Ordinanza n. 211 del 2008

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ORDINANZA N. 211

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                 BILE                           Presidente

-  Giovanni   Maria           FLICK                  Giudice

-  Francesco                    AMIRANTE                    “

-  Ugo                            DE SIERVO                    “

-  Paolo                          MADDALENA                “

-  Alfio                           FINOCCHIARO              “

-  Alfonso                         QUARANTA                      “

-  Franco                           GALLO                         “

-  Luigi                              MAZZELLA                    “

-  Gaetano                          SILVESTRI                     “

-  Sabino                            CASSESE                        “

-  Maria Rita                      SAULLE                         “

-  Giuseppe                        TESAURO                      “

-  Paolo Maria                   NAPOLITANO                “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), promosso con ordinanza del 15 maggio 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza nel giudizio vertente tra la s.c. a r.l. per azioni Banca di Piacenza e l’I.C.A. s.r.l. iscritta al n. 835 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti l’atto di costituzione della s.c. a r.l. per azioni Banca di Piacenza e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2008 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi l’avvocato Vittorio Angiolini per la s.c. a r.l. per azioni Banca di Piacenza e l’avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio riguardante l’impugnazione, da parte della s.c. a r.l. per azioni Banca di Piacenza, di un avviso di accertamento relativo all’omessa denuncia e all’omesso versamento dell’imposta sulla pubblicità per l’anno 2006, la Commissione tributaria provinciale di Piacenza, con ordinanza depositata il 15 maggio 2007, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 53, 76 e 111 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), il quale dispone che «è solidalmente obbligato al pagamento dell’imposta colui che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità»;

che il giudice rimettente premette che la suddetta s.c. a r.l. per azioni ha proposto ricorso contro l’avviso notificatole il 18 novembre 2006 dalla s.r.l. ICA Imposte Comunali Affini, concessionaria del servizio pubblicità del Comune di Piacenza, la quale aveva accertato «l’omessa denuncia e versamento della imposta sulla pubblicità per l’anno 2006 per n. 5 cartelli bifacciali di mq. 10 complessivi»;

che, secondo quanto riferito dallo stesso rimettente, la ricorrente afferma: a) di avere stipulato con la s.r.l. Pubblitop un contratto per l’utilizzo degli spazi pubblicitari per un solo anno, dal 10 giugno 2003 al 10 giugno 2004, senza tacita proroga; b) di essere venuta a conoscenza, all’inizio del 2006, del fatto che i detti spazi erano ancora utilizzati e di avere, perciò, diffidato formalmente la s.r.l. Pubblitop a rimuovere la pubblicità; c) che quest’ultima non aveva provveduto e, il 13 luglio 2006, era stata dichiarata fallita; d) di avere diffidato, quindi, la s.r.l. ICA a provvedere alla copertura degli spazi pubblicitari; e) di avere provveduto in proprio, il 30 gennaio 2007, alla copertura di detti spazi; f) di non essere tenuta al pagamento dell’imposta «per una pubblicità mai voluta e per la quale l’obbligo del pagamento incombeva alla Pubblitop quale titolare del mezzo pubblicitario»; g) di essere totalmente estranea al rapporto tributario, «cosí che la applicazione di sanzioni [lede] i suoi diritti di contribuente, mentre la mancata preventiva escussione della Pubblitop [determina] una soggezione alla imposta per mera responsabilità oggettiva»;

che la medesima Commissione tributaria riferisce, poi, che la s.r.l. ICA ha resistito in giudizio, sostenendo che la banca ricorrente era solidalmente tenuta al pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993 e che l’esposizione pubblicitaria doveva considerarsi abusiva dopo che la s.p.a. OPS, subentrata alla s.r.l. Pubblitop nel novembre 2005, «aveva dato disdetta degli impianti appartenuti alla Pubblitop con lettera del 31 gennaio 2006»;

