Ordinanza n. 227 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 227

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                              BILE                                                   Presidente

- Giovanni Maria                 FLICK                                                Giudice

- Francesco                         AMIRANTE                                             "

- Ugo                                  DE SIERVO                                             "

- Paolo                                MADDALENA                                         "

- Alfio                                 FINOCCHIARO                                      "

- Alfonso                             QUARANTA                                            "

- Franco                              GALLO                                                    "

- Luigi                                 MAZZELLA                                             "

- Gaetano                            SILVESTRI                                              "

- Sabino                              CASSESE                                                 "

- Maria Rita                        SAULLE                                                   "

- Giuseppe                          TESAURO                                                "

- Paolo Maria                     NAPOLITANO                                         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e degli artt. 1 e 10 della stessa legge, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze del 6 aprile 2006 dalla Corte d’appello di Bologna, del 10 marzo 2006 dalla Corte d’appello di Lecce, del 5 dicembre 2006 dalla Corte d’appello di Ancona, del 6 luglio 2006 dalla Corte d’appello di Firenze, del 19 gennaio 2007 (n. 2 ordd.) e del 22 dicembre 2006 (n. 2 ordd.) dalla Corte d’appello di Perugia, del 20 aprile, del 17 maggio, del 7 e del 21 giugno 2006 dalla Corte d’appello di Trieste, rispettivamente iscritte ai nn. 111, 130, 307, 661, 750, 766, 789, 795, 802, 819, 820 e 821 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12, 13, 18, 38, 44, 46, 48 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2007 e n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che le Corti d’appello di Lecce (r.o. n. 130 del 2007), di Ancona (r.o. n. 307 del 2007), di Perugia (r.o. nn. 750, 766, 789 e 795 del 2007) e di Trieste (r.o. nn. 802, 819, 820 e 821 del 2007) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui consente l’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento nei soli casi previsti dall’art. 603, comma 2, cod. proc. pen. – ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado, e sempre che tali prove risultino decisive;

che analoga questione è sollevata dalle Corti d’appello di Bologna (r.o. n. 111 del 2007) e di Firenze (r.o. n. 661 del 2007) che censurano direttamente l’art. 1 della citata legge n. 46 del 2006;

che le Corti rimettenti (ad eccezione della Corte d’appello di Firenze) dubitano, in riferimento ai medesimi parametri, anche della legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006, che prevede l’immediata applicabilità della nuova disciplina ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore;

che, ai fini della rilevanza, le Corti rimettenti precisano che – in forza dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006 – i giudizi dovrebbero essere definiti con ordinanze non impugnabili di inammissibilità;

che, nel merito, tutte le Corti rimettenti ritengono che l’eliminazione dell’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento – ad opera dell’art. 1 della novella del 2006 – vìoli il principio di parità fra le parti di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. (evocato congiuntamente all’art. 3 Cost. dalle Corti d’appello di Perugia e di Trieste), in quanto del tutto irragionevolmente viene sottratto ad una sola delle parti (il pubblico ministero) lo strumento processuale indirizzato a veder affermata la propria pretesa punitiva;

che la condizione di parità sarebbe compromessa dal fatto che all’imputato è garantita la possibilità di un nuovo processo di merito nel caso di condanna, mentre analoga possibilità non è data al pubblico ministero nell’ipotesi “speculare” di assoluzione dell’imputato;

che la residua possibilità di appello, nelle ipotesi previste dal comma 2 dell’art. 603 cod. proc. pen., non eliminerebbe i profili di incostituzionalità della disciplina censurata, attesa l’assoluta marginalità di esse;

che le Corti rimettenti prospettano altresì la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del difetto di ragionevolezza e della disparità di trattamento;

che, in particolare, la disciplina censurata ostacolerebbe irragionevolmente la realizzazione delle «esigenze di giustizia», impedendo al pubblico ministero di «correggere, pure quando si tratti di rivalutare le medesime risultanze processuali, un evidente errore valutativo del giudice di merito o di rimuovere una decisione ingiusta» (Corte d’appello di Firenze); 

che la scelta legislativa di privare l’organo della pubblica accusa dell’appello delle sentenze di proscioglimento si paleserebbe irragionevole anche in relazione al mantenimento in capo al pubblico ministero del potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna (Corte d’appello di Ancona);

che – quanto alla violazione del principio di uguaglianza – l’art. 593 cod. proc. pen., come novellato, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra il cittadino «ingiustamente assolto» e il cittadino «condannato ad una pena ingiustamente mite», essendo quest’ultimo, a differenza del primo, esposto al rischio dell’impugnazione da parte del pubblico ministero (Corte d’appello di Bologna);

che le Corti d’appello di Bologna e di Firenze evocano a parametro anche l’art. 112 Cost., assumendo il contrasto della disciplina censurata con il principio di obbligatorietà dell’azione penale, sul presupposto che a tale principio dovrebbe ritenersi connaturata la previsione del potere di impugnazione del pubblico ministero;

che la Corte d’appello di Perugia denuncia la violazione dell’art. 112 Cost. in relazione, in particolare, alla disciplina transitoria, sottolineando come essa si risolva – in conseguenza della «dilatazione dei tempi dovuta al decorso del termine per proporre appello e all’intervallo tra la sua presentazione e la fissazione dell'udienza» – in «una sostanziale vanificazione della pretesa punitiva dello Stato», attesi i nuovi termini di prescrizione dei reati;

che le Corti d’appello di Lecce e di Trieste ritengono inoltre violato anche il principio della ragionevole durata del processo (di cui all’art. 111, secondo comma, ultimo periodo, Cost.) ed a tal fine evidenziano come la novella del 2006 – per effetto della eliminazione dell’appello e della prevista possibilità di proporre ricorso in cassazione – determini un aumento dei gradi di giudizio con conseguente allungamento dei tempi processuali;

che, secondo la Corte d’appello di Trieste, ciò risulterebbe tanto più evidente in relazione alla disciplina transitoria contenuta nell’art. 10 della legge n. 46 del 2006, in quanto la previsione di una «indiscriminata declaratoria di inammissibilità» degli appelli proposti prima dell’entrata in vigore della legge, «derogando al principio tempus regit actum che governa la materia processuale, non solo sacrifica ineludibilmente un atto di gravame tempestivamente proposto, costringendo la parte interessata a presentarne un altro, ma comporta l’inevitabile differimento della presentazione di esso all’eseguita notifica del provvedimento di inammissibilità e, pertanto, ad un termine futuro ed incerto»;

che, sotto diverso profilo, la disciplina transitoria violerebbe l’art. 97 Cost.: sia perché costringerebbe il pubblico ministero «a rimodulare la sua impugnazione e a trasformarla in ricorso», gravando di conseguenza «di un eccessivo carico di lavoro la Corte di cassazione fino a comprometterne l’efficienza e la funzionalità» (Corte d’appello di Lecce); sia «per la concreta ingestibilità del processo» (Corte d’appello di Perugia);

che, infine, la sola Corte d’appello di Ancona ritiene violato l’art. 24 Cost., in relazione al diritto di difesa della persona offesa dal reato, indirettamente tutelato dall’appello del pubblico ministero.

Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione – conseguente alla sostituzione dell’art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) – dell’appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero, e l’immediata applicabilità di tale regime, in forza dell’art. 10 della medesima legge, ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore;


che, stante l’identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell’art. 10, comma 2, della stessa legge, «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;

che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza della questioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti alle Corti d’appello di Bologna, Lecce, Ancona, Firenze, Perugia e Trieste.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2008.