Ordinanza n. 433 del 2008

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ORDINANZA N. 433

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria   FLICK                                              Presidente

- Francesco          AMIRANTE                                         Giudice

- Ugo                   DE SIERVO                                             ”

- Paolo                 MADDALENA                                         ”

- Alfio                  FINOCCHIARO                                       ”

- Alfonso              QUARANTA                                            ”

- Franco               GALLO                                                    ”

- Luigi                  MAZZELLA                                             ”

- Gaetano             SILVESTRI                                              ”

- Sabino               CASSESE                                                ”

- Maria Rita          SAULLE                                                  ”

- Giuseppe            TESAURO                                               ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                         ”

- Giuseppe            FRIGO                                                     ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi con ordinanze del 1° marzo 2007 dal Giudice di pace di Città di Castello, del 21 maggio 2007 dal Tribunale di Rossano, del 18 maggio 2007 dal Giudice di pace di Cuneo, del 12 luglio 2007 dal Giudice di pace di Foggia, dell’8 maggio 2007 dal Giudice di pace di Napoli Barra, dell’11 gennaio 2007 dal Tribunale di Napoli, del 12 luglio 2007 dal Giudice di pace di Torino, dell’11 luglio 2007 dal Giudice di pace di Bergamo, del 25 settembre 2007 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, sezione distaccata di Milazzo, del 10 luglio 2007 dal Giudice di pace di Forlì, del 19 settembre 2007 dal Tribunale di Parma, del 7 novembre 2007 dal Giudice di pace di Palermo, del 6 novembre 2007 dal Tribunale di Pavia, del 12 ottobre e del 9 novembre 2007 (numero 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Bergamo e del 4 ottobre 2007 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, sezione distaccata di Milazzo, rispettivamente iscritte ai nn. 738, 767, 777, 788, 791, 816, 826 e 838 del registro ordinanze del 2007 e ai nn. 28, 29, 31, 44, 92, 139, 140, 141 e 148 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 43, 46, 47 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2007 e nn. 1, 2, 4, 9, 11, 15, 20 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 novembre 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Giudice di pace di Città di Castello, con ordinanza del 1° marzo 2007 (r.o. n. 738 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;

che il rimettente ha dichiarato la sospensione del procedimento e disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale immediatamente dopo aver enunciato la questione sollevata;

che il Tribunale di Rossano, con ordinanza del 21 maggio 2007 (r.o. n. 767 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che nel giudizio principale, ove si procede nei confronti di persona accusata del delitto di ingiuria (art. 594 cod. pen.), le parti hanno concordemente sollecitato una declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell’art. 157, quinto comma, cod. pen.;

che il rimettente osserva come la norma censurata, applicandosi ai più gravi tra i reati di competenza del giudice di pace, cioè quelli puniti con le cosiddette sanzioni paradetentive, implichi che il relativo termine prescrizionale sia più breve di quello stabilito per i reati meno gravi, puniti con le sole pene pecuniarie;

che peraltro il giudice a quo, con riferimento alla fattispecie contestata in concreto, prosegue rilevando l’applicabilità del più lungo termine prescrizionale di cui al primo comma dell’art. 157 cod. pen., trattandosi di reato già punito con la pena alternativa della multa o della reclusione fino a sei mesi, e dunque sanzionabile – a norma dell’art. 52 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468) – con la sola pena pecuniaria;

che, da tali premesse, il rimettente fa conseguire il rilievo «che l’applicabilità dell’art. 157 comma 5 […] determina una irragionevole disparità di trattamento e lede il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione»;

che inoltre, sempre secondo il rimettente, il vulnus recato ai principi costituzionali sarebbe tanto più evidente considerando che spetta al giudice una valutazione discrezionale circa l’applicazione delle sanzioni «paradetentive», il che renderebbe discrezionale anche la determinazione del termine di prescrizione;

che il Giudice di pace di Cuneo, con ordinanza del 18 maggio 2007 (r.o. n. 777 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;

che nel giudizio principale si procede nei confronti di persone accusate di un delitto di lesioni personali (art. 582 cod. pen.), nonché dei reati non aggravati di ingiuria (art. 594 cod. pen.) e minaccia (art. 612 c.p.);