che il giudice a quo censura l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, «nella parte in cui prevede che colui che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità resti obbligato in solido con il soggetto passivo di imposta, anche quando sia accertato che egli abbia voluto e fatto tutto quanto poteva affinché il soggetto passivo di imposta non realizzasse il presupposto della imposizione tributaria», in riferimento: a) all’art. 3 Cost., per lesione del principio di ragionevolezza, essendo «il contribuente costretto a pagare una imposta senza essere a conoscenza del presupposto di fatto»; b) allo stesso art. 3 Cost., per «disparità di trattamento […] fra debitore e coobbligato solidale, chiamato a pagare senza avere realizzato il presupposto di fatto»; c) all’art. 53 Cost., «per essere il contribuente assoggettato alla obbligazione tributaria senza correlazione della sua capacità contributiva al presupposto di imposta»; d) agli artt. 3 e 76 Cost., per eccesso di delega, «in quanto la legge delega attribuisce la soggettività passiva solo a colui che dispone dei mezzi pubblicitari»; e) agli artt. 24 e 111 Cost., per «violazione del diritto di difesa e del principio dell’equo processo»;

che, ad avviso dello stesso rimettente, la norma censurata víola anche: a) gli artt. 3 e 27 Cost., perché «non prevede che le sanzioni di tipo afflittivo o punitivo debbano colpire esclusivamente il soggetto passivo di imposta e non debbano colpire il soggetto pubblicizzato», il quale non può fare alcunché «per far cessare e prevenire la propria responsabilità solidale»; b) l’art. 3 Cost., perché è irragionevole che il soggetto pubblicizzato sia obbligato in solido «con un soggetto fallito, senza potersi rivalere in regresso sul medesimo»;

che, per il giudice a quo, la sentenza della Corte costituzionale n. 557 del 2000, che ha ritenuto legittima – in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 Cost. – la responsabilità solidale del soggetto pubblicizzato per il pagamento dell’imposta sulla pubblicità prevista dal censurato art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, non osta all’accoglimento delle questioni, perché si riferisce ad una fattispecie diversa da quella oggetto del giudizio principale;

che nel caso di specie, infatti, secondo il rimettente, «solo alcune delle somme richieste alla banca, come obbligata in solido, sono richieste a titolo di imposta; […] altre somme sono richieste a titolo di sanzione pecuniaria per l’omessa denuncia, per ritardato pagamento e per interessi di mora (del 7%), ossia per titoli che appaiono sanzioni prettamente afflittive»;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo afferma che: a) «dagli atti e documenti di causa risulta che la banca ha stipulato un contratto di pubblicità per un solo anno (e per tale periodo il soggetto titolare del mezzo pubblicitario – Pubblitop – ha pagato alla ICA la relativa tassa), ma la pubblicità è rimasta esposta anche successivamente a tale periodo annuale, per inerzia di chi disponeva del mezzo pubblicitario (la Pubblitop ha dapprima ceduto ad altri il ramo di azienda e poi è fallita) ed a totale insaputa del soggetto pubblicizzato che, non appena informato, si è attivato (invano) chiedendo la copertura della pubblicità rimasta esposta sui tabelloni»; b) «la banca – che non voleva assolutamente avvalersi del mezzo pubblicitario oltre il termine contrattualmente convenuto – è stata raggiunta dall’accertamento e colpita dalle sanzioni, nonostante abbia posto in essere tutto quanto poteva per evitare le conseguenze della altrui omissione»;

che si è costituita in giudizio la s.c. a r.l. per azioni Banca di Piacenza, ricorrente nel giudizio principale, concludendo per l’accoglimento delle proposte questioni di legittimità costituzionale;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità o, in subordine, la manifesta infondatezza delle sollevate questioni;

