Sentenza n. 62 del 2009

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SENTENZA N. 62

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco               AMIRANTE            Presidente

- Ugo                                DE SIERVO                      Giudice

- Paolo                      MADDALENA              "

- Alfio                       FINOCCHIARO            "

- Alfonso                   QUARANTA                 "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                       MAZZELLA                  "

- Gaetano                  SILVESTRI                   "

- Sabino                    CASSESE                     "

- Maria Rita               SAULLE                       "

- Giuseppe                 TESAURO                    "

- Paolo Maria             NAPOLITANO             "

- Giuseppe                 FRIGO                         "

- Alessandro              CRISCUOLO                "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 75 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica), promosso con ordinanza del 7 aprile 2008 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da XY contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 224 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti l’atto di costituzione di XY nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato per XY e l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La IV Sezione del Consiglio di Stato, nel corso di un giudizio avente ad oggetto la impugnazione della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio aveva rigettato il ricorso avverso la irrogazione, nei confronti di un caporal maggiore dell’Esercito italiano in servizio permanente, della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica), nella parte in cui prevede la possibilità, per l’organo competente all’adozione delle sanzioni disciplinari di stato, di discostarsi dal giudizio della Commissione di disciplina non solo in senso più favorevole all’incolpato ma, sia pure soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore di questo.

1.1. – Riferisce il rimettente che il ricorrente nel giudizio a quo, condannato alla pena detentiva di un anno a quattro mesi di reclusione, a seguito di “patteggiamento”, in relazione ad una imputazione di detenzione a fini di “spaccio” di sostanze stupefacenti, aveva impugnato di fronte al giudice amministrativo il provvedimento col quale, stante il ricordato pregiudizio penale, il competente direttore generale del Ministero della difesa, nonostante il «parere favorevole a conservare il grado espresso dalla Commissione di disciplina», aveva irrogato nei suoi confronti la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione.

Avendo l’adito Tribunale amministrativo rigettato il ricorso – precisa il Collegio –, la relativa sentenza era stata gravata di appello, affidato a cinque motivi, quattro dei quali erano stati dichiarati infondati con separata sentenza parziale. Con riferimento al restante motivo, avente ad oggetto la compatibilità costituzionale del citato art. 75 della legge n. 599 del 1954, il Consiglio di Stato, ritenendolo non manifestamente infondato e rilevante ai fini della definizione del giudizio – ciò, in particolare, in quanto solo la rimozione della norma in discorso avrebbe consentito l’accoglimento del gravame – ha sollevato questione di legittimità costituzionale.

Riguardo alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che la norma impugnata, originariamente applicabile ai sottufficiali di Esercito, Marina e Aeronautica ed estesa, dall’art. 30 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate), ai volontari di truppa in servizio permanente, quale è l’appellante nel giudizio a quo, prevede che l’organo competente per l’adozione della sanzione disciplinare possa discostarsi, in casi di particolare gravità, dal parere reso dalla Commissione di disciplina anche in senso sfavorevole all’incolpato.

1.2. – Detta previsione, ad avviso del rimettente, violerebbe l’art. 3 della Costituzione. Osserva, sul punto, che la finalità del procedimento disciplinare è quella di «salvaguardare la corretta sussistenza dell’ordinamento particolare al quale si riferisce, con l’effetto dissuasivo proprio delle sanzioni»: perciò, verificatasi un’infrazione, essa viene valutata da una apposita Commissione, composta da esperti, che la «ascrive ad una particolare categoria per la quale è prevista l’irrogazione di una specifica sanzione».

Trattandosi, prosegue il rimettente, di vicenda interna ad un ordinamento particolare, la normativa prevede che il vertice della amministrazione interessata (prima il Ministro, ora, per effetto della differenziazione delle competenze, il direttore generale del personale militare) possa, «apprezzando elementi esterni alla fattispecie» applicare, con finalità essenzialmente umanitarie, una sanzione meno grave.