che, secondo il rimettente, nell’ambito dei reati di competenza del giudice di pace, il termine prescrizionale per i reati puniti unicamente con la sanzione pecuniaria sarebbe pari a quattro anni o addirittura a sei (a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti), mentre gli illeciti più gravi, per i quali è applicabile anche (o solo) una sanzione coercitiva della libertà personale (ancorché non detentiva), sarebbero suscettibili di estinzione nell’arco di un triennio;

che un meccanismo siffatto produrrebbe effetti paradossali, come il diverso trattamento riservato a chi minacci o percuota una persona (termine prescrizionale di sei anni) ed a chi, invece, abbia provocato lesioni lievi, reato per il quale l’estinzione interverrebbe in appena tre anni;

che la norma censurata, quindi, determinerebbe una lesione del principio di ragionevolezza e, comunque, un trattamento deteriore non giustificato per coloro i quali, proprio in forza della ratio della nuova disciplina della prescrizione, dovrebbero avvantaggiarsi del trattamento più mite, così violando l’art. 3 Cost.

che l’aderenza della disciplina ai principi costituzionali, secondo il giudice a quo, potrebbe essere ripristinata mediante una parificazione dei termini prescrizionali per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, in particolare estendendo a tutti la previsione del quinto comma dell’art. 157 cod. pen.;

che, nella specie, la questione sarebbe rilevante in quanto il più grave tra i reati contestati agli imputati (quello di lesioni) sarebbe già prescritto, mentre il procedimento dovrebbe proseguire, salva appunto l’eventuale declaratoria di illegittimità della norma censurata, per l’accertamento degli ulteriori delitti in contestazione;

che il Giudice di pace di Foggia, con ordinanza del 12 luglio 2007 (r.o. n. 788 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che si procede, nel giudizio a quo, riguardo a persone accusate dei delitti di minaccia (art. 612 cod. pen.) e lesioni personali semplici (art. 582 cod. pen.), commessi il 29 luglio 2003;

che, secondo quanto riferito dal rimettente, la difesa degli imputati avrebbe invocato una declaratoria di prescrizione per i reati indicati, essendo trascorso il termine triennale fissato nel testo novellato del quinto comma dell’art. 157 cod. pen., e al tempo stesso avrebbe prospettato una questione di legittimità della norma citata, «laddove prevede un termine di tre anni per la prescrizione dei reati per i quali la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria»;

che il giudice a quo – ritenuta l’effettiva applicabilità del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. al caso di specie – osserva che la norma in questione avrebbe dato vita ad un sistema incoerente, segnato da un termine prescrizionale più breve per i reati di maggior gravità tra quelli attribuiti alla competenza del giudice di pace, e da un termine più lungo per i fatti di gravità più contenuta, in quanto punibili con la sola sanzione pecuniaria;

che si verserebbe, alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 89 del 1996), in una situazione di intrinseca irrazionalità della disciplina, posto che l’aporia introdotta nel sistema non sarebbe giustificabile alla luce di alcun valore od esigenza riconducibili alla ratio dell’intervento di riforma in materia di prescrizione;

che il rimettente aggiunge come la norma censurata fissi un termine di prescrizione breve ancorandolo alla previsione di un trattamento sanzionatorio (quello incentrato sulle sanzioni «paradetentive») che il giudice può discrezionalmente non applicare;

che lo stesso rimettente, nel contempo, esclude che il riferimento normativo alle pene non detentive né pecuniarie sia pertinente alla permanenza domiciliare ed al lavoro socialmente utile, perché dette sanzioni non sarebbero mai applicabili in via esclusiva e non varrebbero, di conseguenza, ad identificare specifici reati;

che il Giudice di pace di Napoli Barra, con ordinanza dell’8 maggio 2007 (r.o. n. 791 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui assoggetta ai più lunghi termini di prescrizione in esso previsti, anziché ad un termine triennale, i reati di competenza del giudice di pace puniti con la sola pena pecuniaria;

che nel giudizio a quo si procede nei confronti di persona accusata dei reati di ingiuria (art. 594 cod. pen.) e minaccia (art. 612 cod. pen.);

che il rimettente osserva come la previsione contenuta nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen., ove è stabilito un termine triennale per la prescrizione, debba intendersi riferita ai reati di competenza del giudice di pace, puniti con le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile;

