Ordinanza n. 196 del 2008

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ORDINANZA N. 196

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco               BILE                                        Presidente

-  Giovanni Maria   FLICK                                       Giudice

-  Francesco          AMIRANTE                                    ”

-  Ugo                   DE SIERVO                                    ”

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Sabino               CASSESE                                       ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Giuseppe            TESAURO                                       ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con tre ordinanze del 19 giugno 2007 dal Giudice di pace di Agrigento, rispettivamente iscritte ai numeri da 799 a 801 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che il Giudice di pace di Agrigento, con le ordinanze indicate in epigrafe, ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 27, 42 e 111 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che il rimettente premette di essere investito, in tutti i casi al suo esame, del ricorso proposto dal proprietario di un ciclomotore, sanzionato per essere stato sorpreso alla guida del mezzo – sottoposto a sequestro in vista della successiva confisca – senza indossare il casco protettivo;

che il giudice a quo, preliminarmente, sottolinea che analoghe questione di legittimità costituzionale risultano essere già state sollevate da altri Giudici di pace e definite dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 453 del 2006, con la quale sono stati restituiti gli atti ai singoli rimettenti, affinché i medesimi valutassero la perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, alla luce delle modifiche apportate al testo della norma censurata dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;

che, tuttavia, secondo il rimettente, la questione sollevata – nonostante l’avvenuta modificazione, nelle more dei giudizi principali, della norma censurata – sarebbe egualmente rilevante, oltre che non manifestamente infondata, attesa l’applicabilità, alle fattispecie sottoposte al suo vaglio, della previsione originaria dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, giacché, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), le «leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati»;

che, ciò premesso, il giudice a quo deduce l’esistenza di una «aperta violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione», perché «il contenuto afflittivo della disposizione» risiederebbe «più nella sanzione accessoria disposta che in quella principale»;

che, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., il rimettente censura anche «la disparità di trattamento» che la norma denunciata introdurrebbe tra violazioni del codice della strada, secondo che le stesse siano commesse con ciclomotori o autoveicoli, pur essendo identica, per le une come per le altre, la ratio «di salvaguardia dell’integrità fisica del cittadino»;

che il rimettente, in particolare, pur premettendo che le scelte sanzionatorie del legislatore sono di regola sottratte al sindacato di costituzionalità, sottolinea come la giurisprudenza costituzionale abbia riconosciuto, invece, l’ammissibilità di tale sindacato allorché, come sarebbe avvenuto nel caso di specie, l’opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire «si appalesi, in concreto, come espressione di un uso distorto della discrezionalità» (cita, in proposito, la sentenza n. 313 del 1995, nonché le ordinanze n. 144 del 2001, n. 58 del 1999, n. 297 del 1988);

che pertanto, su tali basi non solo è stata già riconosciuta l’illegittimità costituzionale di talune ipotesi di confisca (è citata la sentenza n. 110 del 1996), ma è stato espresso più volte l’auspicio – sono citate le sentenze n. 349 e n. 435 del 1997 – che il legislatore provveda a «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento»;

che la norma censurata, viceversa, contravverrebbe a tali indicazioni, dando luogo ad una inammissibile «disparità di trattamento tra chi conduce una moto o un ciclomotore e chi guida un autoveicolo», cioè tra soggetti egualmente responsabili di infrazioni stradali (e particolarmente «tra chi non indossa il casco protettivo alla guida della moto e chi non indossa la cintura di sicurezza alla guida dell’autovettura»), in base esclusivamente alle caratteristiche del veicolo, derogando, così, al principio che vieta di riservare trattamenti diversi «ai cittadini che si trovano in situazione eguale» (è citata la sentenza n. 200 del 1972);

che, infine, viene ipotizzato sia il contrasto con l’art. 42 Cost., atteso che con la sanzione della confisca obbligatoria si sottrarrebbe la proprietà del bene «al legittimo proprietario e/o possessore (che non coincide col trasgressore), gravandolo inoltre delle spese di custodia senza limite di tempo», sia la violazione degli artt. 24 e 111 della Carta fondamentale, giacché la disciplina impugnata «sottrae a qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una sanzione» di una tale «gravità economica» da superare, in alcune ipotesi, persino «l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili ovvero non fondate;

che la confisca – sottolinea la difesa statale – sarebbe rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all’obbligo di indossare il casco protettivo, realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l’uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l’obbligo in questione» sarebbe ragionevolmente sottoposto, dal censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione;

 che, pertanto, l’applicazione della sanzione anche nei riguardi di tale soggetto troverebbe la sua ragion d’essere nella circostanza che egli «ha accettato di concorrere all’incremento complessivo del rischio da circolazione e, contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente», di talché quella prevista nei suoi confronti non sarebbe un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui;

che nessuna violazione del principio di eguaglianza, poi, potrebbe essere ravvisata nel caso di specie;

che priva di fondamento sarebbe la censura basata sul fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

 che, nella specie, prosegue la difesa statale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

che, infine, è negata anche l’esistenza di un contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. conseguente al «carattere rigido» della sanzione della confisca, essendo la stessa una «sanzione ampiamente nota all’ordinamento penale e sanzionatorio amministrativo», giustificata dalla «necessità di eliminare le cause materiali di potenziali, ulteriori, lesioni dell’interesse protetto».

