambito del medesimo procedimento compiti rilevanti, quali, ad esempio, la predisposizione e l’approvazione del progetto a base di gara»;

che non sarebbe rilevante la circostanza secondo cui il regolamento comunale sui contratti prevede la presenza nella commissione di gara del responsabile del settore interessato dall’appalto, atteso che tale norma regolamentare non potrebbe comunque derogare al principio generale stabilito dall’art. 84; né la norma censurata potrebbe essere disapplicata per contrasto con il diritto comunitario, in quanto tra i principi che la giurisprudenza comunitaria ha ritenuto applicabili anche agli appalti sotto-soglia «non ve ne è uno che osti» all’operatività di tale norma;

che, sostenuta nei termini esposti la rilevanza della questione, il Tribunale remittente argomenta in ordine alla non manifesta infondatezza della questione stessa, assumendo che la disposizione censurata contrasta con gli articoli 76 e 97 della Costituzione;

che, sul punto, il giudice a quo premette che detta disposizione riprende il contenuto dell’articolo 21, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici);

che tale legge è stata emanata in un particolare contesto storico caratterizzato dall’emersione di un diffuso fenomeno di corruzione manifestatosi in particolare nel settore della gestione degli appalti di lavori pubblici; di qui la necessità di emanare una serie di rigide regole volte, in particolare, a prevedere criteri trasparenti ed oggettivi nella scelta dei componenti delle commissioni di gara; per questi motivi «il legislatore ha introdotto alcune regole basilari, ed in particolare quella oggetto del presente giudizio»;

che, secondo il giudice a quo, «mentre le regole del sorteggio e dell’obbligo di rotazione periodica dei commissari rispondono in pieno all’esigenza preventiva di cui si è detto, la regola dell’incompatibilità fra attività endoprocedimentale e incarico di commissario di gara, nella sua assolutezza, non appare proporzionata rispetto al fine perseguito»;

che, infatti, la circostanza che «il funzionario il quale abbia svolto nel corso della medesima procedura compiti inerenti, ad esempio, la progettazione e/o la predisposizione e/o l’approvazione del bando di gara non possa far parte della commissione incaricata di valutare le offerte, senza prevedere alcun correttivo» per il remittente «costituisce misura troppo radicale, che può dar luogo all’annullamento della procedura anche laddove non ci sia alcun pericolo per la regolarità del procedimento»;

che, sotto altro ma connesso profilo, si assume che il contenuto della disposizione censurata potrebbe generare, in presenza di un ente di ridotte dimensioni, «problemi organizzativi rilevanti», essendo numerosi i Comuni in cui è presente un solo funzionario competente nella materia cui si riferisce l’appalto, che possa presiedere o fare parte della commissione;

che sul punto, in considerazione di tale esigenza, la giurisprudenza amministrativa, interpretando la norma impugnata alla luce di quanto previsto dall’art. 107 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che affida ai dirigenti la responsabilità delle procedure di gara, ha ritenuto legittimo che il dirigente del settore interessato all’appalto presieda la commissione (si cita Consiglio di Stato, sezione V, decisione 17 luglio 2004, n. 5142);

che l’art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006 harecepito tale orientamento, ma per il resto ha confermato la regola dell’incompatibilità senza alcuna eccezione;

che tale regola nella sua assolutezza non è adeguata al fine, «in quanto può impedire (come nel caso di specie) che della commissione faccia parte il funzionario responsabile del settore cui si riferisce l’appalto, il quale, tuttavia, è quello maggiormente in grado di valutare le offerte dal punto di vista tecnico»;

che nella presente vicenda, considerato che «i regolamenti comunali di Ostuni affidano la presidenza delle commissioni di gara al dirigente del settore appalti e contratti (la qual cosa è del tutto logica e opportuna) il dirigente dell’u.t.c. – cioè il soggetto su cui ricadrà la responsabilità dirigenziale in caso di cattiva esecuzione dell’appalto – non può far parte della commissione»;

che, infine, non potrebbe obiettarsi che la norma miri a prevenire comportamenti vietati, «in quanto il fatto che il funzionario pubblico rediga o approvi un progetto posto a base di una gara ad evidenza pubblica e poi, in veste di commissario di gara, valuti le offerte pervenute relativamente a quel progetto, non implica di per sé alcun rischio di inquinamento dell’obbiettività di giudizio» e ciò varrebbe soprattutto in presenza di appalti da aggiudicare con il sistema del prezzo più basso;

