Ordinanza n. 117 del 2008

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ORDINANZA N. 117

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                      Presidente

- Giovanni Maria       FLICK                     Giudice

- Francesco               AMIRANTE                 "

- Ugo                                DE SIERVO                          "

- Paolo                      MADDALENA             "

- Alfio                      FINOCCHIARO           "

- Alfonso                  QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Gaetano                  SILVESTRI                  "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita              SAULLE                      "

- Giuseppe                TESAURO                   "

- Paolo Maria            NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 24, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 21 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso con ordinanza del 21 maggio 2007 dal Tribunale ordinario di Lucca nel procedimento civile vertente tra la Curatela del Fallimento del Calzaturificio Fiorina s.p.a. e la Cariprato – Cassa di Risparmio di Prato s.p.a., iscritta al n. 701 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2007.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Considerato che, con ordinanza depositata il 21 maggio 2007, il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 21 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80);

che il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere su una controversia, introdotta dal curatore di una procedura fallimentare, avente ad oggetto la declaratoria di inefficacia rispetto alla massa fallimentare di talune rimesse operate dal fallito sul proprio conto corrente bancario in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento e che il giudizio è stato iniziato in data 20 febbraio 2007 mediante il deposito di un ricorso, ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della legge fallimentare, nel testo risultante a seguito delle modifiche contenute nella riforma delle procedure concorsuali attuata col d. lgs. n. 5 del 2006;

che il rimettente – disattesa l’eccezione formulata da parte resistente riguardo alla irritualità della introduzione del giudizio, essendo, a suo avviso, applicabile la versione modificata dell’art. 24, secondo comma, della legge fallimentare anche alle procedure aperte, come quella in discorso, prima del 16 luglio 2007 – ha sollevato questione di legittimità costituzionale del ricordato art. 24, secondo comma, della legge fallimentare nella parte in cui dispone che, salva diversa previsione, si applicano alle controversie che derivano dal fallimento le norme previste dagli artt. da 737 a 742 del codice di procedura civile, regolanti il cosiddetto rito camerale;       

che, quanto alla rilevanza della questione, il rimettente ritiene di dover applicare la norma censurata nel giudizio a quo, sostenendo che la azione proposta – volta, come detto, a far affermare la inefficacia rispetto alla massa di talune rimesse finanziarie effettuate dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento –, in quanto derivante dal fallimento e instaurata successivamente al 16 luglio 2006, è, in base ai principi generali, soggetta alla nuova disciplina che prevede il rito camerale;

che, aggiunge il giudice a quo, a conclusioni non diverse si giunge esaminando quanto previsto dall’art. 150 del d. lgs. n. 5 del 2006, il quale, dettando la disciplina transitoria applicabile alle disposizioni contenute nello stesso decreto legislativo, prevede, per quanto qui interessa, la perdurante applicabilità della previgente legislazione ai ricorsi per dichiarazione di fallimento presentati prima della entrata in vigore della riforma e alle procedure fallimentari già pendenti alla stessa data escludendo, quindi, dato il chiaro tenore di detta norma, che ne identifica e delimita l’oggetto, l’applicabilità della precedente disciplina alle azioni che, come quella di cui al giudizio a quo, pur derivando dal fallimento sono, comunque, autonome rispetto alla procedura concorsuale;

che la non manifesta infondatezza della questione è prioritariamente dedotta dal Tribunale di Lucca  con riferimento alla violazione dell’art. 76, sesto comma, della Costituzione;

che, infatti, per il rimettente, la legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), ha delegato al Governo il potere di «modificare la disciplina del fallimento»,  nel rispetto del criterio direttivo volto a «semplificare la disciplina attraverso l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto e l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia»;

che da ciò il rimettente deduce che l’intervento legislativo delegato debba essere contenuto «nei limiti dell’oggetto della disciplina del processo fallimentare» e che, quindi, esso debba essere rivolto solo all’accelerazione delle procedure applicabili ai ricorsi per dichiarazione di fallimento e alle successive controversie endofallimentari, con esclusione dei processi ordinari semplicemente derivanti dal fallimento;

che, a comprova di ciò, il rimettente rileva che nessuno dei restanti principi e criteri direttivi della delega appare consentire una nuova disciplina processuale delle azioni ordinarie che derivano dal fallimento;

che, sempre secondo il Tribunale di Lucca, stando così le cose il legislatore delegato, nell’estendere a tutte le azioni derivanti dal fallimento il modello camerale, avrebbe ecceduto i limiti della delega;     

che la disposizione censurata sarebbe, altresì, in contrasto anche con i parametri fissati dagli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione;

che, quanto al primo profilo, sarebbe in contrasto col canone della ragionevolezza imporre il modello processuale camerale «al di fuori dell’ambito funzionale di esso proprio», in particolare con riferimento a controversie «involgenti la tutela di diritti soggettivi», dato che sarebbe un modello processuale neutro, privo di regolamentazione della fase della cognizione, rimesso alla discrezionalità del giudice e destinato a concludersi con un provvedimento, in forma di decreto, caratterizzato dalla non definitività;

che, in particolare, per il rimettente, il procedimento camerale sarebbe idoneo alla tutela solo di «mere e specifiche» facoltà, laddove garanzia fondamentale dei processi a cognizione piena, siano essi speciali o ordinari, è la predeterminazione delle forme e la suscettibilità dell’accertamento della situazione soggettiva a costituire giudicato;

che, oltre che dall’irragionevolezza, la scelta del legislatore delegato sarebbe viziata anche dal diverso trattamento riservato a situazioni analoghe, diversità determinata solo dall’essere stata, o meno, una delle parti dichiarata fallita;

che, per il rimettente, risulterebbe, altresì, violato l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, posto che la norma censurata avrebbe l’effetto di esporre le parti a regole processuali legate a incerte «direttive giurisdizionali» variabili in ragione dei singoli uffici giudiziari;

che la disposizione censurata sarebbe, infine, in contrasto con l’art. 111 della Costituzione, il quale impone che il giusto processo sia «regolato per legge», onde perseguire il fine suo proprio, «apparendo – la ricordata generalizzata estensione del modello camerale – in contrasto con l’intima essenza dello stesso principio del giusto processo»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato;

che l’Avvocatura statale, in via preliminare, osserva che, a seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, commi 5, 5-bis, e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80), è stata abrogata la norma oggetto di incidente di costituzionalità;

che, pertanto, l’Avvocatura sollecita la restituzione degli atti al giudice rimettente acciocché questi valuti la perdurante rilevanza della sollevata questione;

che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, posto che non potrebbe dubitarsi che la azione proposta nel giudizio a quo, volta alla determinazione della massa fallimentare, debba essere fatta rientrare nel concetto di «procedura concorsuale» di cui alla delega legislativa;

che, quanto agli altri profili di illegittimità costituzionale dedotti, la difesa pubblica nega che il procedimento camerale fornisca minori garanzie rispetto al giudizio ordinario, essendo regolato dal codice di rito, assicurando la tutela delle parti in causa  e potendo condurre, coma da consolidata giurisprudenza, ad una decisione dotata della forza del giudicato;

Ritenuto che, successivamente al deposito della ordinanza con la quale il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 21 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), è entrato in vigore il decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, commi 5, 5-bis, e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80), che, all’art. 3, comma 1, ha espressamente previsto la abrogazione della disposizione oggetto del dubbio di legittimità costituzionale;

che tale evenienza, frutto di sopravvenienza normativa, impone la restituzione degli atti al giudice rimettente, affinché questi valuti la perdurante rilevanza nel giudizio a quo della questione da lui sollevata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Lucca.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2008.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Napoli, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.