che la difesa erariale, a sostegno dell’eccepita inammissibilità, osserva che: a) il giudice rimettente avrebbe dovuto ricostruire adeguatamente il quadro normativo, valutando il rilievo del comma 172 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha abrogato l’art. 23 del d.lgs. n. 507 del 1993, recante la disciplina degli interessi di mora sulle somme dovute per l’imposta sulla pubblicità; b) il rimettente avrebbe dovuto descrivere sufficientemente la fattispecie, precisando «gli obblighi formali e/o sostanziali il cui inadempimento avrebbe costituito presupposto delle contestate sanzioni (l’ordinanza accenna genericamente ad un’“omessa denuncia”, senza precisarne l’oggetto)» ed avrebbe dovuto tenere conto del fatto che la disciplina delle sanzioni «è recata per detta imposta dagli artt. 23 e 24 (non censurati) dello stesso D.Lgs.»; c) il giudizio di rilevanza effettuato dal rimettente è carente per contraddittorietà e la questione risulta, conseguentemente, posta in astratto, perché è sollevata per l’ipotesi che l’obbligato solidale «abbia voluto e fatto tutto quanto poteva affinché il soggetto passivo di imposta non realizzasse il presupposto della imposizione tributaria», mentre «nella fattispecie concreta la contestazione concerne l’imposta sulla pubblicità per l’anno 2006» e la banca aveva proceduto in proprio alla copertura degli spazi pubblicitari solo il 30 gennaio 2007;

che nel merito, con riguardo alla dedotta manifesta infondatezza, la medesima difesa erariale afferma che la disposizione denunciata non víola gli evocati parametri costituzionali, perché: a) valgono, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 Cost., le stesse ragioni indicate nella sentenza della Corte costituzionale n. 557 del 2000, concernente una fattispecie analoga; b) i parametri degli artt. 24 e 111 Cost. non sono conferenti, perché «attengono al piano processuale delle garanzie di tutela giurisdizionale dei diritti e del giusto processo, mentre la norma censurata si colloca sul piano della disciplina sostanziale del rapporto»; c) il parametro dell’art. 27 Cost. è inconferente, perché attiene alla personalità della responsabilità penale e alla presunzione di innocenza;

che, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la s.c. a r.l. per azioni Banca di Piacenza ha confermato le conclusioni già formulate nell’atto di costituzione, precisando, in punto di rilevanza delle sollevate questioni, che: a) non può invocarsi, «al fine di revocare in dubbio la rilevanza della questione come prospettata dal giudice a quo, il fatto che la materia delle sanzioni amministrative sia oggetto di due ulteriori e specifiche disposizioni dello stesso d.lgs. n. 507 del 1993, non censurate nel presente giudizio, e precisamente degli artt. 23 e 24», perché tali disposizioni «si limitano a prevedere entità e natura delle sanzioni», nulla disponendo sul destinatario delle medesime e, dunque, «la disposizione che individua la responsabilità solidale del “soggetto pubblicizzato” […], sia per l’imposta sia per le relative sanzioni», è proprio la disposizione censurata; b) il soggetto pubblicizzato obbligato in solido ha fatto quanto in suo potere per impedire che il soggetto passivo dell’imposta realizzasse il presupposto dell’imposizione, perché, prima del decorso del periodo cui si applica l’imposta oggetto di contestazione, ha manifestato, tramite ripetuti inviti formali alla rimozione dei messaggi pubblicitari, una volontà contraria alla loro permanenza; c) il fatto che «solo nel gennaio del 2007, dopo che i propri ripetuti solleciti erano rimasti senza esito, la Banca di Piacenza abbia provveduto, di sua iniziativa e a proprie spese, a rimuovere i messaggi pubblicitari» deve essere considerato «un rimedio adottato in via di fatto e del tutto sprovvisto di qualsiasi base giuridica, dal momento che gli spazi pubblicitari su cui i messaggi erano esposti non erano in alcun modo nella disponibilità della Banca» e «solo per una circostanza del tutto fortuita il soggetto passivo (che nel frattempo era fallito) non ha avuto modo di opporsi a tale iniziativa della Banca»;

