Ordinanza n. 261 del 2008

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ORDINANZA N. 261

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco             BILE       Presidente

- Giovanni Maria     FLICK        Giudice

- Francesco          AMIRANTE        "

- Ugo                DE SIERVO       "

- Paolo              MADDALENA       "

- Alfio              FINOCCHIARO     "

- Alfonso            QUARANTA        "

- Franco             GALLO           "

- Luigi              MAZZELLA        "

- Gaetano            SILVESTRI       "

- Sabino             CASSESE         "

- Maria Rita         SAULLE          "

- Giuseppe           TESAURO         "

- Paolo Maria        NAPOLITANO      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10 della stessa legge, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze del 2, del 16 maggio e del 26 giugno 2006 dalla Corte d'appello di Ancona, rispettivamente iscritte ai nn. 51, 52 e 55, del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2007.

    Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

    Ritenuto che, con tre ordinanze di identico contenuto (r.o. nn. 51, 52 e 55 del 2007), la Corte d'appello di Ancona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10 della medesima legge, nella parte in cui e scludono il potere di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento in capo al pubblico ministero, rendendo applicabile tale disciplina ai procedimenti in corso;

    che la Corte d'appello rimettente premette di essere investita degli appelli proposti dal pubblico ministero avverso tre sentenze dei Tribunali di Ascoli Piceno, Ancona e Fermo, con le quali è stato dichiarato non doversi procedere per difetto (r.o. nn. 51 e 55 del 2007) e intervenuta remissione di querela (r.o. n. 52 del 2007);

    che - sopravvenuta nelle more la legge n. 46 del 2006, immediatamente applicabile, in forza dell'art. 10, anche ai processi in corso - tali impugnazioni dovrebbero essere dichiarate inammissibili, donde la rilevanza della questione proposta;

    che, nel merito, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza;

    che, infatti, l'organo della pubblica accusa sarebbe privato del potere di appellare le sentenze di proscioglimento sulla base dell'inaccettabile assunto secondo cui, per l'imputato assolto in primo grado, continuerebbe ad esistere sempre, in caso di riforma della sentenza in appello, un "ragionevole dubbio" circa la sua innocenza, così escludendosi a priori la possibilità che la sentenza assolutoria di primo grado possa essere errata;

    che irragionevole si paleserebbe altresì l'estensione del divieto di impugnazione anche alle sentenze di non luogo a procedere emesse ex art. 428 cod. proc. pen., «laddove il patrimonio probatorio valutabile non è neppure definitivamente stabilizzato ed è solo prospetticamente apprezzato»;

    che contraria ai canoni di ragionevolezza sarebbe anche la circostanza che la legge n. 46 del 2006 abbia sottratto al pubblico ministero il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento, mantenendo tuttavia in capo all'organo della pubblica accusa il potere di appellare le sentenze di condanna, in tal modo irragionevolmente «tutelando un interesse processuale di ben minore consistenza»;

    che la norma censurata violerebbe, inoltre, il principio della parità fra le parti, sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost., posto che la soppressione del potere di appello del pubblico ministero - vale a dire l'eliminazione di uno «strumento processuale volto a vedere affermata nel giudizio la pretesa punitiva» - non trova simmetria in una corrispondente riduzione dei poteri dell'imputato, «che invece con la riforma rimane pienamente titolare del potere di impugnare la decisione a lui sfavorevole»;

    che, infine, sarebbe violato anche l'art. 24 Cost., sotto il profilo della lesione dell'interesse delle vittime del reato «ad ottenere giustizia»; interesse indirettamente tutelato dal potere di appello del pubblico ministero.

    Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione - conseguente alla sostituzione dell'art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) - dell'appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero e l'immediata applicabilità di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;

    che, stante l'identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

    che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell'art. 10, comma 2, della stessa legge, «nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore dell a medesima legge è dichiarato inammissibile»;

    che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    ordina la restituzione degli atti alla Corte d'appello di Ancona.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2008.