che, pertanto, da ciò conseguirebbe la violazione dell’art. 97 della Costituzione;

che, per quanto attiene alla dedotta violazione dell’art. 76 della Costituzione, si tratta di un «vizio da attribuire in parte anche» alla legge delega 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), «in base alla quale è stato redatto il d.lgs. n. 163 del 2006»;

che, in particolare, il Tribunale remittente deduce come il legislatore, «dando una interpretazione estremamente lata alla nozione di “unico testo”», utilizzata dall’art. 25 della legge n. 62 del 2005, abbia esteso anche agli appalti di servizi una regola che era prevista solo per gli appalti di lavori pubblici, «ma senza che a ciò fosse stato specificamente autorizzato»;

che, si aggiunge, né «a tanto autorizzava l’art. 5 della stessa legge n. 62 del 2005»;

che, infine, le regole previste dalla legge n. 109 del 1994 non potrebbero considerarsi prevalenti rispetto a quelle recate dal decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 (Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE) e dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), che non contenevano disposizioni analoghe a quella oggetto di censura;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, in via preliminare, rileva come il Tribunale non faccia cenno all’ammissibilità della proposizione dei motivi aggiunti, inerenti la composizione della commissione di gara, atteso che tale composizione «era certamente nota prima del provvedimento di esclusione della gara, avverso il quale era stato proposto il ricorso originario ed era già intervenuta ordinanza di rigetto dell’istanza cautelare»;

che, in secondo luogo, si rileva come l’incompatibilità contemplata dalla norma censurata abbia carattere personale: non sarebbe, pertanto, sufficiente che quel determinato soggetto faccia parte dell’ufficio se poi in concreto non ha svolto personalmente le funzioni incompatibili; tale profilo, sottolinea la difesa dello Stato, è dato per scontato dal giudice a quo e non «è neppure affermato»;

che, infine, si deduce come il ricorrente nel giudizio a quo fosse già incorso in una causa di esclusione per non avere provveduto al deposito della cauzione provvisoria;

che, accertato ciò, sarebbe «del tutto indifferente la composizione della commissione», atteso che «l’eventuale sostituzione del commissario illegittimamente nominato nulla potrebbe mutare»;

che ne conseguirebbe che «erra il giudice a quo nell’affermare che in base alla norma denunciata dovrebbe annullarsi la gara», mentre dovrebbe «soltanto modificarsi la composizione della commissione di gara – anche con eventuale annullamento dell’aggiudicazione – che, nell’esaminare ex novo le domande di partecipazione, anche con nuovi membri, non potrebbe non statuire che la G.I.T. s.r.l. è incorsa nell’indicata causa di esclusione»;

che, alla luce dei rilievi come sopra formulati, deriverebbe il difetto di rilevanza della questione sollevata;

che, nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che la norma, nell’estendere anche agli appalti di servizi e forniture la regola della incompatibilità tra attività endoprocedimentali e funzioni di commissario di gara, perseguirebbe il fine di prevenire fenomeni di corruzione attuando il precetto di cui all’art. 97 della Costituzione;

che per quanto attiene al lamentato eccesso di delega, si osserva che la legge n. 62 del 2005 ha delegato al Governo la redazione di un unico testo normativo in materia di procedure di appalto per il recepimento di tutte le direttive comunitarie in materia, senza distinzioni tra appalti di opere, servizi e forniture;

che l’art. 2, lettera b), della legge delega prevede anche espressamente che «ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa»;

che nell’attuazione della delega il Governo ha esteso la norma di garanzia contenuta nell’art. 21, comma 5, della legge n. 109 del 1994 anche al settore dei servizi e delle forniture per meglio garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione della pubblica amministrazione;

che, in definitiva, dunque, non sussisterebbe, secondo la difesa dello Stato, nessuna delle violazioni denunciate dal giudice a quo.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 4, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), per violazione degli artt. 76 e 97 della Costituzione;

che secondo la norma censurata «i commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta»;

