Ordinanza n. 114 del 2008

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ORDINANZA N. 114

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                   Presidente

-    Giovanni Maria         FLICK                                 Giudice

-    Francesco                AMIRANTE                             "

-    Ugo                        DE SIERVO                             "

-    Alfio                       FINOCCHIARO                       "

-    Alfonso                   QUARANTA                            "

-    Franco                    GALLO                                    "

-    Luigi                       MAZZELLA                             "

-    Gaetano                   SILVESTRI                              "

-    Sabino                     CASSESE                                "

-    Maria Rita               SAULLE                                  "

-    Giuseppe                 TESAURO                                "

-    Paolo Maria             NAPOLITANO                         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Giudice di pace di Chioggia con ordinanza del 17 luglio 2006, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2007.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che il Giudice di pace di Chioggia, con ordinanza del 17 luglio 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.  25,   comma 2,  del decreto

legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che, a séguito di ricorso immediato della persona offesa, «il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l’imputazione»;

che il rimettente, adito con ricorso della persona offesa ai sensi dell’art. 21 del d. lgs. n. 274 del 2000, si duole che al giudice di pace non sia consentito un «compiuto esercizio delle proprie prerogative» nei casi, come quello di specie, in cui non condivida il parere contrario espresso dal pubblico ministero in ordine alla citazione a giudizio della persona alla quale viene attribuito il reato;

che, infatti, l’art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 274 del 2000, riconoscendo al rappresentante della pubblica accusa un vaglio preventivo in ordine all’ammissibilità ed alla fondatezza del ricorso della persona offesa, si limita a stabilire che il pubblico ministero formula l’imputazione solo se non esprime parere contrario alla citazione, mentre, in base agli artt. 26 e 27 del citato decreto delegato, il giudice di pace, ove non ritenga il ricorso inammissibile o manifestamente infondato o presentato per un reato di competenza di altro giudice, deve convocare le parti in udienza con un decreto, che contiene necessariamente la «trascrizione dell’imputazione»;

che il rimettente, pur dissentendo dal parere del pubblico ministero, ritiene di non poter emettere ugualmente il decreto di convocazione, ostandovi la lettera dell’art. 27 del d. lgs. n. 274 del 2000, che sanziona con la nullità la mancata «trascrizione dell’imputazione»;

che, per far fronte alla paralisi del procedimento, egli non potrebbe ordinare al pubblico ministero di formulare l’imputazione, in analogia con quanto previsto dall’art. 17, comma 4, del d. lgs. n. 274 del 2000 e dall’art. 409, comma 5, del codice di procedura penale, poiché tali disposizioni disciplinano situazioni diverse da quella in esame, nelle quali il giudice che dispone la cosiddetta imputazione coatta non si identifica con il giudice competente a conoscere del merito del procedimento;

che neppure potrebbe riportare nel decreto di convocazione l’addebito contenuto nel ricorso immediato, dato che, in base alla lettera dell’art. 27, comma 3, lettera d), del d. lgs. n. 274 del 2000, il contenuto della trascrizione deve necessariamente «preesistere in un testo», e che, comunque, avallando tale opzione ermeneutica, «si ammetterebbe il pieno ed esclusivo esercizio dell’azione penale in capo al ricorrente, sottraendolo al pubblico ministero», in contrasto con l’art. 112 della Costituzione;

che, escluse le soluzioni della cosiddetta imputazione coatta e della trascrizione dell’addebito formulato dal ricorrente, al giudice di pace non resterebbe che disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero, onde consentire a quest’ultimo di procedere nelle forme ordinarie, ma anche tale soluzione non pare al rimettente esente da censure, poiché, con essa, si attribuisce al pubblico ministero «una sorta di potere di veto sulla procedura del ricorso»;

che, pertanto, il giudice a quo solleva questione di costituzionalità dell’art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 274 del 2000, il quale, non prevedendo che «il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l’imputazione», si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;

che la denunciata norma violerebbe innanzitutto il principio di ragionevolezza, in quanto obbligherebbe il giudice a restituire gli atti al pubblico ministero, «contrariamente all’ipotesi, inversa, in cui l’avvenuta formulazione dell’imputazione non impedisce al giudice di ritenere, nel pieno esercizio delle proprie prerogative, il ricorso inammissibile, infondato ovvero presentato dinanzi a un giudice incompetente»;

che, inoltre, la disposizione censurata lederebbe il diritto di difesa del ricorrente, il quale, con la restituzione degli atti al pubblico ministero, «verrebbe privato di un importante strumento processuale riconosciutogli dal legislatore», per di più per ragioni non condivise dal giudice;

che, infine, il citato art. 25, comma 2, violerebbe il principio della ragionevole durata del processo, poiché, una volta restituiti gli atti al pubblico ministero, il procedimento seguirebbe l’iter ordinario, con tempi notevolmente più lunghi rispetto a quelli stabiliti per il ricorso immediato, che consente l’instaurazione del giudizio senza la fase delle indagini preliminari;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare la questione inammissibile, per non avere il rimettente utilizzato tutti i poteri interpretativi che la legge gli riconosce, o infondata;

che, a sostegno della ragionevolezza della previsione della restituzione degli atti al pubblico ministero che abbia espresso parere contrario alla citazione, la difesa erariale osserva che di norma spetta proprio al pubblico ministero «scegliere la forma di esercizio dell’azione penale», mentre, secondo uno schema che si ripete in altri casi, il giudice può rilevare che il rito speciale «è stato promosso fuori dei presupposti di legge».