che infatti, sempre a parere del rimettente, la soluzione contraria – per quanto suggerita dal disposto dell’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, che equipara le sanzioni «paradetentive», per ogni effetto giuridico, alla pena detentiva originariamente prevista dalle singole previsioni incriminatrici – priverebbe la norma censurata di un qualunque oggetto;

che il giudice a quo, in base a tali premesse, evidenzia l’irrazionalità del sistema, ove i reati dalla gravità più contenuta si prescriverebbero nel termine ordinario, mentre quelli di significato più rilevante si estinguerebbero in un tempo assai più breve;

che tale irrazionalità potrebbe essere eliminata dalla Corte costituzionale, senza invadere l’ambito della discrezionalità legislativa, mediante una pronuncia che riduca al valore più basso, per tutti i reati di competenza del giudice di pace, la durata del termine prescrizionale;

che, in punto di rilevanza della questione, il rimettente osserva che i reati contestati nel giudizio principale, punibili con la sola pena pecuniaria, potrebbero considerarsi già prescritti solo in caso di applicazione del termine triennale;

che il Tribunale di Napoli, con ordinanza dell’11 gennaio 2007 (r.o. n. 816 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005;

che il rimettente, con riferimento ad una eccezione difensiva non meglio specificata, condivide l’opinione che la norma censurata, riducendo «inspiegabilmente» a tre anni il termine prescrizionale per i reati puniti con le cosiddette pene paradententive, darebbe luogo ad un contrasto con l’art. 3 Cost.;

che il Giudice di pace di Torino, con ordinanza del 12 luglio 2007 (r.o. n. 826 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che, secondo quanto riferito dal rimettente, nel giudizio principale si procede per un fatto di lesioni personali (art. 582 cod. pen.), commesso il 15 luglio 2003, e la difesa dell’imputato ha sollecitato una declaratoria di estinzione del reato, essendo decorso, anche nell’estensione prorogata, il termine prescrizionale fissato dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen.;

che, secondo il giudice a quo, tale ultima norma non sarebbe riferibile ai reati di competenza del giudice di pace, giacché, altrimenti, si perverrebbe all’assurdo della configurazione di un termine prescrizionale inferiore a quello ordinario proprio per i delitti più gravi tra quelli rimessi alla competenza dello stesso giudice di pace;

che, inoltre, le pene della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità sono, per «ogni effetto giuridico», equiparate alle sanzioni detentive comuni secondo il disposto dell’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000;

che il rimettente prosegue osservando come, poiché le pene cosiddette paradetentive sono applicabili in alternativa a quelle pecuniarie, la commisurazione del termine prescrizionale verrebbe fatta dipendere «non da una pena astrattamente prevista, ma dalla possibilità dell’applicazione di una sanzione che, in concreto, può anche non essere applicata»;

che peraltro, secondo il giudice a quo, «quanto sopra» implicherebbe una lesione dei principi di ragionevolezza e uguaglianza, e dunque la questione sollevata sarebbe rilevante e non manifestamente infondata;

che il Giudice di pace di Bergamo, con ordinanza dell’11 luglio 2007 (r.o. n. 838 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;

che nel giudizio a quo si procede nei confronti di persona accusata dei reati di lesioni personali (art. 582 cod. pen.) e minaccia (art. 612 cod. pen.), commessi l’11 aprile 2003;

che, secondo il rimettente, con il riformato quinto comma dell’art. 157 cod. pen., il legislatore avrebbe inteso riferirsi agli illeciti di competenza del giudice di pace per i quali siano comminate le cosiddette sanzioni paradetentive, cioè né detentive né pecuniarie, posto che, «se diversamente intesa, la norma risulterebbe inapplicabile, in quanto priva di qualsivoglia concreto riferimento»;

che la disposizione censurata, inoltre, si applicherebbe anche nei casi in cui la sanzione «diversa» sia comminata in alternativa a quella pecuniaria, essendo comunque compresa nella previsione edittale;

che il giudice a quo, poste tali premesse, osserva come, per i reati di competenza del giudice di pace puniti unicamente con la sanzione pecuniaria, il termine prescrizionale sia pari a quattro anni o addirittura a sei (a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti), mentre gli illeciti più gravi, per i quali è applicabile anche (o solo) una sanzione coercitiva della libertà personale (ancorché non detentiva), sarebbero suscettibili di estinzione nell’arco di un triennio;