che tale questione, sollevata in un giudizio avente ad oggetto una procedura di gara indetta dal Comune di Ostuni per l’aggiudicazione di un appalto di «servizi a supporto dell’istituenda Area protetta delle dune di “Lido Morelli”», è manifestamente inammissibile per insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione stessa sotto due concorrenti profili;

che, in relazione ad un primo aspetto, deve, preliminarmente, rilevarsi come la ricorrente nel giudizio a quo abbia impugnato, tra l’altro, con il ricorso introduttivo, il provvedimento di sua esclusione dalla partecipazione alla procedura di gara e con il ricorso per motivi aggiunti l’atto di aggiudicazione dell’appalto alla società controinteressata;

che il giudice a quo, come correttamente rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato, non motiva in ordine alla tempestività della proposizione dei motivi aggiunti, nella parte in cui deducono, tra l’altro, la illegittimità della composizione della commissione, in base a quanto disposto dalla norma ora censurata;

che, in particolare, il remittente avrebbe dovuto indicare le ragioni che depongono a favore della tempestività dei suddetti motivi aggiunti, atteso che, di regola, la composizione della commissione è nota alle parti sin dalla fase di presentazione delle offerte e dunque, con ogni verosimiglianza, già al momento della proposizione del ricorso introduttivo;

che, sotto l’indicato profilo, assume anche significativo rilievo la circostanza, riportata nell’ordinanza di remissione, che la partecipazione alla commissione del dirigente dell’ufficio tecnico è prevista dall’art. 6 del regolamento del Comune di Ostuni, sicché la conoscenza del dato relativo alla composizione della commissione aggiudicatrice dell’appalto e comunque la partecipazione a tale commissione del dirigente in questione, in base a criteri di ordinaria diligenza, non poteva non essere nota fin dall’inizio della procedura di gara;

che, in ogni caso, il giudice remittente avrebbe dovuto porsi il problema della tempestività della proposizione del ricorso per motivi aggiunti e motivare adeguatamente in ordine ad essa, mentre nulla di tutto ciò si rinviene nell’ordinanza di rimessione a questa Corte;

che, in relazione ad un secondo e concorrente aspetto, il TAR non motiva in relazione agli effetti che l’eventuale accoglimento della questione potrebbe, in ipotesi, comportare sulla prosecuzione del giudizio;

che, infatti, un eventuale annullamento degli atti impugnati, in ragione della illegittima composizione della commissione di aggiudicazione dell’appalto, lascerebbe ferma l’attività amministrativa posta in essere fino alla nomina della commissione, con conseguente rinnovazione parziale della procedura concorsuale da parte della stazione appaltante;

che da ciò conseguirebbe che la commissione, pur diversamente formata, nell’esaminare nuovamente le originarie domande di partecipazione, dovrebbe comunque escludere l’offerta presentata dalla ricorrente nel giudizio a quo, atteso che a tale offerta, come riconosciuto dal medesimo rimettente, non era stata allegata la documentazione attestante il «deposito cauzionale provvisorio» e che tale inosservanza determina l’esclusione dalla gara;

che, comunque, il giudice remittente avrebbe dovuto dare adeguata motivazione di tale profilo pregiudiziale, anche con riferimento alla circostanza secondo la quale l’art. 21-octies, secondo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nel testo modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), stabilisce che non assume rilievo l’invalidità di atti vincolati quando «sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», come nel caso di specie;

che, anche qualora si ritenga, come rilevato dal giudice a quo, che all’annullamento dei provvedimenti impugnati non possa, di fatto, seguire la rinnovazione della procedura di gara in ragione dell’avvenuta «consegna dei lavori» al controinteressato vincitore della gara, ugualmente il TAR avrebbe dovuto motivare in ordine alla rilevanza della questione ai fini della decisione sulla domanda risarcitoria, tenuto conto, in particolare, come si è già precisato, che comunque la società non avrebbe potuto partecipare alla procedura concorsuale per effetto della mancata produzione nel termine fissato di un documento essenziale per tale partecipazione;

che, in definitiva, tali carenze motivazionali impediscono a questa Corte di vagliare l’effettiva sussistenza del requisito della rilevanza, con la conseguente manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 4, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2009.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2009.