che la stessa s.c. a r.l. per azioni premette, in punto di non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, che il problema della costituzionalità della disposizione censurata si pone in modo nuovo e diverso rispetto alle questioni decise dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 557 del 2000, perché, nella specie: a) «non solo non si rinviene alcun rapporto giuridico tra il soggetto passivo e l’obbligato in solido, essendo il contratto pubblicitario tra questi stipulato ormai scaduto da tempo, ma, oltre a ciò, è dimostrato che l’originario committente della pubblicità ha inequivocabilmente espresso la propria volontà contraria alla permanenza dei messaggi pubblicitari»; b) «le somme richieste» […] con l’avviso impugnato sono solo per una parte minoritaria richieste a titolo di imposta, mentre per la maggior parte corrispondono all’applicazione di sanzioni amministrative tributarie: precisamente, su una somma complessiva di euro 1.084,98, solo 465 euro corrispondono all’imposta accertata; e la restante somma corrisponde, per la maggior parte (altri 465 euro), alla sanzione amministrativa per l’omessa denuncia, e per la parte rimanente all’ulteriore sanzione per il ritardo nel pagamento (139,50 euro), ed infine ad “interessi di mora” e spese di notifica»;

che la medesima parte privata deduce, altresí, che la norma censurata, «entra in piena ed irragionevole contraddizione con la stessa definizione del presupposto di imposta dell’art. 5», definito come «la diffusione di messaggi pubblicitari», perché «la diffusione del messaggio svolta non solo all’insaputa ma addirittura contro la precisa volontà contraria di chi dovrebbe trarne vantaggio, […] non è piú un’attività pubblicitaria, ma è, invece, «un trattamento di dati inerenti a chi esercita impresa, da reputarsi come tale sicuramente illecito» in base agli artt. 11 e seguenti del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali);

che ciò che viene, allora, in rilievo, nel caso in esame – secondo la parte privata – è il fatto che la norma censurata non ammette che il soggetto pubblicizzato possa fornire prova del fatto di non avere ricevuto vantaggio dalla diffusione di un messaggio pubblicitario che reclamizza i propri prodotti o servizi, ponendo cosí una presunzione assoluta;

che l’impossibilità di fornire una tale prova contraria sarebbe confermata «dal disposto dell’art. 8 del medesimo d.lgs. n. 507, che, nell’imporre al solo “soggetto passivo” di cui all’art. 6 l’obbligo di presentare tutte le dichiarazioni circa l’inizio dell’attività pubblicitaria (comma 1), le relative variazioni (comma 2) e la cessazione dell’attività (comma 3), individua in questo soggetto l’unico interlocutore del Comune per tutto ciò che attiene alle comunicazioni sull’utilizzo degli spazi pubblicitari e ai relativi adempimenti»;

che secondo la parte privata, infatti, il d.lgs. n. 507 del 1993 «non individua alcun meccanismo che consenta al committente di comunicare al Comune una sua eventuale volontà contraria alla permanenza del messaggio, e ciò perché, semplicemente, ad una tale volontà contraria non viene attribuito alcun giuridico rilievo»;

che, per la stessa s.c. a r.l. per azioni, inoltre, la norma censurata víola il combinato disposto degli artt. 3 e 27 Cost., perché configura un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui dell’obbligato in solido in relazione alle sanzioni irrogate per violazioni delle norme tributarie commesse dall’obbligato principale, «il quale solo ha la disponibilità dei mezzi per la pubblicità medesima ed ha […] l’esclusiva nell’intrattenere le relazioni con l’amministrazione al riguardo dell’uso e della cessazione di questi mezzi»;

che la parte privata sottolinea, infine, che, nel caso in esame, «le sanzioni riguardano la violazione di obblighi di denuncia (la denuncia di inizio e la “denuncia di cessazione” dell’attività), che a norma dell’art. 8 del d.lgs. n. 507 del 1993 incombono solo ed unicamente sul soggetto passivo dell’imposizione (cioè su colui che dispone del mezzo attraverso cui il messaggio è veicolato) e non possono ritenersi estesi all’ “obbligato solidale”».

