Ordinanza n. 364 del 2008

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ORDINANZA N. 364

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Giovanni Maria             FLICK                            Presidente

-  Francesco                   AMIRANTE                     Giudice

-  Ugo                                     DE SIERVO                          “

-  Paolo                          MADDALENA                       “

-  Alfio                            FINOCCHIARO                    “

-  Alfonso                       QUARANTA                                   “

-  Franco                        GALLO                                 “

-  Luigi                            MAZZELLA                          “

-  Gaetano                      SILVESTRI                           “

-  Sabino                        CASSESE                             “

-  Maria Rita                   SAULLE                               “

-  Giuseppe                     TESAURO                             “

-  Paolo Maria                 NAPOLITANO                      “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo risultante dalla sostituzione del primo comma ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei Decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), e quale interpretato autenticamente dall’art. 3, comma 41, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso con ordinanza depositata il 23 novembre 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza, nel giudizio vertente tra Marcello Deietti e Concessionario E.TR. Esazione Tributi s.p.a., iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 8 ottobre 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del preavviso del fermo amministrativo dell’autovettura di un contribuente – preavviso notificato il 28 dicembre 2005 ed emesso dalla competente società concessionaria per la riscossione dei tributi, in relazione al mancato pagamento di tre cartelle di pagamento del canone RAI e della TARSU, per un credito complessivo di € 846,34 –, la Commissione tributaria provinciale di Cosenza, con ordinanza depositata il 23 novembre 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo risultante dalla sostituzione del primo comma ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei Decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), e quale interpretato autenticamente dall’art. 3, comma 41, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, nella parte in cui: a) non fissa criteri e limiti ai poteri del concessionario della riscossione in ordine all’adozione del provvedimento di fermo di beni mobili registrati; b) non prevede che detto provvedimento sia motivato con riferimento alla sussistenza del fondato timore di perdere la garanzia del credito ovvero alla necessità, in relazione alla consistenza patrimoniale del contribuente, di emetterlo;

che la Commissione rimettente preliminarmente osserva che la resistente società concessionaria per la riscossione ha provato in giudizio l’avvenuta notificazione di almeno due delle tre cartelle di pagamento poste a base del preavviso di fermo, mentre il contribuente non ha dimostrato di aver effettuato il pagamento relativo a dette cartelle;

che, secondo il medesimo rimettente, sono infondate tutte le censure proposte dal ricorrente avverso il provvedimento impugnato e cioè: a) l’eccepita decadenza della resistente dal potere di riscossione, per la tardiva iscrizione a ruolo del credito tributario; b) la dedotta illegittimità del fermo per la mancata preventiva notificazione dell’avviso previsto dall’art. 50, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973; c) l’eccepita prescrizione dei crediti fatti valere dalla suddetta concessionaria;

che, in particolare, detta Commissione afferma che: a) la denunciata decadenza non sussiste, perché attiene ad una «fase di competenza dell’ente impositore», non evocato in giudizio; b) la notifica del citato avviso di cui all’art. 50, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973 è «necessaria solo prima che si inizi la fase della espropriazione forzata in senso proprio»; c) i crediti fatti valere dalla concessionaria non sono prescritti, «non essendo decorso il termine di prescrizione decennale dalla notifica delle cartelle di pagamento»;

che, quanto al giudizio principale, la medesima Commissione afferma, altresì, che: a) l’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – nel modificare l’art. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 – ha attribuito alla giurisdizione del giudice tributario la cognizione delle controversie concernenti il fermo sui mobili registrati, quale delineato dalle ultime modifiche legislative di tale istituto; b) pur risultando infondati i motivi del ricorso e «sussistenti i presupposti formali per l’adozione del provvedimento» di fermo, «va […] esaminata la questione relativa alla legittimità del fermo in sé»;

