Ordinanza n. 267 del 2008

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ORDINANZA N. 267

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco          BILE         Presidente

- Giovanni Maria  FLICK          Giudice

- Francesco       AMIRANTE          "

- Ugo             DE SIERVO         "

- Paolo           MADDALENA         "

- Alfio           FINOCCHIARO       "

- Alfonso         QUARANTA          "

- Franco          GALLO             "

- Luigi           MAZZELLA          "

- Gaetano         SILVESTRI         "

- Sabino          CASSESE           "

- Maria Rita      SAULLE            "

- Giuseppe        TESAURO           "

- Paolo Maria     NAPOLITANO        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 294 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 6 settembre 2007 dal Tribunale di Napoli, sezione per il riesame, iscritta al n. 837 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2008.

      Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

      udito nella camera di consiglio dell'11 giugno 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

    Ritenuto che il Tribunale di Napoli, sezione per le impugnazioni dei provvedimenti cautelari, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 294 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'obbligo di interrogare la persona nei cui confronti sia stato disposto l'aggravamento della misura cautelare, ai sensi del precedente art. 276, comma 1, nella fase compresa tra la pronuncia della sentenza di primo grado e l'inizio del giudizio di appello;

    che dinanzi al rimettente è impugnata l'ordinanza con la quale la Corte d'appello di Napoli ha respinto l'istanza, presentata dalla difesa dell'imputato, di declaratoria dell'inefficacia - per mancato espletamento dell'interrogatorio di garanzia - della misura della custodia cautelare in carcere, disposta ai sensi dell'art. 276, comma 1, cod. proc. pen., a seguito di trasgressione delle prescrizioni inerenti l'originaria misura degli arresti domiciliari;

    che l'aggravamento della misura, precisa il rimettente, era stato disposto dal giudice di primo grado, dopo la pronuncia della sentenza di condanna e prima della trasmissione degli atti alla Corte d'appello per il giudizio di gravame;

    che, riferisce ancora il giudice a quo, in sede di appello cautelare la difesa dell'imputato ha contestato, tra l'altro, il presupposto sul quale è motivato il rigetto dell'istanza de libertate, e cioè che, trattandosi di misura cautelare disposta nell'ambito della «procedura sanzionatoria» regolata dall'art. 276 cod. proc. pen., non occorresse procedere ad un successivo interrogatorio di garanzia ai sensi dell'art. 294 cod. proc. pen.;

    che secondo la tesi difensiva occorrerebbe distinguere tra l'ipotesi di aggravamento della misura cautelare prevista dall'art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen. (violazione della prescrizione di non allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari), nella quale l'interrogatorio non sarebbe richiesto, e l'ipotesi di aggravamento disposto ai sensi del comma 1 del medesimo art. 276, nella quale, invece, l'interrogatorio dovrebbe ritenersi prescritto a pena di estinzione della misura;

    che il rimettente condivide l'interpretazione della difesa e ritiene, in linea con il più recente indirizzo della Corte di cassazione (sono richiamate le sentenze 2 ottobre 2006, n. 1600 e 7 aprile 2005, n. 21407), che l'aggravamento disposto ai sensi del comma 1 dell'art. 276 cod. proc. pen. si caratterizza per l'esercizio di un potere «largamente discrezionale» del giudice, non dissimile, sotto il profilo dell'incidenza sulla libertà personale, da quello che connota l'applicazione ex novo di una misura coercitiva, con la conseguenza che l'interessato dovrebbe poter rappresentare immediatamente le proprie ragioni in ordine alla sussistenza e alla rilevanza della trasgressione;

    che da ciò discenderebbe la necessità dell'interrogatorio di garanzia, quale unico strumento idoneo ad assicurare adeguatamente il diritto di difesa, non potendo riconoscersi un valore equivalente ai rimedi impugnatori;

    che, precisata in tal senso l'opzione interpretativa alla base della questione, il rimettente osserva come, nel caso di specie, l'aggravamento della misura sia stato disposto dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e prima della trasmissione degli atti alla corte d'appello, cioè in un momento in cui, secondo l'art. 294 cod. proc. pen., l'interrogatorio di garanzia non era dovuto, in quanto la predetta norma «espressamente limita l'obbligo dell'interrogatorio al momento in cui è dichiarato aperto il dibattimento»;

    che il giudizio principale, di conseguenza, dovrebbe essere definito con il rigetto del gravame;