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Piacenza dubita – in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 53, 76 e 111 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), il quale dispone che «è solidalmente obbligato al pagamento dell’imposta colui che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità»;

che, in particolare, il giudice a quo censura la suddetta disposizione «nella parte in cui prevede che colui che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità resti obbligato in solido con il soggetto passivo di imposta, anche quando sia accertato che egli abbia voluto e fatto tutto quanto poteva affinché il soggetto passivo di imposta non realizzasse il presupposto della imposizione tributaria», per violazione: a) dell’art. 3 Cost., per lesione del principio di ragionevolezza, essendo «il contribuente costretto a pagare una imposta senza essere a conoscenza del presupposto di fatto»; b) dello stesso art. 3 Cost., per «disparità di trattamento […] fra debitore e coobbligato solidale, chiamato a pagare senza avere realizzato il presupposto di fatto»; c) dell’art. 53 Cost., «per essere il contribuente assoggettato alla obbligazione tributaria senza correlazione della sua capacità contributiva al presupposto di imposta»; d) degli artt. 3 e 76 Cost., per eccesso di delega, «in quanto la legge delega attribuisce la soggettività passiva solo a colui che dispone dei mezzi pubblicitari»; e) degli artt. 24 e 111 Cost., per «violazione del diritto di difesa e del principio dell’equo processo»;

che lo stesso giudice a quo censura la disposizione anche per violazione: a) degli artt. 3 e 27 Cost. congiuntamente, perché «non prevede che le sanzioni di tipo afflittivo o punitivo debbano colpire esclusivamente il soggetto passivo di imposta e non debbano colpire il soggetto pubblicizzato», il quale non può fare alcunché «per far cessare e prevenire la propria responsabilità solidale»; b) dell’art. 3 Cost., perché è irragionevole che il soggetto pubblicizzato sia obbligato in solido «con un soggetto fallito, senza potersi rivalere in regresso sul medesimo»;

che la difesa erariale eccepisce che le questioni sono manifestamente inammissibili, perché poste in astratto, essendo state sollevate sul presupposto di fatto che l’obbligato solidale «abbia voluto e fatto tutto quanto poteva affinché il soggetto passivo di imposta non realizzasse il presupposto della imposizione tributaria», ipotesi che non ricorrerebbe nel caso di specie, in cui «la contestazione concerne l’imposta sulla pubblicità per l’anno 2006» e l’obbligato in solido aveva proceduto in proprio alla copertura degli spazi pubblicitari solo il 30 gennaio 2007;

che tale eccezione deve essere rigettata, perché dall’ordinanza di rimessione non emerge che il presupposto di fatto delle sollevate questioni sia manifestamente insussistente;

che, infatti, da quanto riferito dal rimettente risulta che l’obbligato in solido per il pagamento dell’imposta non ha potuto procedere tempestivamente alla rimozione della pubblicità, perché non ha mai avuto la disponibilità degli spazi sui quali erano stati installati i cartelli pubblicitari;

che le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., per lesione del principio di ragionevolezza, per disparità di trattamento fra il coobbligato solidale e il debitore principale e per violazione del principio della capacità contributiva, sono manifestamente infondate, in forza di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 557 del 2000, la quale ha dichiarato l’infondatezza di analoghe questioni, aventi ad oggetto la stessa norma e proposte in base agli stessi parametri;

