Ordinanza n. 127 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 127

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco               BILE                                        Presidente

-  Giovanni Maria   FLICK                                       Giudice

-  Ugo                   DE SIERVO                                    ”

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Sabino               CASSESE                                       ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Giuseppe            TESAURO                                       ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 25 luglio 2006 dal Giudice di pace di Napoli, del 5 maggio 2006 (nn. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Barra, del 13 giugno 2006 dal Giudice di pace di Varese e del 7 novembre 2006 dal Giudice di pace di Trecastagni, rispettivamente iscritte ai nn. 423, 444, 445, 494 e 499 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23, 24 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che i Giudici di pace di Napoli, Barra, Varese e Trecastagni, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 27 e 42 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che i rimettenti di Napoli e Trecastagni – con due ordinanze di contenuto analogo (r.o. n. 423 e n. 449 del 2007) – censurano il predetto art. 213, comma 2-sexies, «nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa della confisca di un ciclomotore o motoveicolo che sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171» del codice della strada, assumendo la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.;

che i giudici a quibus premettono di essere investiti dell’opposizione, rispettivamente, proposta (avverso due verbali con i quali si è contestata l’infrazione stradale di cui all’art. 171, comma 2, del codice della strada), nell’un caso, dal genitore di un minorenne resosi responsabile del mancato uso del casco protettivo, in occasione della conduzione del motoveicolo di proprietà del primo, ovvero, nell’altro, direttamente dal proprietario del mezzo, responsabile anche della commessa infrazione;

che entrambi i Giudici di pace deducono l’esistenza di una «aperta violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione», nonché «la disparità di trattamento» che la norma suddetta introdurrebbe tra violazioni del codice della strada «che in alcuni casi coincidono», secondo che le stesse siano commesse con ciclomotori o autoveicoli;

che i rimettenti, in particolare, pur premettendo che è di regola precluso alla Corte costituzionale il sindacato sulle scelte sanzionatorie del legislatore, sottolineano come la giurisprudenza costituzionale ne abbia riconosciuto l’ammissibilità allorché, come nel caso di specie, l’opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire «si appalesi, in concreto, come espressione di un uso distorto della discrezionalità» (sono citate, in proposito, la sentenza n. 313 del 1995, nonché le ordinanze n. 144 del 2001, n. 58 del 1999, n. 297 del 1998);

che, pertanto, su tali basi la Corte costituzionale – evidenziano i giudici a quibus – non solo ha già riconosciuto l’illegittimità costituzionale di talune ipotesi di confisca (sentenza n. 110 del 1996), ma ha espresso più volte l’auspicio (sono citate le sentenze n. 349 e n. 435 del 1997) che il legislatore provveda a «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento»;

che la norma censurata, viceversa, contravverrebbe a tali indicazioni, non solo dando luogo ad un’inammissibile «disparità di trattamento tra chi conduce una moto o un ciclomotore e chi guida un autoveicolo», ma anche violando il principio secondo cui la responsabilità penale è personale, nella misura in cui la sanzione della confisca da essa prevista colpisce «inevitabilmente ed esclusivamente» il proprietario del veicolo e non l’autore dell’infrazione stradale;

che il Giudice di pace di Barra, con due ordinanze di contenuto pressoché identico (r.o. n. 444 e n. 445 del 2007), censura – sempre in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – il medesimo art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

che il rimettente premette di essere investito, in entrambi i casi, dell’opposizione proposta dai proprietari di motoveicoli avverso i verbali con i quali, ai sensi della norma del codice della strada sopra richiamata, è stata disposta la confisca dei mezzi, essendo stata accertata a carico di tali soggetti la violazione dell’obbligo di indossare il casco protettivo;

che la disposizione censurata, secondo il giudice a quo, violerebbe, innanzitutto, «il principio di eguaglianza tra i cittadini», atteso che, sebbene il codice della strada ed altre leggi contemplino «comportamenti di pericolosità assimilabile – e finanche superiore – a quella di cui all’art. 171» del codice della strada («quali ad esempio il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza in auto o il superamento dei limiti di velocità», che «sono sanzionati in misura ridotta»), per essi non risulta prevista la sanzione accessoria della confisca;

che, pertanto, la previsione di cui all’art. 213, comma 2-sexies, non sarebbe in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale, e segnatamente con l’invito da essa rivolto al legislatore a «rimodellare il sistema della confisca» nel senso di «evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento»;

che è dedotta, poi, la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione, in quanto «la sanzione accessoria della confisca del veicolo lede uno dei diritti costituzionalmente garantiti che è quello della proprietà privata», e ciò particolarmente quando «il trasgressore non sia proprietario del veicolo»;

che il Giudice di pace di Varese (r.o. n. 494 del 2007) ipotizza, per parte sua, il contrasto degli artt. 3, 27 e 42 Cost. ad opera del censurato art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

che il rimettente premette di dover conoscere anch’esso dell’opposizione proposta dal padre di un minorenne, sorpreso senza casco protettivo alla guida di un ciclomotore di proprietà del genitore, relativamente al verbale di contestazione dell’infrazione stradale e di sequestro del mezzo in vista della successiva confisca;

che esso reputa, tuttavia, la norma suddetta costituzionalmente illegittima, in primo luogo per violazione dell’art. 3 Cost;

che a suo dire, infatti, «il vincolo teleologico tra la sanzione della confisca e la violazione della norma ha senso solo se riferito alla commissione di un reato ma non alla violazione di norme del codice della strada», giacché solo «nel primo caso e non nel secondo la confisca svolge il ruolo di privare il reo di uno strumento per la commissione di reati»;