che tale disciplina sarebbe irrazionale e darebbe luogo a palesi disparità di trattamento, anche con riferimento a sequenze criminose di progressione nell’offesa ad un medesimo bene, poiché, ad esempio, le percosse recate senza ferire la persona offesa (art. 581 cod. pen.) sarebbero suscettibili di prescrizione in sei anni, ed invece, per la causazione di lesioni personali lievi (punibili anche con la permanenza domiciliare o il lavoro sostitutivo, a norma dell’art. 582 cod. pen.), il termine per l’estinzione del reato scenderebbe a tre anni;

che l’irrazionalità della disciplina, secondo il giudice a quo, dovrebbe essere eliminata attraverso una parificazione dei termini prescrizionali per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, in particolare estendendo a tutti la previsione del quinto comma dell’art. 157 cod. pen., posto che l’allineamento del termine sui valori meno elevati sarebbe congruo con il sistema di «diritto mite» che caratterizza, appunto, la giurisdizione penale di pace;

che la questione sollevata sarebbe rilevante nel caso di specie, ove il più grave dei reati contestati risulterebbe già prescritto, mentre quello meno grave si estinguerebbe, appunto, in caso di dichiarata illegittimità della norma censurata;

che il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, sezione distaccata di Milazzo, con ordinanza del 25 settembre 2007 (r.o. n. 28 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che nel giudizio principale si procede per un reato non indicato dal rimettente, il quale peraltro assume trattarsi di fattispecie punibile con sanzione «paradetentiva», e dunque suscettibile di estinzione per prescrizione, in base alla disposizione censurata, entro il termine di tre anni, nella specie già decorso;

che il giudice a quo, ribadita la pertinenza della norma censurata ai reati punibili con la permanenza domiciliare od il lavoro di pubblica utilità, prospetta una violazione del principio di uguaglianza, poiché il responsabile dei reati più gravi, tra quelli rimessi alla competenza del giudice di pace, sarebbe trattato più benevolmente di colui che ponga in essere condotte criminose meno rilevanti;

che il Giudice di pace di Forlì, con ordinanza del 10 luglio 2007 (r.o. n. 29 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che il rimettente – dando atto di provvedere a seguito di «eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dalla difesa dell’imputato», senza fornire indicazioni circa l’epoca e la natura del reato contestato – osserva come la previsione del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. sembri ineluttabilmente riferirsi ai reati punibili con le pene della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità;

che la citata previsione, di conseguenza, introdurrebbe una irrazionale disciplina della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace, perché i più gravi (sanzionabili anche con le pene «paradetentive») si estinguerebbero in tre anni, mentre gli altri, meno rilevanti, si estinguerebbero nei termini più ampi di cui al primo comma del citato art. 157 cod. pen.;

che il Tribunale di Parma, con ordinanza del 19 settembre 2007 (r.o. n. 31 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che il rimettente – nel procedimento di appello a carico di persona condannata per i reati di ingiuria (art. 594 cod. pen.), minaccia (art. 612 cod. pen.) e lesioni personali (art. 582 cod. pen.) – riferisce di come la difesa dell’imputato abbia sollevato questione di legittimità costituzionale del quinto comma dell’art. 157 cod. pen., nella parte in cui non prevede un termine triennale di prescrizione anche per i reati che, rimessi alla competenza del giudice di pace, siano punibili con la sola pena pecuniaria;

che in effetti, secondo il giudice a quo, il trattamento differenziato per la prescrizione, nell’ambito dei reati affidati alla competenza del giudice di pace, comporterebbe una violazione dell’art. 3 Cost.;

che proprio il caso di specie darebbe evidente dimostrazione dell’assunto, posto che per il più grave tra i reati in contestazione, dato l’univoco disposto del quinto comma dell’art. 157 cod. pen., si sarebbe già determinata l’estinzione per prescrizione, e che le fattispecie meno gravi, in quanto punite con le sole pene pecuniarie, sarebbero tuttora perseguibili, non essendo maturato il termine ordinario di cui al primo comma dello stesso art. 157 cod. pen.;

che il paradosso sarebbe ancora più marcato in altre situazioni, come quella del reato di ingiuria, che sarebbe suscettibile di prescrizione più rapida nella forma aggravata che in quella semplice;