Espressione di tale orientamento sono non solo l’art. 114, quinto comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato), ma anche l’art. 46 della legge 3 giugno 1961, n. 833 (Stato giuridico dei vicebrigadieri e dei militari di truppa della Guardia di Finanza), nonché l’art. 42 della legge 19 ottobre 1961, n. 1168 (Norme sullo stato giuridico dei vicebrigadieri e dei militari di truppa dell’Arma dei carabinieri), disposizioni, queste ultime, emanate nello stesso arco di tempo che, anche se ne «è dubbia in giurisprudenza la sfera di applicazione», sono, in ogni caso, riferibili «a soggetti con il medesimo stato giuridico dell’appellante».

Solamente la disposizione censurata, oltre a quella applicabile al procedimento disciplinare degli ufficiali di Esercito, Marina e Aeronautica, cioè l’art. 88 della legge 10 aprile 1954, n. 113 (Stato degli ufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica), consente, in casi di particolare gravità, un intervento in malam partem.

Ravvisa in ciò il rimettente un’ingiustificata disparità di trattamento in danno di ufficiali, sottufficiali e militari di truppa delle tre Armi, rispetto al trattamento degli altri dipendenti pubblici, ivi compresi quelli appartenenti al medesimo comparto delle Forze Armate.

1.3. – La norma viene, altresì, ritenuta in contrasto con l’art. 97 della Costituzione, che è volto a salvaguardare, attraverso l’organizzazione degli uffici, l’imparzialità e il buon andamento della amministrazione.

Ad avviso del rimettente, sarebbe arduo giustificare che un organo monocratico possa disattendere le conclusioni, frutto di una collegiale valutazione tecnica, cui, all’esito della fase procedimentale svoltasi di fronte a sé nel contraddittorio delle parti, sia giunta la Commissione di disciplina, se non nel senso di permettere la riduzione, per finalità umanitarie, della sanzione in quel modo individuata.

2. – Si è costituito nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale l’appellante nel giudizio a quo, la cui difesa, richiamati ampiamente i contenuti della ordinanza di rimessione, osserva che la irragionevolezza della disparità esistente fra il trattamento del personale delle tre Armi e quello appartenente all’Arma dei carabinieri e al Corpo della Guardia di Finanza non si giustifica in forza dei peculiari compiti attribuiti a queste ultime – risultando, semmai, più evidente proprio per le funzioni di repressione degli illeciti e di polizia militare ad esse assegnati – né in ragione del diverso inquadramento economico e stipendiale che possa derivare dai distinti compiti svolti dalle singole Forze Armate.

Osserva la parte privata che la conseguenza della disposizione censurata è la valutazione più benevola e garantista dell’illecito disciplinare commesso dal militare che svolge funzioni di polizia volte alla repressione degli illeciti, rispetto a quello, di pari gravità, commesso dal militare che tali funzioni non svolge.

3. – E’ intervenuto nel giudizio, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Il rimettente, infatti, non avrebbe adeguatamente esposto i fatti di causa, in particolare in ordine alla eventuale “particolare gravità” dell’illecito commesso, sicché non sarebbe chiara l’effettiva rilevanza della questione nel giudizio a quo.

Ulteriore motivo di inammissibilità deriverebbe dal fatto che il rimettente ha omesso di considerare come la giurisprudenza, ivi compreso il giudice che in prime cure ha esaminato la fattispecie a quo, si sia costantemente e ripetutamente espressa nel senso che la norma impugnata sarebbe applicabile anche ai militari facenti parte della Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza.

Essendo, pertanto, la disposizione censurata suscettibile di un’interpretazione che ne escluda la incostituzionalità, la relativa questione sarebbe inammissibile.

3.1. – In subordine, la difesa pubblica sostiene la infondatezza della questione.

Premesso, infatti, che il censurato art. 75 della legge n. 599 del 1954 trova applicazione nei confronti di qualunque militare, non v’è dubbio che la diversità di disciplina applicabile ai dipendenti civili dello Stato trovi la sua ratio nella peculiare, oggettiva, diversità di status esistente fra le due categorie, civile e militare, interessate.

Ma, aggiunge l’Avvocatura, la questione sarebbe infondata anche ove si volesse ritenere che il citato art. 75 della legge n. 599 del 1954 fosse applicabile solo ai militari di Esercito, Marina e Aeronautica; infatti la possibilità pel Ministro di discostarsi in pejus rispetto al divisamento del Consiglio di disciplina, invece che porsi in contrasto coi principi di uguaglianza e di buona amministrazione, ne costituisce applicazione.