che, su queste premesse, il giudice rimettente afferma, quanto alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, che la norma censurata víola: a) gli artt. 3 e 97 Cost., perché il provvedimento di fermo: a.1) può essere disposto dal concessionario anche per crediti «assolutamente irrisori», come nella specie (€ 846,34), posto che l’art. 12-bis del «d.lgs. n. 46/1999» (recte: d.P.R. n. 602 del 1973, articolo introdotto dall’art. 4 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, recante «Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo1 della legge 28 settembre 1998, n. 337») vieta l’iscrizione a ruolo solo dei crediti inferiori a lire 20.000 (corrispondenti a € 10,33); a.2) non deve essere motivato in ordine al fumus boni iuris ed al periculum in mora; a.3) non è sottoposto ad alcun preventivo vaglio giurisdizionale di ammissibilità, a differenza delle ipotesi di ipoteca e sequestro conservativo previste dall’art. «11» (recte: 22) del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in materia di sanzioni amministrative tributarie; a.4) è rimesso all’assoluta ed insindacabile discrezionalità del concessionario, cosí da rendere possibile, in concreto, una ingiustificata disparità di trattamento di casi analoghi; a.5) non è soggetto ad un termine finale di efficacia, potendo essere emesso dopo l’inutile decorso del termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento (tramite il richiamo, contenuto nel primo comma del denunciato art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, al primo comma dell’art. 50 dello stesso decreto) e potendo conservare la sua efficacia, nelle more, anche se «l’esecuzione sia iniziata negli ordinari termini di prescrizione del titolo»; b) l’art. 111 Cost., perché, non consentendo alcun sindacato in ordine alla legittimità sostanziale del provvedimento di fermo (provvedimento che, pure, «comporta gravi limitazioni di diritti costituzionalmente protetti per il contribuente»), si pone in contrasto con il principio della parità delle armi nel processo; c) l’art. 24 Cost., perché – a differenza dell’art. 496 del codice di procedura civile, il quale prevede la riducibilità del pignoramento quando il valore del bene pignorato superi l’importo del credito per cui si procede e delle spese – non consente la riduzione del fermo quando l’importo del credito sia manifestamente sproporzionato, per difetto, al valore del bene mobile registrato assoggettato al fermo; d) gli artt. 4 e 41 Cost., perché, l’iscrizione del fermo su un veicolo, comportando l’assoluta indisponibilità, anche «di fatto», del bene (data la confisca e la sanzione amministrativa previste, per il caso di circolazione del veicolo sottoposto a fermo, dall’art. 214, comma 8, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, recante il «Nuovo codice della strada»), incide irragionevolmente, «non essendo previsto alcun rapporto di proporzionalità», sulla sfera di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente, «quali il diritto al lavoro ed alla libera iniziativa economica»;

che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che, in difetto dell’accoglimento delle sollevate questioni, «del tutto legittimo sotto il profilo formale si appaleserebbe il provvedimento del concessionario», «avendo il concessionario dimostrato pienamente l’avvenuta notifica di almeno due delle cartelle di pagamento poste a base del provvedimento impugnato»;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;

che, secondo la difesa erariale, le questioni sono inammissibili per manifesta irrilevanza, attenendo a profili estranei al thema decidendum, «essendo precluso, in materia, un sindacato ex officio sul provvedimento»;

che, nel merito, sempre per la difesa erariale, le questioni sono manifestamente infondate, perché il provvedimento di fermo dei beni mobili registrati: a) è atto funzionale all’espropriazione forzata (viene citata la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 2053 del 2006) e, pertanto, i suoi limiti quantitativi e temporali di efficacia trovano rispondenza nell’entità del credito e nella durata dell’inadempimento; b) è soggetto al pieno sindacato giurisdizionale, nelle forme dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, come previsto dall’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 (vengono citate, oltre alla già menzionata sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, le ordinanze della Corte costituzionale n. 297 e n. 161 del 2007);