che peraltro – osserva il giudice a quo – l’aporia dovrebbe essere risolta nel senso esattamente opposto a quello invocato nell’eccezione prospettata dalla difesa, e cioè eliminando il trattamento di maggior favore per i reati puniti con sanzione diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che la contraria soluzione, infatti, determinerebbe ulteriori disarmonie, rendendo prescrittibili i delitti di competenza del giudice di pace più velocemente di quanto non sia per le contravvenzioni conosciute dal giudice ordinario, e ciò sebbene le contravvenzioni costituiscano, «per definizione», reati meno gravi dei delitti;

che il Giudice di pace di Palermo, con ordinanza del 7 novembre 2007 (r.o. n. 44 del 2008), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, cod. pen. – come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, e «con riferimento» all’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000 – nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;

che il rimettente procede per un reato di lesioni personali (art. 582, secondo comma, cod. pen.), commesso il 22 luglio 2003, per il quale ritiene possano irrogarsi le sanzioni della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità, «con l’applicabilità del termine prescrizionale di anni tre»;

che peraltro lo stesso rimettente, richiamando l’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, ove è disposta la parificazione delle cosiddette sanzioni paradetentive alle pene detentive della specie corrispondente a quella originaria, assume che i reati punibili con la permanenza domiciliare od il lavoro di pubblica utilità si prescriverebbero nei termini indicati al primo comma dell’art. 157 cod. pen., cioè sei anni per i delitti e quattro anni per le contravvenzioni;

che, nel prosieguo dell’ordinanza, il giudice a quo ribadisce che la legge stabilirebbe termini di prescrizione differenziati per i reati di competenza del giudice di pace, a seconda che siano punibili con la sola pena pecuniaria o con pene diverse, e che, per il reato in contestazione, il termine sarebbe pari a tre anni, salva l’eventuale proroga a seguito di interruzione della decorrenza;

che pertanto sarebbe rilevante, oltre che non manifestamente infondata, una questione di legittimità sollevata al fine di indurre una «estensione» del termine triennale di prescrizione a tutti i reati di competenza del giudice di pace;

che il Tribunale di Pavia, con ordinanza del 6 novembre 2007 (r.o. n. 92 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che il rimettente procede quale giudice di appello nei confronti di persone condannate per un reato continuato di «lesioni e ingiurie», commesso il 30 maggio 2003;

che il giudice a quo, rilevata a seguito di eccezione difensiva l’intervenuta scadenza del termine triennale di prescrizione posto dal quinto comma dell’art. 157 cod. pen., esprime il dubbio che tale ultima norma attui una scelta legislativa irrazionale;

che non potrebbe negarsi, in particolare, la pertinenza ai reati di competenza del giudice di pace – quando punibili con le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità – del riferimento legislativo alle pene diverse da quelle detentive e pecuniarie;

che la disposizione censurata, dunque, indurrebbe il paradosso di un termine prescrizionale più breve di quello ordinario proprio per i reati che, in ragione della pena comminata, devono considerarsi più gravi all’interno del genus circoscritto dalla competenza del giudice onorario;

che la disposizione censurata sarebbe irrazionale – a parere del giudice a quo – anche in ragione del fatto che detta una disciplina derogatoria in base ad un trattamento sanzionatorio la cui applicazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, «cosicché la commisurazione del termine […] viene fatta dipendere non da una pena astrattamente prevista e quindi di certa applicazione ma dalla mera possibilità eventuale di irrogazione di una sanzione paradetentiva»;

che il Giudice di pace di Bergamo, con ordinanza del 12 ottobre 2007 (r.o. n. 139 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace;

che nel giudizio a quo si procede nei confronti di persona accusata dei reati di ingiuria (art. 694 cod. pen.) e minaccia (art. 612 cod. pen.);

che, secondo il rimettente, nonostante l’istanza difensiva volta ad una declaratoria di estinzione dei reati contestati, sarebbero applicabili nella specie i termini, non ancora decorsi, di cui al primo comma dell’art. 157 cod. pen., trattandosi di fatti puniti esclusivamente con pena pecuniaria;

che il giudice a quo prospetta l’irrazionalità della disciplina vigente, che consentirebbe la più rapida estinzione dei più gravi tra i reati rimessi alla competenza del giudice di pace, riservando un trattamento più severo ai fatti di minor gravità;