    che, pertanto, il giudice a quo censura la disposizione contenuta nell'art. 294 cod. proc. pen., ritenendola contrastante con il diritto di difesa, nella parte in cui non impone la verifica immediata, e nella pienezza del contraddittorio, delle condizioni che giustificano il provvedimento di aggravamento;

    che, inoltre, ad avviso del rimettente, la stessa norma si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto riserva un trattamento deteriore al soggetto che, nel periodo compreso tra la conclusione del giudizio di primo grado e l'inizio del giudizio d'appello, subisca la modifica in peius del regime cautelare, ai sensi dell'art. 276, comma 1, cod. proc. pen., rispetto al soggetto che tale aggravamento abbia subito nel periodo intercorrente tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare, ovvero tra la trasmissione degli atti al giudice di primo grado e l'apertura del dibattimento (è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 1999);

    che il rimettente procede, quindi, all'esame dell'ordinanza n. 230 del 2005 della Corte costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità degli artt. 294 e 302 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono l'obbligo dell'interrogatorio di garanzia della persona sottoposta a custodia cautelare «anche dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento», per evidenziare come tale pronuncia, a suo dire, non possa incidere sull'odierna questione;

    che infatti, secondo il giudice a quo, nel caso di specie si discuteva delle garanzie de libertate a fronte di una misura disposta «nel corso del dibattimento», tanto che la Corte avrebbe argomentato l'infondatezza della questione allora sollevata «avuto riguardo alle peculiarità che caratterizzano la fase del dibattimento e alla adeguatezza del livello di garanzie de libertate apprestato in esso dal sistema»;

    che, diversamente, la fattispecie in esame si caratterizza per l'ormai intervenuta definizione del giudizio di primo grado, sicché mancherebbe la possibilità di verificare con immediatezza «sia la legittimità dello status, sia la permanenza delle condizioni che determinarono l'adozione della misura custodiale» (è richiamata ancora la sentenza n. 32 del 1999), essendo tra l'altro inapplicabile la previsione contenuta nell'art. 494 cod. proc. pen., che riconosce all'imputato la facoltà di rendere dichiarazioni in ogni stato del dibattimento;

    che, inoltre, il rimettente pone a raffronto l'ipotesi prevista dall'art. 276, comma 1, cod. proc. pen. e quella prevista dall'art. 275, comma 1-bis, dello stesso codice, che disciplina la misura cautelare emessa «contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna», e per la quale si esclude la necessità dell'interrogatorio di garanzia;

    che tale disciplina, ad avviso del giudice a quo, trova giustificazione proprio in quanto la misura è emessa all'esito del dibattimento, nel quale si realizza quella «coesistenza e assorbimento delle funzioni cautelari in quelle di merito, nel che sta quel valore di "immanenza" richiamato dalla sentenza n. 32 del 1999» (è nuovamente richiamata l'ordinanza n. 230 del 2005), ciò che non avverrebbe nell'ipotesi di aggravamento della misura a seguito di trasgressione, nella quale il giudice che procede esercita esclusivamente le attribuzioni incidentali di natura cautelare di cui all'art. 276 cod. proc. pen.;

    che, peraltro, il riconoscimento della necessità dell'interrogatorio di garanzia, nei termini fin qui prospettati, non incontrerebbe ostacoli di carattere sistematico, atteso che la già affermata eccentricità dell'istituto in esame rispetto alla fase dibattimentale non sussisterebbe «dopo la chiusura della fase in questione e rispetto ad un fatto che non attiene al merito dell'imputazione per cui si procede»;

    che il giudice a quo evidenzia, ancora, che «l'intervallo di tempo intercorrente tra la pronunzia della sentenza di primo grado e l'inizio del giudizio di appello può essere (o meglio, è) caratterizzato da un'estensione maggiore rispetto a quella intercorrente tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare», e sottolinea come identica considerazione, avuto riguardo al tempo intercorrente tra la trasmissione degli atti e l'apertura del dibattimento, sia posta alla base della dichiarazione di illegittimità parziale dell'art. 294 cod. proc. pen. intervenuta con la già richiamata sentenza n. 32 del 1999;

    che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso nel senso dell'inammissibilità o, comunque, dell'infondatezza della questione;

    che, quanto al presupposto interpretativo posto alla base della questione, la difesa erariale richiama il diverso orientamento della Corte di cassazione che esclude la necessità dell'interrogatorio di garanzia in caso di aggravamento della misura cautelare disposto ai sensi dell'art. 276, comma 1, cod. proc. pen. (sono richiamate, tra le altre, le sentenze 21 settembre 2007, n. 37948, 13 dicembre 2006, n. 7394 e 23 novembre 2006, n. 41204), di talché la questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile, risultando irrilevante;