che, sempre sul merito delle questioni, l’Avvocatura Generale osserva che: a) la riduzione del fermo, auspicata dal rimettente, non è tecnicamente possibile, posto che «l’autovettura o circola o non circola»; b) per tornare nella piena disponibilità del veicolo è sufficiente il pagamento del debito.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Cosenza dubita, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97 e 111 della Costituzione, della legittimità dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) – nel testo risultante dalla sostituzione del primo comma ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei Decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), e quale interpretato autenticamente dall’art. 3, comma 41, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 –, nella parte in cui: a) non fissa criteri e limiti ai poteri del concessionario della riscossione in ordine all’adozione del provvedimento di fermo di beni mobili registrati; b) non prevede che detto provvedimento sia motivato con riferimento alla sussistenza del fondato timore di perdere la garanzia del credito ovvero alla necessità, in relazione alla consistenza patrimoniale del contribuente, di emetterlo;

che, in particolare, ad avviso del rimettente, la norma censurata víola gli artt. 3 e 97 Cost., perché il provvedimento di fermo: può essere disposto dal concessionario anche per crediti «assolutamente irrisori»; non deve essere motivato in ordine al fumus boni iuris ed al periculum in mora; non è sottoposto ad alcun preventivo vaglio giurisdizionale di ammissibilità; è rimesso all’assoluta ed insindacabile discrezionalità del concessionario, cosí da rendere possibile, in concreto, una ingiustificata disparità di trattamento di casi analoghi; non è soggetto ad un termine finale di efficacia;

che, sempre ad avviso del rimettente, la norma censurata víola altresì: a) l’art. 111 Cost., perché, non consentendo alcun sindacato in ordine alla legittimità sostanziale del provvedimento, si pone in contrasto con il principio della parità delle armi nel processo; b) l’art. 24 Cost., perché – a differenza dell’art. 496 del codice di procedura civile – non consente la riduzione del fermo quando l’importo del credito sia manifestamente sproporzionato, per difetto, al valore del bene mobile registrato assoggettato al fermo; c) gli artt. 4 e 41 Cost., perché, l’iscrizione del fermo su un veicolo, comportando l’assoluta indisponibilità del bene (date la confisca e la sanzione amministrativa previste, per il caso di circolazione del veicolo sottoposto a fermo, dall’art. 214, comma 8, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, recante il «Nuovo codice della strada»), incide irragionevolmente sulla sfera di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente, «quali il diritto al lavoro ed alla libera iniziativa economica»;

che tali questioni sono manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza nel giudizio a quo e, comunque, per difetto di motivazione in ordine alle ragioni per le quali profili di illegittimità dell’impugnato provvedimento di fermo non prospettati dalle parti rientrebbero nel thema decidendum del giudizio principale;

che, infatti, secondo quanto si evince dal testo dell’ordinanza di rimessione, l’oggetto del giudizio principale attiene alla legittimità del provvedimento del fermo sotto i soli profili: a) della decadenza del Concessionario dal potere di riscossione per la tardiva iscrizione a ruolo del credito tributario; b) della mancata preventiva notificazione dell’avviso previsto dall’art. 50, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973; c) della prescrizione dei crediti fatti valere dal suddetto Concessionario;

che, tuttavia, la medesima Commissione tributaria rimettente ritiene non fondate tali censure;

che, pertanto, esulano dalla prospettazione del ricorrente nel giudizio principale tutti i profili in relazione ai quali il giudice a quo ha sollevato d’ufficio questioni di legittimità costituzionale, e cioè, come già sopra visto: a) l’arbitrio del concessionario nel disporre la misura; b) l’omessa previsione legislativa di un obbligo di motivazione della misura medesima; c) la mancata previsione di un preventivo vaglio giurisdizionale della stessa; d) l’omessa previsione di un termine finale di efficacia del fermo; e) la lesione del diritto di difesa del contribuente; f) la lesione, ad opera dell’iscrizione del fermo su un veicolo, di ulteriori diritti costituzionalmente garantiti del contribuente medesimo;

che l’invocata dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma oggetto di censura non può avere alcuna incidenza nel giudizio a quo, dovendo essa essere pronunciata con riferimento a circostanze, quali quelle sopra menzionate, che risultano estranee al thema decidendum del giudizio principale (ex plurimis, ordinanza n. 149 del 2006).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo risultante dalla sostituzione del primo comma ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei Decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), e quale interpretato autenticamente dall’art. 3, comma 41, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97 e 111 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2008.