che tale irrazionalità, secondo il rimettente, andrebbe eliminata estendendo il termine triennale a tutti i reati di competenza del giudice onorario;

che, sollevata in tal senso, la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, perché solo una pronuncia di accoglimento implicherebbe una declaratoria di estinzione dei reati contestati;

che il Giudice di pace di Bergamo, con ordinanza del 9 novembre 2007 (r.o. n. 140 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che il rimettente – investito della richiesta difensiva di dichiarare prescritto, a norma del quinto comma dell’art. 157 cod. pen., il contestato delitto di lesioni personali (art. 582 cod. pen.) – osserva come l’art. 52 del d.lgs. n. 274 del 2000 istituisca una sorta di summa divisio tra i reati già puniti con la multa e l’ammenda, per i quali continuano ad applicarsi le pene previgenti, e gli ulteriori reati trasferiti alla competenza del giudice di pace, per i quali sono state introdotte pene diverse in luogo di quelle detentive o pecuniarie;

che la disciplina risultante dalle disposizioni contenute nel primo e nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen., attribuendo un termine prescrizionale più breve ai reati puniti con le cosiddette pene paradetentive, sarebbe priva di razionalità intrinseca e tale da vulnerare, nel contempo, il principio di ragionevolezza ed il canone dell’uguaglianza, presidiati dall’art. 3 Cost.;

che il Giudice di pace di Bergamo, con ordinanza del 9 novembre 2007 (r.o. n. 141 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che nel giudizio a quo si procede per i reati di percosse (art. 581 cod. pen.) ed ingiuria (art. 594 cod. pen.), in ordine ai quali è intervenuta richiesta difensiva per una declaratoria di estinzione ai sensi dell’art. 157, quinto comma, cod. pen.;

che l’ordinanza di rimessione replica gli argomenti esposti dal medesimo rimettente con un provvedimento di analogo tenore, già sopra illustrato (r.o. n. 140 del 2008);

che il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, sezione distaccata di Milazzo, con ordinanza del 4 ottobre 2007 (r.o. n. 148 del 2008), ha sollevato – in riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria;

che nel giudizio principale si procede per un reato non indicato dal rimettente, il quale precisa soltanto trattarsi di fattispecie punibile con sanzione cosiddetta paradetentiva, e dunque – a suo avviso – suscettibile di estinzione per prescrizione, in base alla disposizione censurata, entro il termine di tre anni, nella specie già decorso;

che l’ordinanza di rimessione è analoga ad altra deliberata dal medesimo rimettente, già sopra illustrata (r.o. n. 28 del 2008);

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto, con atti di identico tenore, in parte dei giudizi fin qui indicati (r.o. numeri 738, 777, 788, 791, 816, 826 e 838 del 2007, numeri 44, 92, 139 e 141 del 2008);

che, secondo la difesa erariale, le questioni sollevate sarebbero infondate;

che, infatti, il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. si riferirebbe a tutti i reati di competenza del giudice di pace, compresi quelli puniti con la sola sanzione pecuniaria, e che dunque non sussisterebbe, nel relativo ambito, alcuna irrazionale difformità di trattamento.

Considerato che, mediante le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe, sono state sollevate varie questioni concernenti la disciplina della prescrizione per i reati attributi alla competenza del giudice di pace;

che il Giudice di pace di Napoli Barra censura in particolare – con riferimento all’art. 3 della Costituzione – il primo comma dell’art. 157 del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui assoggetta ai più lunghi termini di prescrizione in esso previsti, anziché ad un termine triennale, i reati di competenza del giudice di pace puniti con la sola pena pecuniaria (r.o. n. 791 del 2007);

che altri rimettenti censurano, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., il quinto comma dell’art. 157 cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace (r.o. numeri 738, 777 e 838 del 2007, n. 139 del 2008);

che viene sollevata, sempre con riguardo all’art. 3 Cost., una questione di legittimità riferita tanto al primo che al quinto comma dell’art. 157 cod. pen, come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, prospettandone l’irragionevolezza nella parte in cui non dispongono che il termine triennale di prescrizione previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria si applichi, inoltre, a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace (r.o. n. 44 del 2008);