che l’analogia tra le questioni decise con tale sentenza e quelle poste dal rimettente all’odierno esame della Corte risulta dal fatto che sia le une che le altre hanno ad oggetto la legittimità costituzionale del denunciato art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 507 del 1993, secondo cui il “soggetto pubblicizzato” è obbligato in solido con il soggetto passivo al pagamento dell’imposta, per il solo fatto di essere «colui che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità»; con la sola differenza che quelle esaminate dalla sentenza n. 557 del 2000 riguardano l’ipotesi, piú generale, in cui l’obbligazione solidale sussiste in capo al “soggetto pubblicizzato” «anche in mancanza di un effettivo rapporto giuridico-economico [pubblicitario] tra i due soggetti», mentre quelle sollevate dall’ordinanza di rimessione della Commissione tributaria provinciale di Piacenza riguardano la specifica ipotesi – pur sempre riconducibile all’ipotesi oggetto della sentenza n. 557 del 2000 – in cui il “soggetto pubblicizzato” è obbligato in solido con il soggetto passivo di imposta quando sia accertata, oltre alla cessazione del rapporto pubblicitario, anche la circostanza che egli «abbia voluto e fatto tutto quanto poteva affinché il soggetto passivo di imposta non realizzasse il presupposto della imposizione tributaria»;

che valgono in proposito, in difetto di nuovi profili di illegittimità prospettati dal rimettente, le stesse considerazioni svolte dalla Corte con la citata sentenza n. 557 del 2000, secondo cui: a) «il principio di capacità contributiva non esclude che la legge possa stabilire prestazioni tributarie a carico, oltreché del debitore principale, anche di altri soggetti, purché non estranei al presupposto d’imposta, costituendo unico limite alla discrezionalità del legislatore la non irragionevolezza del criterio di collegamento utilizzato per l’individuazione dei predetti responsabili d’imposta (sentenza n. 184 del 1989, ordinanze n. 301 del 1988 e n. 316 del 1987)»; b) «nella fattispecie in esame non può certo considerarsi estraneo al presupposto di imposta» colui che svolge «l’attività economica oggetto della pubblicità» e, quindi, ben può assumersi quale idoneo elemento di collegamento il fatto stesso di svolgere detta attività; c) pertanto, «la solidarietà passiva a carico di tale soggetto» non è lesiva «del principio di capacità contributiva»; d) ciò è vero anche in considerazione del fatto che «alla solidarietà passiva nel senso sopra precisato si ricollegano quali necessari corollari il diritto di rivalsa dell’obbligato solidale nei confronti del debitore principale e il diritto al risarcimento del danno nel caso in cui la diffusione del messaggio pubblicitario avvenga in difformità o, come di fatto possibile, in difetto di un sottostante rapporto giuridico»;

che anche la questione con la quale, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., si denuncia l’eccesso di delega, sul rilievo che «la legge delega attribuisce la soggettività passiva solo a colui che dispone dei mezzi pubblicitari», è manifestamente infondata, sempre in forza di quanto affermato da questa Corte con la citata sentenza n. 557 del 2000;

che tale pronuncia ha, infatti, chiarito che «La norma delegante di cui all’art. 4, comma 4, lettera a), numero 2, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, indica […] tra i principi e criteri direttivi, “la regolamentazione della responsabilità tributaria di colui che produce, vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità”» e che «è evidente come uno dei modi di attuazione della responsabilità tributaria sia proprio quella solidarietà passiva che viene, invece, infondatamente censurata sotto il profilo dell’eccesso di delega»;

che la questione sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., per «violazione del diritto di difesa e del principio dell’equo processo», è del pari manifestamente infondata, perché la norma censurata non ha natura processuale ed è, quindi, estranea all’àmbito di applicazione dei suddetti parametri costituzionali (ex plurimis, ordinanze n. 13 del 2008 e n. 180 del 2007);

che, inoltre, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. – per cui sarebbe irragionevole che il soggetto pubblicizzato sia obbligato in solido «con un soggetto fallito, senza potersi rivalere in regresso sul medesimo» – è manifestamente infondata, perché, contrariamente a quanto affermato dal rimettente, non è escluso il regresso nei confronti di soggetti falliti, essendo il fallimento e l’eventuale incapienza del patrimonio del fallito a soddisfare il credito circostanze di mero fatto, rientranti nell’alea connessa alla scelta del contraente e irrilevanti, come tali, ai fini dello scrutinio di costituzionalità;