    che, nel merito, l'Avvocatura generale richiama la decisione con la quale la Corte costituzionale ha già affermato che la necessità dell'interrogatorio di garanzia è imposta fino all'apertura del dibattimento (ordinanza n. 230 del 2005);

    che, in particolare, sono richiamati passaggi motivazionali della citata ordinanza n. 230 del 2005, nei quali si trova affermato che il diritto di difesa può ammettere modulazioni differenziate, e che «in particolare, e proprio sul versante dell'interrogatorio di garanzia della persona sottoposta a custodia cautelare è evidente come un simile atto presenti connotazioni ben diverse, non soltanto a seconda dello stadio raggiunto dal procedimento - e con esso dal corrispondente tasso di cristallizzazione dell'accusa e del relativo materiale di prova - ma anche in rapporto alle specifiche attribuzioni del giudice chiamato ad intervenire in quello specifico segmento del procedimento»;

    che pertanto, osserva la difesa erariale, una volta aperto il dibattimento, lo stretto contatto tra giudice ed imputato escluderebbe in radice la necessità dell'interrogatorio di garanzia;

    che, inoltre, pur essendo incontestabile il rilievo del giudice a quo, circa l'assenza di contatto immediato tra giudice e imputato nel lasso di tempo che intercorre tra la pronuncia della sentenza di primo grado e l'apertura del dibattimento di appello, tuttavia, secondo l'Avvocatura generale, la pienezza della cognizione che necessariamente precede la sentenza di condanna renderebbe superfluo lo svolgimento dell'interrogatorio di garanzia, là dove le questioni inerenti all'esistenza, all'entità ed alla eventuale irrilevanza della trasgressione possono essere fatte valere con gli ordinari rimedi impugnatori.

    Considerato che il Tribunale di Napoli, in sede di appello de libertate, solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 294 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'obbligo dell'interrogatorio di garanzia della persona sottoposta ad aggravamento della misura cautelare, ai sensi del precedente art. 276, comma 1, nella fase compresa tra la pronuncia della sentenza di primo grado e l'inizio del giudizio di appello;

    che, pertanto, oggetto di censura è la norma prevista dal comma 1 dell'art. 294 cod. proc. pen.;

    che l'odierno rimettente, con riferimento alla peculiare fattispecie dell'aggravamento di misura cautelare disposto a seguito di trasgressione, vorrebbe che l'obbligo di effettuare l'interrogatorio di garanzia fosse esteso alle fasi successive all'apertura del dibattimento;

    che, nel suo nucleo essenziale, la questione è già stata esaminata da questa Corte, e dichiarata manifestamente infondata con l'ordinanza n. 230 del 2005;

    che nella citata ordinanza è stata affermata la ragionevolezza della scelta legislativa attuata, all'indomani della sentenza n. 32 del 1999, con il decreto-legge 22 febbraio 1999, n. 29 (Nuove disposizioni in materia di competenza della corte d'assise e di interrogatorio di garanzia), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 aprile 1999, n. 109, e la conseguente adeguatezza dei rimedi impugnatori de libertate nella fase successiva all'apertura del dibattimento;

    che, inoltre, il giudice a quo trascura di considerare che l'art. 294, comma 1, cod. proc. pen., contiene una norma fondata sul particolare significato della dichiarazione di apertura del dibattimento, quale momento di inizio effettivo del giudizio di merito, a partire dal quale, «proprio in virtù di quella fisiologica coesistenza e assorbimento delle funzioni cautelari in quelle di merito - nel che sta quel valore di "immanenza" richiamato dalla sentenza n. 32 del 1999 -, si realizza appieno il costante controllo sulla indispensabilità del permanere della misura, che l'interrogatorio [.] dovrebbe - per sé solo - assicurare» (ordinanza n. 230 del 2005);

    che, in tale prospettiva, il limite all'obbligatorietà dell'interrogatorio di garanzia, come previsto dalla norma censurata, non può che trovare applicazione per l'intero corso del processo, essendo allo stesso modo irrilevante che la celebrazione del dibattimento sia diluita nel tempo, ovvero che si versi in una delle possibili situazioni di sospensione, o, ancora, in una delle fasi di passaggio tra i diversi gradi del giudizio;

    che, pertanto, ed a prescindere dalla opzione interpretativa circa la necessità dell'interrogatorio di garanzia nei casi di aggravamento della misura cautelare, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2008.