che una parte ulteriore delle ordinanze di rimessione – sul contrario assunto che l’allineamento dei tempi di prescrizione (asseritamente necessario alla luce dell’art. 3 Cost.) dovrebbe realizzarsi mediante l’applicazione generalizzata dei termini più lunghi – prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria (r.o. numeri 767, 788 e 826 del 2007, numeri 28, 29, 31, 92, 140, 141 e 148 del 2008);

che, infine, il Tribunale di Napoli solleva, con riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, per la «inspiegabile» riduzione a tre anni del termine di prescrizione per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria (r.o. n. 816 del 2007);

che tutte le questioni sollevate riguardano l’attuale disciplina della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace, cosicché appare opportuna la riunione dei relativi giudizi;

che la questione sollevata dal Giudice di pace di Città di Castello (r.o. n. 738 del 2007), relativamente al novellato quinto comma dell’art. 157 cod. pen., è manifestamente inammissibile, posto che l’ordinanza di rimessione è priva di qualunque descrizione del fatto sottoposto a giudizio, e manca del tutto di motivazione quanto alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza della censura prospettata dal rimettente (ex multis, ordinanza n. 381 del 2008);

che anche la questione sollevata dal Tribunale di Rossano (r.o. n. 767 del 2007), sempre con riguardo al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., è manifestamente inammissibile;

che il rimettente, infatti, assume l’applicabilità nel caso di specie del più lungo termine prescrizionale fissato dal primo comma dell’art. 157 cod. pen., e sollecita, al tempo stesso, una pronuncia che dovrebbe estendere il medesimo termine ad altri reati di competenza del giudice di pace, mediante l’ablazione della norma che prevede un trattamento più favorevole per i fatti puniti con pene diverse da quelle detentive o pecuniarie;

che in tali condizioni, e nell’assenza di spunti motivazionali utili allo scopo, non è data la possibilità di stabilire quale sia, nel giudizio a quo, la rilevanza della questione sollevata;

che va dichiarata, ancora, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale proposta dal Giudice di pace di Foggia (r.o. n. 788 del 2007), sempre con riguardo al quinto comma dell’art. 157 cod. pen.;

che si riscontra infatti, per un verso, una discordanza tra le indicazioni del rimettente sulla qualificazione dei fatti contestati e l’assunto che, per tutti i reati  in questione, sarebbe applicabile il termine triennale di prescrizione fissato dalla norma censurata;

che, per altro verso, la questione è motivata in termini contraddittori, poiché il rimettente muove dall’assunto che la norma censurata si riferirebbe proprio ai reati di competenza del giudice di pace sanzionabili con le pene «paradetentive» e conclude, però, con osservazioni utili solo a giustificare la conclusione opposta (ex multis, ordinanza n. 207 del 2008);

che analogo giudizio di manifesta inammissibilità deve formularsi anche per la questione sollevata dal Tribunale di Napoli (r.o. n. 816 del 2007), con riguardo al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., posto che l’ordinanza di rimessione manca dell’indicazione dei reati per cui si procede ed è priva tanto di un’adeguata specificazione del petitum quanto della necessaria motivazione in punto di rilevanza;

che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di pace di Torino (r.o. n. 826 del 2007), sempre con riferimento al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., è manifestamente inammissibile per la palese contraddizione tra il presupposto interpretativo del giudizio di rilevanza, cioè l’applicabilità del termine prescrizionale breve al reato contestato, e la motivazione sviluppata dal rimettente, interamente volta a negare la riferibilità della norma censurata ai reati di competenza del giudice di pace;

che va dichiarata la manifesta inammissibilità di due ulteriori questioni concernenti il quinto comma dell’art. 157 cod. pen., sollevate dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, sezione distaccata di Milazzo (r.o. numeri 28 e 148 del 2008), con ordinanze di analogo tenore;

che il rimettente, infatti, non ha descritto adeguatamente le fattispecie sottoposte al suo giudizio, omettendo di indicare finanche il titolo dei reati in contestazione, così da precludere la verifica,  ad opera di questa Corte, circa la rilevanza della questione sollevata;

che per ragioni analoghe risulta manifestamente inammissibile la questione sollevata – relativamente al quinto comma dell’art. 157 cod. pen. – dal Giudice di pace di Forlì (r.o. n. 29 del 2008), posto che l’ordinanza di rimessione, ove non è indicata la qualificazione giuridica dei fatti contestati, difetta tra l’altro di ogni motivazione in punto di rilevanza;