Deve, infatti, considerarsi che le tre predette Armi costituiscono un organismo più articolato e disomogeneo rispetto ai corpi di polizia ad ordinamento militare; in tal senso, posto che «sia le istanze sanzionatorie» che i criteri di loro valutazione possono variare fra l’una e l’altra, il potere di reformatio in pejus attribuito al Ministro consente l’armonizzazione ed omogeneizzazione dei criteri sanzionatori che, diversamente, data la segmentazione delle Forze Armate, potrebbe mancare.

La difesa pubblica prosegue osservando che erra il rimettente là dove attribuisce una specifica competenza tecnica alla Commissione di disciplina: questa è infatti un organo costituito ad hoc senza che sia garantita una particolare qualificazione o specializzazione dei suoi componenti.

Diversamente da quanto sostenuto dal rimettente, la sede ove si opera la valutazione tecnica dell’illecito disciplinare è quella ministeriale, sicché risponde a un criterio di buona amministrazione attribuire agli organi ministeriali, dotati di dirigenti in possesso di «specializzazioni post-universitarie in diritto disciplinare militare», la funzione di raccordo e necessario adeguamento delle sanzioni ai criteri generali che presiedono l’azione disciplinare.

Osserva, da ultimo, la Avvocatura che comunque il potere di reformatio in pejus è attribuito al Ministro solo in casi di particolare gravità – non costituendo un ordinario potere di revisione delle deliberazioni assunte dalla Commissione di disciplina – che dovranno essere adeguatamente evidenziati e motivati. In questo modo, conclude la difesa erariale, è altresì possibile accedere ad una lettura costituzionalmente orientata della norma tale da escludere, data l’inconfigurabilità di un potere di reformatio in pejus meramente discrezionale, che il suo esercizio sia fonte di disuguaglianza.

Considerato in diritto

1. – La IV sezione del Consiglio di Stato ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica), nella parte in cui prevede la possibilità per l’organo competente alla adozione delle sanzioni disciplinari di stato di discostarsi dal giudizio della Commissione di disciplina non solo in senso più favorevole all’incolpato ma, sia pure soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore di questo.

1.1. – Il rimettente, in particolare, dubita della legittimità costituzionale della indicata disposizione in quanto essa determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento in danno dei sottufficiali – nonché dei volontari di truppa in servizio permanente, per effetto della estensione a costoro, operata dall’art. 30, comma 2, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate), della disciplina dettata dalla legge n. 599 del 1954 – rispetto alla analoga normativa, sempre in tema di procedimento disciplinare, applicabile al personale civile dello Stato, contenuta nell’art. 114, quinto comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), ai sottufficiali e militari di truppa dell’Arma dei carabinieri, contenuta nell’art. 42, quarto comma, della legge 18 ottobre 1961, n. 1168 (Norme sullo stato giuridico dei vicebrigadieri e dei militari di truppa dell’Arma dei carabinieri), ai sottufficiali e militari di truppa del Corpo della Guardia di finanza, contenuta nell’art. 46, terzo comma, della legge 3 agosto 1961, n. 833 (Stato giuridico dei vicebrigadieri e dei militari di truppa della Guardia di finanza), la quale prevede che il giudizio della Commissione di disciplina possa essere disatteso dall’organo che infligge concretamente la sanzione disciplinare solo in senso più favorevole all’incolpato.

1.2. – Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale viene ravvisato dal giudice a quo nella norma censurata – con riferimento alla violazione dell’art. 97 della Costituzione posto a presidio della imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione – in quanto essa consente ad un organo monocratico di modificare, irrogando una sanzione più afflittiva, la valutazione tecnica, comparata e ponderata, già operata, nel rispetto del contraddittorio e con le garanzie della collegialità, dalla Commissione di disciplina.

2. – Occorre valutare, preliminarmente, le eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa erariale.

2.1. – Con la prima di esse si contesta la mancanza di una adeguata descrizione della fattispecie, ridondante in difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, non essendosi il rimettente, atteso che il potere di modifica in malam partem è subordinato al positivo riscontro della particolare gravità del caso, espresso chiaramente sulla ricorrenza di tale condizione.