che la questione proposta in riferimento congiunto agli artt. 3 e 27 Cost. – basata sulla considerazione che la norma denunciata «non prevede che le sanzioni di tipo afflittivo o punitivo debbano colpire esclusivamente il soggetto passivo di imposta e non debbano colpire il soggetto pubblicizzato», il quale non può fare alcunché «per far cessare e prevenire la propria responsabilità solidale» – è in parte manifestamente inammissibile e in parte manifestamente infondata;

che nell’ordinanza di rimessione si afferma che, nel caso di specie, al “soggetto pubblicizzato”, obbligato in solido per il pagamento dell’imposta sulla pubblicità, sono state richieste somme «a titolo di sanzione pecuniaria per l’omessa denuncia, per ritardato pagamento e per interessi di mora (del 7%), ossia per titoli che appaiono sanzioni prettamente afflittive», per fatto altrui;

che, quanto alla sanzione per l’omessa denuncia [rectius: per l’omessa presentazione della dichiarazione di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 507 del 1993 da parte del soggetto passivo di imposta], il giudice a quo muove da un’incompleta ricostruzione del quadro normativo, perché non tiene conto dei princípi stabiliti, in materia di sanzioni amministrative tributarie, dagli artt. 2, comma 2, 5, comma 1, primo periodo, e 11, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), nonché dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326;

che, in particolare, dette disposizioni prevedono, rispettivamente, che: a) «la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione»; b) «Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa», c) «Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell'adempimento del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall'amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente nell'interesse dei quali ha agito l'autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti»; d) «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica»;

che, omettendo del tutto di considerare il suddetto quadro normativo, il rimettente si è limitato ad interpretare estensivamente la disposizione censurata facendo derivare da essa la responsabilità del “soggetto pubblicizzato” anche per il pagamento della menzionata sanzione pecuniaria e non – come testualmente previsto da detta disposizione – per il solo pagamento dell’imposta;

che tale lacuna argomentativa, risolvendosi in un difetto di motivazione sulla rilevanza, comporta la manifesta inammissibilità della questione in parte qua;

che, quanto alla sanzione per il ritardato pagamento dell’imposta, il giudice a quo erroneamente assume che essa trova applicazione, nei confronti del “soggetto pubblicizzato”, non per fatto proprio, ma per fatto commesso dal soggetto passivo d’imposta;

che, al contrario, detta sanzione – prevista dall’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) – punisce il ritardato pagamento del soggetto tenuto al versamento del tributo e, quindi, anche dell’obbligato in solido a tale pagamento, il quale risponde, pertanto, per fatto proprio e non per fatto altrui;

che la questione relativa a tale sanzione si risolve, dunque, nella mera denuncia di illegittimità della norma che prevede che il “soggetto pubblicizzato” è anch’esso obbligato al pagamento dell’imposta e, pertanto, si identifica con le questioni già dichiarate manifestamente infondate, per le ragioni di cui sopra;

che, quanto agli interessi di mora, il giudice a quo erroneamente assume che essi siano una “sanzione” e che trovino applicazione, nei confronti del “soggetto pubblicizzato”, per fatto commesso dal soggetto passivo d’imposta;

che, invece, l’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993, applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto del giudizio principale, distingue espressamente tra sanzioni e interessi di mora e prevede che questi ultimi, i quali hanno natura essenzialmente risarcitoria, sono dovuti in caso di ritardo nel pagamento dell’imposta da parte del soggetto obbligato, senza che la disposizione differenzi, nell’àmbito dei soggetti obbligati, tra la posizione del debitore principale d’imposta e quella dell’obbligato solidale;

che, pertanto, anche tale questione è manifestamente infondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara, per la parte precisata in motivazione, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), sollevata, in riferimento congiunto agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara, per la parte precisata in motivazione, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, sollevata, in riferimento congiunto agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 76 e 111 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2008.