che anche la questione sollevata dal Giudice di pace di Palermo (r.o. n. 44 del 2008), con riguardo al primo ed al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., e «con riferimento» all’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, deve essere definita nel senso della manifesta inammissibilità;

che il rimettente, infatti, ritiene applicabile alla fattispecie per cui procede il termine prescrizionale «breve» fissato nel quinto comma della norma censurata, e formula un petitum mirato ad estendere lo stesso termine con riguardo a tutti i reati di competenza del giudice di pace, così palesando – pur nel contesto d’una carente descrizione del fatto – l’irrilevanza nel giudizio a quo della questione sollevata;

che sono manifestamente inammissibili, infine, anche le questioni sollevate dal Giudice di pace di Bergamo, relativamente al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., con due ordinanze di identico tenore (r.o. numeri 140 e 141 del 2008), posto che detti provvedimenti difettano d’una qualunque descrizione delle fattispecie concrete (a partire dalla data di commissione dei fatti perseguiti), così da precludere il necessario controllo di questa Corte sulla rilevanza delle questioni medesime;

che le ulteriori questioni di legittimità costituzionale cui si riferisce il presente giudizio – sollevate, rispettivamente, dal Giudice di pace di Cuneo (r.o. n. 777 del 2007), dal Giudice di pace di Napoli Barra (r.o. n. 791 del 2007), dal Giudice di pace di Bergamo (r.o. n. 838 del 2007 e n. 139 del 2008), dal Tribunale di Parma (r.o. n. 31 del 2008), dal Tribunale di Pavia (r.o. n. 92 del 2008) – sono manifestamente infondate, in quanto prospettate in base ad un erroneo presupposto interpretativo;

che infatti – come questa Corte ha chiarito, dichiarando non fondate «nei sensi di cui in motivazione» questioni analoghe a quelle odierne, poste sia con riguardo al primo sia con riferimento al quinto comma dell’art. 157 cod. pen.(sentenza n. 2 del 2008) – deve essere esclusa l’attuale vigenza di un termine triennale di prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace punibili mediante le cosiddette sanzioni paradetentive;

che con la citata pronuncia è stata esclusa, in particolare, la riferibilità della norma contenuta nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen. a fattispecie incriminatrici che non prevedano in via diretta ed esclusiva pene diverse da quelle pecuniarie o detentive, ed è stata altresì rilevata la perdurante equiparazione, «per ogni effetto giuridico», tra le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile, irrogabili dal giudice di pace in alternativa alle pene pecuniarie, e le sanzioni detentive originariamente previste per i reati che le contemplano (art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000);

che l’opzione appena descritta è stata confermata, da questa Corte, in occasione del vaglio di ulteriori questioni sollevate con riguardo alla disciplina della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace (ordinanze numeri 223 e 381 del 2008);

che non si rinvengono, nella motivazione dei provvedimenti all’origine del presente giudizio, argomenti che inducano a modificare le valutazioni appena richiamate;

che la ritenuta applicabilità delle disposizioni previste nel primo comma dell’art. 157 cod. pen. a tutti i reati di competenza del giudice di pace esclude l’incongrua diversità di trattamento denunciata da ciascuno dei rimettenti.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Città di Castello (r.o. n. 738 del 2007), dal Tribunale di Rossano (r.o. n. 767 del 2007), dal Giudice di pace di Foggia (r.o. n. 788 del 2007), dal Tribunale di Napoli (r.o. n. 816 del 2007), dal Giudice di pace di Torino (r.o. n. 826 del 2007), dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, sezione distaccata di Milazzo (r.o. numeri 28 e 148 del 2008), dal Giudice di pace di Forlì (r.o. n. 29 del 2008) e dal Giudice di pace di Bergamo (r.o. numeri 140 e 141 del 2008) con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice di pace di Palermo (r.o. n. 44 del 2008), con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice di pace di Cuneo (r.o. n. 777 del 2007), dal Giudice di pace di Bergamo (r.o. n. 838 del 2007 e n. 139 del 2008), dal Tribunale di Parma (r.o. n. 31 del 2008) e dal Tribunale di Pavia (r.o. n. 92 del 2008), con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Napoli Barra (r.o. n. 791 del 2007), con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2008.