L’eccezione non merita accoglimento.

Il rimettente, infatti, nella descrizione della fattispecie al suo esame, ha rilevato che l’illecito disciplinare contestato al militare in questione era connesso alla commissione di un delitto di considerevole gravità e dal quale era scaturita, previa richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, la applicazione della pena detentiva di ben un anno e quattro mesi di reclusione; evidente è, pertanto, la ricorrenza del caso di particolare gravità che, in via astratta, legittima l’intervento in malam partem dell’organo cui compete l’adozione della sanzione disciplinare.

Sul punto va anche rilevato che nella ordinanza di rimessione si dà, altresì, atto del fatto che la sentenza emessa in prime cure era stata impugnata, fra l’altro, anche in quanto non aveva tenuto conto della carenza di motivazione del provvedimento irrogativo della sanzione disciplinare riguardo alla presenza della ipotesi «di particolare gravità». La circostanza – esplicitata con, sia pur sintetica, puntualità dal rimettente – che tale specifico motivo di impugnazione era stato rigettato con sentenza parziale emessa nella stessa data dell’ordinanza di rimessione, vale ad escludere la sussistenza del dedotto profilo di carenza di motivazione della ordinanza stessa.  

2.2. – Ulteriore motivo di inammissibilità della questione consisterebbe, secondo la prospettazione dell’Avvocatura dello Stato, nel non aver considerato il rimettente il fatto che, diversamente da quanto da lui affermato, l’art. 75 della legge n. 599 del 1954, sulla base degli orientamenti giurisprudenziali amministrativi, sarebbe applicabile non ai soli sottufficiali e volontari di truppa di Esercito, Marina e Aeronautica, ma anche agli stessi sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza, di tal ché la stessa prospettata disparità di trattamento non sarebbe in realtà sussistente, stante la possibilità di dare un’interpretazione della norma censurata che ne assicuri l’uniforme applicazione.

Anche in questo caso l’eccezione non merita accoglimento.

Infatti, se è pur vero che la ampiamente prevalente giurisprudenza amministrativa appare orientata nel senso di ritenere applicabile l’art. 75 della legge n. 599 del 1954 anche ai sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza o, come più correttamente si deve dire, agli appartenenti ai ruoli degli Ispettori e dei Sovrintendenti di tali Forze armate, tale applicazione è stata, tuttavia, esclusa dalla medesima magistratura amministrativa nei confronti del personale appartenente al ruolo degli appuntati e carabinieri ed al ruolo degli appuntati e finanzieri, nei cui confronti sono invece tuttora applicabili, rispettivamente, le disposizioni contenute nei ricordati artt. 42, quarto comma, della legge n. 1168 del 1961 e 46, terzo comma, della legge n. 833 del 1961.

 Poiché, nel caso che interessa, l’aggravamento della sanzione disciplinare è stato operato nei confronti di un militare appartenente al ruolo dei volontari di truppa in servizio permanente, che, per essere quello iniziale nella scala gerarchica delle tre Armi, può essere utilmente comparato con quello degli appuntati e carabinieri e appuntati e finanzieri, ruoli egualmente iniziali nella scala gerarchica, rispettivamente, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza, non può, in linea di principio, disconoscersi l’inconciliabile diversità della normativa regolante il particolare aspetto in questione del procedimento disciplinare rispetto a quello relativo alle tre categorie di appartenenti alle Forze armate, tale da escludere l’inammissibilità della questione sotto il profilo della asserita disparità di trattamento.

3. – La questione è fondata.

3.1. – E’ opportuna una sintetica ricostruzione del sistema disciplinare previsto dalla legge n. 599 del 1954 che, in base al rinvio disposto dall’art. 30 del decreto legislativo n. 196 del 1995, si applica al militare in questione (ed ai sottufficiali e militari di truppa dell’Esercito, della Marina militare e dell’Aeronautica militare).