Considerato che il Giudice di pace di Chioggia dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che, a seguito di ricorso immediato della persona offesa, «il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l’imputazione»;

che il ricorso immediato della persona offesa deve essere previamente comunicato al pubblico ministero e questi, entro dieci giorni, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 274 del 2000, se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, esprime parere contrario alla citazione altrimenti formula l’imputazione, confermando o modificando l’addebito contenuto nel ricorso;

che, a norma dell’art. 26 del citato decreto delegato, il giudice di pace, anche se il pubblico ministero non ha formulato richieste, ove ritenga il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, ne dispone la trasmissione all’organo della pubblica accusa per l’ulteriore corso del procedimento, mentre, secondo l’art. 27 del d. lgs. n. 274 del 2000, «se non deve provvedere ai sensi dell’articolo 26», convoca le parti in udienza con un decreto, il quale deve contenere la trascrizione dell’imputazione;

che il rimettente si duole che, sulla base di tale disciplina, il giudice di pace sia costretto a disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, anche qualora non condivida il parere negativo da questi espresso sul ricorso, ostando alla emissione del decreto di convocazione delle parti la mancanza di una imputazione da trascrivervi;

che, a suo avviso, l’art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 274 del 2000, là dove non prevede che il pubblico ministero debba formulare l’imputazione anche se esprime parere contrario alla citazione, víola: l’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza di una disciplina che, obbligando il giudice alla trasmissione degli atti, attribuisce efficacia vincolante al parere del pubblico ministero, diversamente da quanto accade nel caso della «avvenuta formulazione dell’imputazione», in cui il giudice ben può disattendere la richiesta del rappresentante della pubblica accusa; l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto, con la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il ricorrente viene privato «di un importante strumento processuale riconosciutogli dal legislatore»; l’art. 111, secondo comma, della Costituzione, perché, una volta trasmessi gli atti al pubblico ministero, il procedimento segue l’iter ordinario, con tempi notevolmente più lunghi rispetto a quelli stabiliti per il ricorso immediato;

che l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa erariale non è fondata, poiché il rimettente ha adeguatamente esplorato le diverse opzioni ermeneutiche offerte dal dato normativo, censurando infine l’interpretazione oramai fatta propria dal giudice di legittimità, secondo la quale al parere contrario del pubblico ministero consegue necessariamente la trasmissione degli atti;

che, nel merito, questa Corte ha già avuto modo di rilevare come, nel procedimento introdotto dal ricorso immediato della persona offesa, il pubblico ministero sia tenuto a formulare l’imputazione solo in presenza di una richiesta di citazione che egli consideri non inammissibile e non manifestamente infondata (ordinanza n. 381 del 2005);

che nella denunciata disciplina trova coerente espressione la scelta del legislatore delegato di riconoscere esclusivamente al pubblico ministero la titolarità dell’iniziativa penale in ordine ai reati di competenza del giudice di pace perseguibili a querela;

che, infatti, la portata preclusiva del parere sfavorevole del rappresentante della pubblica accusa deriva quale conseguenza necessitata della configurazione del nuovo istituto del ricorso immediato della persona offesa come atto meramente propositivo, rispetto al quale è rimesso al pubblico ministero di aderire o meno, nell’esercizio delle funzioni connesse all’anzidetta prerogativa;

che la previsione dell’art. 26 del d. lgs. n. 274 del 2000, che consente al giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministero anche se questi abbia formulato l’imputazione, lungi dal dimostrare, come vorrebbe il rimettente, l’esistenza di un’aporia nell’impianto delineato dal decreto delegato, costituisce attuazione del principio per cui, nel sistema processuale penale, le iniziative del pubblico ministero devono ritenersi normalmente soggette al controllo del giudice competente;

che la trasmissione degli atti non inibisce la prosecuzione del procedimento nelle forme ordinarie, con la possibilità per il giudice di pace di disporre la cosiddetta imputazione coatta ai sensi dell’art. 17, comma 4, del d. lgs. n. 274 del 2000, ove il pubblico ministero, all’esito di ulteriori indagini, avanzi richiesta di archiviazione (ordinanze n. 43 del 2007, n. 381 e n. 361 del 2005);

che, stante il disposto dell’art. 21, comma 5, del d. lgs. n. 274 del 2000, secondo cui la presentazione del ricorso produce gli stessi effetti della presentazione della querela, deve poi escludersi che dalla trasmissione degli atti al pubblico ministero derivi una irrazionale compressione del diritto di difesa del ricorrente, le ragioni del quale possono adeguatamente farsi valere nell’ulteriore corso di un procedimento che, peraltro, resta connotato dal costante coinvolgimento della persona offesa, in correlazione con la finalità conciliativa della giurisdizione penale del giudice di pace (ordinanza n. 28 del 2007);

che, infine, il principio della ragionevole durata del processo non risulta leso da una disciplina che deve considerarsi frutto di coerenti scelte normative in ordine alla conformazione dei diversi moduli introduttivi del giudizio innanzi al giudice di pace (ordinanze n. 67 del 2007, n. 225 del 2003);

che, in conclusione, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Chioggia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2008.