Ordinanza n. 229 del 2008

 CONSULTA ONLINE 


ORDINANZA N. 229

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                              BILE                                                  Presidente

- Giovanni Maria                FLICK                                               Giudice

- Francesco                         AMIRANTE                                            "

- Ugo                                  DE SIERVO                                            "

- Paolo                                MADDALENA                                       "

- Alfio                                FINOCCHIARO                                     "

- Alfonso                            QUARANTA                                          "

- Franco                              GALLO                                                   "

- Luigi                                MAZZELLA                                           "

- Gaetano                           SILVESTRI                                             "

- Sabino                              CASSESE                                                "

- Maria Rita                        SAULLE                                                  "

- Giuseppe                          TESAURO                                               "

- Paolo Maria                     NAPOLITANO                                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 443, comma 1, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e degli artt. 2 e 10 della stessa legge promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze del 6 aprile 2006 dalla Corte militare d’appello di Napoli, del 19 settembre 2006 dalla Corte d’appello di Torino, del 19 febbraio 2007 dalla Corte d’appello di Brescia, del 22 febbraio 2007 dalla Corte d’appello di Venezia e del 22 maggio 2007 dalla Corte d’appello di Bari, rispettivamente iscritte ai nn. 125, 198, 495, 603 e 784 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13, 15, 26, 35 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che la Corte militare d’appello di Napoli (r.o. n. 125 del 2007), nonché le Corti d’appello di Torino (r.o. n. 198 del 2007) e di Brescia (r.o. n. 495 del 2007) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 443 codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui esclude che il pubblico ministero possa proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio abbreviato;

che analoga questione è sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., dalle Corti d’appello di Bari (r.o. n. 784 del 2007) e di Venezia (r.o. n. 603 del 2007), che censurano direttamente l’art. 2 della legge n. 46 del 2006;

che le Corti rimettenti, ad eccezione della Corte d’appello di Brescia, censurano, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 Cost., anche l’art. 10 della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui rende applicabile la nuova disciplina ai procedimenti in corso, stabilendo altresì che l’appello proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento prima della entrata in vigore della legge è dichiarato inammissibile;

che la Corte militare d’appello di Napoli – chiamata a delibare l’ammissibilità dell’appello proposto dall’organo dell’accusa avverso una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, pronunciata, all’esito del giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari, in funzione di Giudice dell’udienza preliminare, del Tribunale militare di Napoli – rileva preliminarmente che l’appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile in forza di quanto previsto dall’art. 10 della legge n. 46 del 2006;

che, tuttavia, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con diversi parametri costituzionali e, in primo luogo, con l’art. 3 Cost. per violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza;

che, in particolare, l’eliminazione dell’appello del pubblico ministero sarebbe irragionevole, in quanto «impedisce al rappresentante della pubblica accusa di dare, nell’ambito della sequenza processuale, concreta attuazione al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale»;

che la lesione del principio di eguaglianza sussisterebbe in relazione al potere di impugnare le sentenze di proscioglimento riconosciuto alla parte civile;

che sarebbero, inoltre, violati i princìpi della parità fra le parti e della ragionevole durata del processo, sanciti dal secondo comma dell’art. 111 Cost.;

che, infatti, il principio di parità impone che siano assicurati alle parti tutti gli strumenti funzionali al raggiungimento degli scopi che il processo deve garantire e che, per l’organo dell’accusa, ineriscono alla completa attuazione della pretesa punitiva;

che, sotto il secondo profilo, il sistema derivante dalle norme censurate − prevedendo la natura esclusivamente rescindente del giudizio per cassazione in esito al ricorso del pubblico ministero ed, in caso di accoglimento, la regressione del processo al primo grado − comporterebbe una evidente dilatazione dei tempi del processo, non sorretta da alcuna giustificazione;

che le norme denunciate risulterebbero, inoltre, in contrasto anche con l’art. 112 Cost., posto che il potere di impugnazione dell’organo dell’accusa costituirebbe «una delle espressioni» del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale;

che, infine, la Corte rimettente evidenzia «l’irragionevolezza interna» del regime transitorio disciplinato dall’art. 10 della legge n. 46 del 2006 in relazione alla particolare situazione del pubblico ministero, il cui appello andrebbe dichiarato inammissibile anche quando abbia già chiesto ed ottenuto, in tale fase, «l’ammissione di nuove prove decisive, circostanza che nel nuovo assetto consentirebbe di coltivare l’impugnazione di merito avverso le sentenze di proscioglimento»;

che la Corte d’appello di Torino − premesso che, in forza dell’art. 10 della citata legge n. 46 del 2006, dovrebbe dichiarare l’inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, emessa ex art. 442 cod.proc.pen., dal Giudice per le indagini preliminari, in funzione di Giudice dell’udienza preliminare, del Tribunale di Verbania − nel prospettare, in riferimento all’art. 111 Cost., una analoga questione di legittimità costituzionale evidenzia, in primo luogo, come il principio della parità tra le parti, lungi dall’applicarsi alla sola fase dell’istruzione probatoria, debba improntare l’intero iter del processo «dalla notizia di reato e fino alla sentenza definitiva»;

che la disciplina censurata sottrarrebbe al pubblico ministero lo strumento processuale per la realizzazione della propria pretesa punitiva, così alterando l’equilibrio dei poteri processuali delle parti, fino a pregiudicare l’assolvimento del compito assegnato all’organo della pubblica accusa dall’art. 112 Cost.;