L’art. 63 della citata legge n. 599 del 1954 contempla quattro sanzioni disciplinari di stato:

a) la sospensione disciplinare dall’impiego, di cui all’art. 21;

b) la cessazione dalla ferma volontaria o dalla rafferma per motivi disciplinari, di cui all’art. 40, lettera c);

c) la sospensione disciplinare dalle attribuzioni del grado, prevista dall’art. 48;

d) la perdita del grado per rimozione, di cui al primo comma, n. 6, dell’art. 60.

Solo per la più grave di dette sanzioni, e cioè per la perdita del grado per rimozione, è prevista la sottoposizione alla valutazione del Consiglio di disciplina. Negli articoli da 67 a 74 della predetta legge sono specificamente indicate le procedure che regolano l’attivazione ed il funzionamento del collegio nonché la sua composizione. In particolare, per quello che interessa ai fini della presente decisione, l’art. 69 prevede che «La Commissione di disciplina [sia] formata, di volta in volta» e l’art. 74 che, al termine dei suoi lavori, quando «la Commissione [ritenga] di poter deliberare, il Presidente [ponga] ai voti il seguente quesito: “il … è meritevole di conservare il grado?”».

Risulta, quindi, che la Commissione di disciplina non è un organo permanente ma un collegio che viene convocato ad hoc ogni volta che si presenti la necessità di giudicare in merito alla irrogazione della sanzione della perdita del grado per rimozione e che essa, a differenza dell’analogo organo competente a valutare gli illeciti disciplinari del personale civile dello Stato, può solo pronunciarsi sull’applicazione o meno di tale sanzione.

E’, pertanto, manifestamente irragionevole che il Ministro o, attualmente, il responsabile della struttura amministrativa competente, possa effettuare una reformatio in pejus di tale giudizio, dato che, così facendo, verrebbe non a integrare o correggere tale decisione, ma a capovolgerla. Il quesito rivolto alla Commissione ha un esclusivo contenuto: essa deve dichiarare se l’illecito disciplinare che le viene sottoposto debba comportare la perdita del grado del militare che lo ha commesso. Nel caso in cui l’Organo competente dell’Amministrazione militare non si attenga al verdetto quando esso è favorevole all’incolpato, verrebbe a sostituire una valutazione favorevole al mantenimento del grado con una di segno opposto.

La disposizione censurata, nel discostarsi da quanto al riguardo previsto dagli artt. 46, terzo comma, della legge n. 833 del 1961 e 42, quarto comma, della legge n. 1168 del 1961, non viene, quindi, a porre in essere una disciplina che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rientra negli ampi limiti di discrezionalità di cui gode il legislatore in questa materia (sentenza n. 356 del 1995, ordinanze n. 182 del 2008 e n. 295 del 2001). Essa, al contrario, trasmoda nella manifesta irragionevolezza (sentenze n. 375 del 2000, n. 104 del 1991, n. 1128 del 1988), con violazione dell’art. 3 Cost., dato che attribuisce ad un soggetto che non ha partecipato allo svolgimento del procedimento, e che non ha quindi acquisito e valutato direttamente tutti gli elementi e le argomentazioni che ne hanno caratterizzato l’iter, la facoltà di rovesciare il giudizio che l’Organo collegiale appositamente costituito è stato chiamato a pronunciare.

3.2. – Né può condividersi la tesi secondo cui, poiché l’art. 75 della legge n. 599 del 1954 limita questo ribaltamento del giudizio «soltanto in casi di particolare gravità», si potrebbe giungere ad una interpretazione della disposizione costituzionalmente orientata, nel senso di escludere che il potere di revisione sia attribuito in via ordinaria e in via meramente discrezionale, ma sia esercitabile solo nei riguardi di situazioni che presentino il carattere dell’estrema gravità.

E’ opportuno sottolineare che la Commissione, nel pronunciarsi sul mantenimento o sulla perdita del grado, non limita la sua valutazione a verificare l’esistenza dell’illecito disciplinare e la responsabilità del militare incolpato, ma esprime un giudizio globale. Vale a dire che una volta accertata la responsabilità disciplinare, la quale costituisce, generalmente, il primo passaggio che il suddetto organo deve compiere, quest’ultimo deve valutare tutto l’insieme dei fatti relativi alla mancanza contestata, l’incidenza che essa viene ad avere sulla disciplina militare, la lesione che arreca all’elevato livello di onorabilità che deve essere posseduto dagli appartenenti alle Forze Armate, nonché la personalità del militare, ivi compresi, quindi, quei “casi di particolare gravità” che, secondo la censurata disposizione, facoltizzerebbero il ribaltamento della decisione. Tra l’altro, nel caso in questione, dato che si trattava di giudicare in merito ai riflessi disciplinari di una sentenza penale di condanna passata in giudicato, il Consiglio di disciplina doveva solo operare la valutazione circa la possibilità che il militare che aveva compiuto tale reato fosse “meritevole di conservare il grado”.