Considerato che il Giudice di pace di Agrigento, con le ordinanze indicate in epigrafe, ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 27, 42 e 111 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che in tutti i casi il rimettente censura la norma suddetta nel testo anteriore a quello modificato dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, e cioè nella parte in cui prevede (o meglio, prevedeva) la confisca di ciclomotori e motoveicoli quale sanzione accessoria che colpisce anche le infrazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada;

che, preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la identità dei rispettivi oggetti ne giustifica l’unitaria trattazione ai fini di un’unica decisione;

che le questioni sono rilevanti, atteso che il giudice a quo muove dal corretto (ed adeguatamente motivato) presupposto di dover decidere la controversia devoluta al suo esame facendo applicazione della norma suddetta nel suo testo originario;

che nessuna delle questioni sollevate risulta meritevole di accoglimento, dovendo questa Corte ribadire quanto già affermato nell’ordinanza n. 125 del 2008;

che, come evidenziato nella pronuncia testé menzionata, risulta, prima facie, non fondata la dedotta violazione dell’art. 27 Cost., «essendo la giurisprudenza costituzionale costante nell’affermare – in forza di un indirizzo reiteratamente ribadito, sino alla recente ordinanza n. 434 del 2007 (concernente, tra l’altro, proprio la disciplina della circolazione stradale) – che il parametro costituzionale suddetto si riferisce esclusivamente alle sanzioni penali e non pure a quelle amministrative» (così l’ordinanza n. 125 del 2008);

che, inoltre, in quella stessa ordinanza è stato affermato che appare sorretta «da una adeguata ragione giustificativa» la scelta del legislatore di «reprimere più intensamente, mediante l’irrogazione anche della sanzione accessoria della confisca del mezzo, oltre che di quella pecuniaria», sia «l’infrazione consistente nell’inosservanza dell’obbligo di indossare il casco protettivo (posta in essere dal conducente di un veicolo a due ruote o da eventuali passeggeri trasportati a bordo dello stesso)», sia quelle altre infrazioni che condividono, con la prima, «la medesima funzione di prevenire i rischi specifici derivanti da quegli incidenti nei quali risultino coinvolti veicoli a due ruote»;

che, difatti, si è «ritenuto di identificare la ratio legis della più accentuata risposta punitiva» – stabilita per le infrazioni de quibus «attraverso la previsione della sanzione accessoria della confisca» del mezzo – «nella necessità di prevenire i rischi specifici conseguenti alla utilizzazione dei veicoli a due ruote», precisandosi, così, che le «misure dirette ad attenuare le conseguenze che possano derivare dai traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli» risultano dettate da esigenze tali da non far reputare irragionevolmente limitatrici della «estrinsecazione della personalità» il più severo trattamento sanzionatorio, previsto dal testo originario dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, per le violazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del medesimo codice (ordinanza n. 125 del 2008);

che, del pari, si è esclusa l’irragionevolezza della scelta legislativa di far gravare la sanzione della confisca «anche sul proprietario del mezzo che non sia il responsabile dell’infrazione stradale», ribadendo quella consolidata affermazione della giurisprudenza costituzionale secondo cui «la responsabilità del proprietario di un veicolo per le violazioni commesse da chi si trovi alla guida costituisce, nel sistema delle sanzioni amministrative previste per le violazioni delle norme relative alla circolazione stradale, un principio di ordine generale», principio destinato ad operare in riferimento tanto alla sanzione pecuniaria principale quanto a quelle accessorie, salvo che queste ultime non presentino contenuto «afflittivo personale», tale non essendo, però, il caso della confisca «giacché essa mantiene i suoi effetti in un ambito puramente “patrimoniale”» (ordinanza n. 125 del 2008);

che quanto, poi, alle asserite disuguaglianze, che deriverebbero dalla prevista irrogazione della sanzione suddetta soltanto in caso di infrazioni commesse attraverso l’uso di ciclomotori o motoveicoli, questa Corte ha ribadito come ogni iniziativa volta a superarle «non potrebbe che spettare al legislatore», stante, comunque, l’ampia discrezionalità che caratterizza la scelta di «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento» (così, nuovamente, l’ordinanza n. 125 del 2008);

che, infine, non è fondata neppure la censura – rimasta estranea al decisum della citata ordinanza n. 125 del 2008 – sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. e basata sul rilievo che la norma censurata «sottrae a qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una sanzione» di una tale «gravità economica» da superare, in alcune ipotesi, persino «l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»;

che il rimettente, in definitiva, pare dolersi del fatto che la sanzione de qua sia prevista in misura “fissa”, senza la possibilità che l’autorità giudiziaria incida su di essa;

che, in proposito, è sufficiente osservare che «la determinazione delle condotte punibili e delle relative sanzioni, siano esse penali o amministrative, rientra nella più ampia discrezionalità legislativa», non spettando a questa Corte «rimodulare le scelte punitive del legislatore né stabilire la quantificazione delle sanzioni», ben potendo, dunque, le medesime «essere stabilite anche in misura fissa» (così, proprio con riferimento alla disciplina della circolazione stradale, l’ordinanza n. 172 del 2003; nello stesso senso, ex multis, ordinanze n. 1 del 2003, n. 323 e n. 136 del 2002);

che le questioni sollevate sono, pertanto, manifestamente infondate in relazione a tutti i parametri evocati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevate – in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 24, 27, 42 e 111 della Costituzione – dal Giudice di pace di Agrigento, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2008.