che il principio della parità fra le parti – pur non richiedendo una totale simmetria di poteri – postula che eventuali diversità di trattamento siano giustificate dalla peculiare posizione istituzionale dell’organo dell’accusa o da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia (si richiama, al riguardo, l’ordinanza n. 421 del 2001 sui limiti all’appello delle sentenze di condanna emesse all’esito di giudizio abbreviato);

che tali ragioni giustificative non potrebbero ritenersi sussistenti in relazione alla radicalità dell’ablazione dei poteri del pubblico ministero conseguente alla riforma dell’appello delle sentenze di proscioglimento, oggetto di censura;

che anche la Corte d’appello di Brescia dubita, in relazione agli artt. 3 e 111 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 443, comma 1, cod. proc. pen. come modificato dalla legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui priva il pubblico ministero della facoltà di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate in sede di giudizio abbreviato»;

che la Corte rimettente rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui – sostituendo l’art. 593 cod. proc. pen. – esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, per contrasto con il «canone della ragionevolezza» e i «relativi corollari di adeguatezza e proporzionalità»;

che in relazione alla sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato ricorrerebbero i medesimi «elementi» posti a base della richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale;

che anche la Corte d’appello di Bari − nel sollevare analoga questione di legittimità costituzionale nell’ambito di un procedimento instaurato a seguito dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari, in funzione di Giudice dell’udienza preliminare, del Tribunale di Trani − muove dalla citata sentenza n. 26 del 2007 per rilevare come la perdurante limitazione del potere di appello dell’organo dell’accusa avverso le sentenze emesse all’esito del rito abbreviato risulti oggi, proprio in esito a tale pronuncia, ancor più ingiustificata e, dunque, in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.;

che, infatti, il pubblico ministero non soltanto non può opporsi alla richiesta di rito abbreviato avanzata dall’imputato, ma è privo anche dei poteri di impulso probatorio di cui, invece, dispone nel rito ordinario;

che, peraltro, essendo il rito abbreviato essenzialmente “cartolare” sia in primo che in secondo grado, verrebbe meno anche il principale argomento a sostegno dell’eliminazione, nel rito ordinario, del potere di impugnazione del pubblico ministero: vale a dire la pretesa ingiustizia della condanna fondata sulla mera rilettura delle carte processuali dopo un’assoluzione fondata sull’assunzione diretta dei mezzi di prova; 

che la Corte d’appello di Venezia − chiamata a pronunciarsi sull’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione resa, in esito a rito abbreviato, dal Tribunale di Verona in composizione monocratica − richiama a sua volta integralmente le motivazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 26 del 2007 e ritiene che tali argomentazioni «debbano trovare applicazione anche per quanto concerne la disposizione di cui all’art. 2 della legge n. 46 del 2006 che priva il P.M. totalmente soccombente in primo grado del potere di proporre appello nel giudizio abbreviato»;

che l’ablazione del potere di appello del pubblico ministero integrerebbe una «sperequazione radicale tra le parti del processo» che, ad avviso della Corte rimettente, «supera di gran lunga i limiti della ragionevolezza»; infatti, solo formalmente essa sarebbe compensata dall’analoga preclusione sancita per l’imputato e non troverebbe neppure giustificazione nelle particolari esigenze di celerità del rito speciale, le quali «non possono assumere una rilevanza talmente preponderante da giustificare l’eliminazione generalizzata ed unilaterale dell’appellabilità da parte del P.M. di tutte le sentenze di proscioglimento»;

che, invero, tale situazione comporterebbe, per l’organo dell’accusa, l’impossibilità di adempiere, in una fase fondamentale del processo, «alla funzione istituzionale dell’esercizio di un potere a tutela degli interessi collettivi, alla quale è pacificamente riconosciuta rilevanza costituzionale»;

che la menomazione del potere di impugnazione della parte pubblica, secondo la Corte rimettente, eccederebbe il limite di tollerabilità costituzionale «in quanto non sorretta da una ratio adeguata in rapporto al carattere radicale, generale e “unilaterale” della menomazione stessa», così violando gli artt. 3 e 111 Cost.;

che a tale questione risulta legato e connesso il profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 10 della medesima legge n. 46 del 2006, il quale, anche in relazione al giudizio abbreviato, impone al giudice, in via transitoria, di dichiarare inammissibile l’appello del pubblico ministero proposto, contro una sentenza di proscioglimento pronunciata a seguito di tale rito, prima dell’entrata in vigore della medesima legge.

Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha ad oggetto la preclusione – conseguente alla modifica dell’art. 443, comma 1, del codice di procedura penale ad opera dell’art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) – dell’appello delle sentenze di proscioglimento pronunciate a seguito di giudizio abbreviato da parte del pubblico ministero, e l’immediata applicabilità di tale regime, in forza dell’art. 10 della medesima legge, ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore;

che, stante l’identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 320 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui, modificando l’art. 443, comma 1, del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio abbreviato, e dell’art. 10, comma 2, della stessa legge, nella parte in cui prevede che l’appello proposto dal pubblico ministero, prima dell’entrata in vigore della legge, contro una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato è dichiarato inammissibile;

che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti alla Corte militare d’appello di Napoli e alle Corti d’appello di Torino, di Brescia, di Bari e di Venezia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2008.