Ne deriva, quindi, che se i fatti posti alla base di tali “casi” hanno fatto parte del giudizio, su di essi già si è pronunciata la Commissione di disciplina, non ritenendo che legittimassero la perdita del grado.

Qualora, invece, la situazione che determinerebbe la diversa conclusione del procedimento non sia stata contestata, o, comunque, fatta presente al militare durante lo svolgimento del procedimento stesso, si sarebbe verificata l’evidente anomalia della non conoscenza, da parte dell’incolpato, di tutti gli elementi su cui si fondano le accuse, con l’impossibilità di potersi difendere in contraddittorio.

Questa Corte «Di fronte alla distinzione tra procedimenti disciplinari giurisdizionali e procedimenti disciplinari amministrativi, […] ha già ricordato che la proclamazione contenuta nell'art. 24 Cost., se indubbiamente si dispiega nella pienezza del suo valore prescrittivo solo con riferimento ai primi, non manca tuttavia di riflettersi, seppure in maniera più attenuata, sui secondi, in relazione ai quali, in compenso, si impongono al più alto grado di cogenza le garanzie di imparzialità e di trasparenza che circondano l'agire della pubblica amministrazione. V'è, insomma, un sensibile accostamento tra i due diversi tipi di procedimento disciplinare, che trova ragione “nella natura sanzionatoria delle pene disciplinari, che sono destinate ad incidere sullo stato della persona nell'impiego o nella professione” (sentenza n. 71 del 1995). L'approdo del procedimento, nell'un caso e nell'altro, può toccare invero la sfera lavorativa e, con essa, le condizioni di vita della persona e postula perciò, anche in relazione ai procedimenti non aventi carattere giurisdizionale, talune garanzie che non possono mancare, quali la contestazione degli addebiti e la conoscenza, da parte dell'interessato, dei fatti e dei documenti sui quali si fondano (sentenza n. 505 del 1995).» (sentenza n. 460 del 2000).

In questa seconda ipotesi verrebbero, pertanto, meno quelle “garanzie” che la giurisprudenza di questa Corte ritiene ineliminabili anche nell’ambito di una procedura disciplinare.

Si deve, infine, osservare che sia l’art. 60 della più volte citata legge n. 599 del 1954, laddove enuncia i motivi che comportano la perdita del grado, sia, in più punti, l’art. 74, laddove prescrive i passaggi procedurali che regolano il funzionamento della Commissione, sia il censurato art. 75, laddove afferma che il vertice dell’Amministrazione può discostarsi dalle conclusioni della Commissione di disciplina «anche a sfavore» del militare, definiscono quest’ultima decisione col termine “giudizio”. Vale a dire che essa non costituisce un parere obbligatorio ma non vincolante, bensì la fase conclusiva di un procedimento che, pur avendo natura amministrativa, deve essere rispettato dall’Amministrazione militare di appartenenza dell’incolpato (fatta salva la possibilità, riconosciuta, in virtù di un principio generale che attualmente impronta i processi disciplinari, dell’irrogazione, per motivi umanitari, di una sanzione più lieve) sia per non vanificare l’attività defensionale ivi dispiegata dall’incolpato, sia per non rendere inutile lo svolgimento della fase procedurale davanti alla Commissione di disciplina, con violazione del canone del “buon andamento” previsto dall’art. 97 della Costituzione.

4. – All’accoglimento della questione sotto il profilo del contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, stante la manifesta irragionevolezza della norma ridondante in violazione del principio di buon andamento e imparzialità della amministrazione, consegue l’assorbimento del restante motivo di censura riguardante l’asserita disparità di trattamento.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 75 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica), limitatamente alle parole «e, soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2009.