che non si comprenderebbe, in particolare, per quale motivo «il minore che proceda su ciclomotore senza casco» debba essere «trattato alla stregua di un rapinatore o di uno spacciatore», i quali subiscono la confisca del ciclomotore «utilizzato o per la rapina o per nascondere gli stupefacenti»;

che, del pari, non si comprende – prosegue il rimettente – «per qual motivo la confisca non sia comminata all’automobilista che non allaccia le cinture di sicurezza», atteso che, se il bene tutelato attraverso la previsione della sanzione della confisca fosse la vita dell’utente della strada, detta esigenza di protezione si porrebbe, identicamente, anche nel caso in cui sia commessa tale infrazione stradale;

che non ragionevole, poi, sarebbe la scelta di ricollegare la sanzione accessoria della confisca anche all’infrazione consistente nella non corretta posizione di guida dei veicoli a due ruote, atteso che l’art. 170 del codice della strada «non precisa, esattamente, quale sia questa posizione», attribuendo, così, all’accertatore «una discrezionalità che comporta quale conseguenza la confisca del mezzo»;

che viene dedotta, infine, anche la violazione dell’art. 42 Cost., in quanto «l’interesse generale alla repressione dei reati, cosa che rende sacrificabile la proprietà con la previsione della confisca del bene utilizzato per la sua commissione, non sussiste nel caso di conducente senza casco su ciclomotore», visto, oltretutto, che se la ratio della previsione di detta sanzione fosse quella della tutela della vita essa dovrebbe comportarne l’applicazione anche ad altre infrazioni stradali;

che è intervenuto in ciascun giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

che la difesa dello Stato – eccepita, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni in quanto, a suo dire, prive di motivazioni sulla rilevanza e non manifesta infondatezza – deduce «l’irrilevanza della questione sollevata in relazione all’art. 171, commi 1 e 2» del codice della strada, giacché essi «prevedono l’obbligo di indossare il casco e comminano la sanzione pecuniaria principale in caso di inosservanza», rimanendo, pertanto, estranea al loro contenuto precettivo ogni determinazione in riferimento al ciclomotore;

che nei casi di specie, pertanto, la «sola disposizione astrattamente rilevante potrebbe essere l’art. 213, comma 2-sexies, che prevede la confisca obbligatoria» proprio nell’ipotesi in cui ricorra taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del medesimo codice della strada;

che, tuttavia, anche la questione avente ad oggetto tale norma si presenta «irrilevante», sebbene «sotto un diverso profilo»;

che, difatti, i giudici a quibus non avrebbero chiarito se, nei casi oggetto dei giudizi principali, risulti provato «il fatto che il veicolo circolava contro la volontà del proprietario», giacché, ricorrendo detta ipotesi, difetterebbe un’adeguata motivazione sull’influenza del prospettato dubbio di costituzionalità;

che, in subordine, l’Avvocatura generale dello Stato deduce l’infondatezza delle questioni sollevate;

che, a suo dire, la confisca è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all’obbligo di indossare il casco protettivo, realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché – sottolinea la difesa erariale – anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l’uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l’obbligo in questione» è ragionevolmente sottoposto, dal censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione;

che l’applicazione di tale sanzione troverebbe, dunque, la sua ragion d’essere nella circostanza che il proprietario del veicolo «ha accettato di concorrere all’incremento complessivo del rischio da circolazione e, contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente», di talché, quella ipotizzabile nei suoi confronti, non è un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui;

che nessuna violazione del principio di eguaglianza, poi, potrebbe essere ravvisata nel caso di specie, essendo priva di fondamento, in particolare, la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

che nella specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

che tali rilievi, inoltre, varrebbero a fugare l’ulteriore dubbio relativo alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, dimostrando come nell’applicazione della sanzione de qua «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché attraverso di essa non si «tende a colpire il patrimonio del responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è detto».

Considerato che i Giudici di pace di Napoli, Barra, Varese e Trecastagni, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 27 e 42 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo originario risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

 che, preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, atteso che la loro identità di oggetto ne giustifica l’unitaria trattazione ai fini di un’unica decisione;

che, nelle more del presente giudizio, i commi 167, 168 e 169 dell’art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), inseriti dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, hanno, rispettivamente, sostituito il testo degli artt. 170, comma 7, 171, comma 3, e 213, comma 2-sexies, del codice della strada, norma, quest’ultima, denunciata da tutti giudici rimettenti;

che, difatti, in virtù del citato ius superveniens, alla «sanzione pecuniaria amministrativa» prevista, rispettivamente, dal comma 6 dell’art. 170 e dal comma 2 dell’art. 171 del codice della strada, consegue – in luogo della confisca, contemplata dal testo censurato dell’art. 213, comma 2-sexies – «il fermo del veicolo per sessanta giorni ai sensi del capo I, sezione II del titolo VI» dello stesso codice (ovvero per la durata di novanta giorni allorché, «nel corso di un biennio», sia «stata commessa, almeno per due volte», una delle violazioni previste dai commi 1 e 2 dell’art. 170 e dal comma 1 dell’art. 171 del medesimo codice della strada);

che ai sensi del novellato art. 213, comma 2-sexies, del predetto codice l’applicazione della confisca risulta ormai limitata a «tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne»;

che, pertanto, alla luce di tale sopravvenienza normativa si impone la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, per una rinnovata valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni dagli stessi sollevate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti ai Giudici di pace di Napoli, Barra, Varese e Trecastagni.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 aprile 2008.