Ordinanza n. 87 del 2008

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ORDINANZA N. 87

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                       Presidente

- Giovanni Maria        FLICK                      Giudice

- Francesco               AMIRANTE                  "

- Ugo                        DE SIERVO                  "

- Paolo                      MADDALENA              "

- Alfio                       FINOCCHIARO            "

- Alfonso                   QUARANTA                 "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                       MAZZELLA                  "

- Gaetano                  SILVESTRI                   "

- Sabino                    CASSESE                     "

- Maria Rita               SAULLE                       "

- Giuseppe                 TESAURO                    "

- Paolo Maria             NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 17 (recte: 15), 47, 128, 129 e 150 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della  legge 14 maggio 2005, n. 80), nonché degli artt. 24, 25 e 26 (rectius: artt. 24, comma 1, lettera n, 25, comma 1, lettera n, e 26, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), promossi con ordinanza del 26 febbraio 2007 dal Tribunale ordinario di Udine, con 7 ordinanze del 19 gennaio 2007 e 3 ordinanze del 14 marzo 2007 dal Tribunale ordinario di Pescara, rispettivamente iscritte ai nn. 521, 624, 625, 626, 627, 628, 629, 719, 720, 721 e 722 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28, 36 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2007.

       Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio originato dalla istanza di D. G. G., dichiarata fallita con sentenza del 5 giugno 1991, volta ad ottenere, dopo cinque anni dalla chiusura del fallimento, disposta con decreto del 19 ottobre 2000, la dichiarazione di riabilitazione ex art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), il Tribunale ordinario di Udine, con ordinanza depositata il 26 febbraio 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 17 (recte: 15), 47, 128, 129 e 150 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della  legge 14 maggio 2005, n. 80), nonché degli artt. 24, 25 e 26 (rectius: artt. 24, comma 1, lettera n, 25, comma 1, lettera n, e 26, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti);

che il Tribunale rimettente, osservato che, essendo stato abolito il registro dei falliti a seguito della intervenuta abrogazione dell’art. 50 della legge fallimentare, ed essendo, conseguentemente, anche caduta la previsione della iscrizione in esso del nominativo delle persone delle quali fosse stato dichiarato il fallimento, sono venute meno le conseguenze pregiudizievoli che erano connesse alla predetta iscrizione, rileva che deve ritenersi non più esperibile la procedura di riabilitazione connessa ai fallimenti già chiusi alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, posto che l’art. 150 dello stesso decreto legislativo prevede che si continui ad applicare la precedente disciplina fallimentare solo alle procedure ancora pendenti al momento della entrata in vigore della nuova normativa, mentre la riabilitazione presuppone la già avvenuta chiusura del fallimento;

che, prosegue il rimettente, sebbene la nuova disciplina dei fallimenti preveda, anche per quelli apertisi anteriormente alla sua entrata in vigore, la immediata cessazione di tutte le «incapacità del fallito» al momento della chiusura del fallimento, tuttavia non è possibile «cancellare» dal casellario giudiziale la iscrizione della sentenza dichiarativa del fallimento, se non in caso di revoca di questo;

che, aggiunge il  Tribunale di Udine, secondo quanto prescritto dall’art. 3, lettera q), del d.P.R. n. 313 del 2002, la iscrizione nel casellario giudiziale della sentenza di fallimento deve tuttora essere eseguita, col risultato che, anche per i fallimenti dichiarati sotto il vigore della nuova disciplina fallimentare, essendo stata abrogata la procedura di riabilitazione, non è più possibile ottenere, neppure dopo la chiusura del fallimento, la non menzione dell’avvenuto fallimento nei certificati del casellario giudiziale;

che, secondo il rimettente, ciò determina sia «una palese compromissione dei diritti civili delle persone sottoposte a fallimento», risultando impossibile – a causa della abolizione del procedimento per la riabilitazione – anche per coloro che fossero stati dichiarati falliti sulla base delle norme previgenti e non avessero ancora maturato i requisiti per chiedere la riabilitazione, o comunque non lo avessero fatto prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, ottenere la «cancellazione» della dichiarazione di fallimento dal casellario giudiziale, sia un’inammissibile disparità di trattamento fra quanti, prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, hanno conseguito il predetto beneficio, e quanti, quale sia stata la legge regolatrice del loro fallimento, non avendo tempestivamente ottenuto la riabilitazione, continueranno ad essere gravati dalla menzionata pregiudizievole iscrizione;

che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o, comunque, per l’infondatezza della questione sollevata;

che, preliminarmente, la difesa erariale ha dedotto la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, affermando che, non sussistendo allo stato a carico della istante nel giudizio a quo alcuna conseguenza pregiudizievole della dichiarazione di fallimento, la medesima sarebbe, in quello stesso giudizio, carente di interesse a ricorrere;

che, nel merito, la interveniente difesa ha osservato che il rimettente non avrebbe dimostrato quale lesione possa derivare, a chi sia fallito, dalla iscrizione, meramente rappresentativa del dato storico, della sentenza dichiarativa del fallimento nel casellario giudiziale;

che, con dieci ordinanze, sostanzialmente di identico tenore – sette delle quali depositate il 19 gennaio 2007 e tre il 14 marzo 2007, pronunziate nel corso di altrettanti giudizi volti al conseguimento della riabilitazione da parte di coloro il cui fallimento, dichiarato anteriormente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, era stato chiuso oltre 5 anni prima di tale data – il Tribunale ordinario di Pescara ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui non prevede la persistente applicabilità, nei confronti di quei soggetti il cui fallimento sia stato integralmente regolato dalla previgente disciplina fallimentare, delle disposizioni che prevedevano e regolavano la procedura di riabilitazione;

che, come rileva il rimettente, il 16 gennaio 2006 è entrato in vigore l’art. 47 del d.lgs. n. 5 del 2006, il quale ha abrogato l’art. 50 della legge fallimentare che istituiva il registro dei falliti e correlava alla iscrizione in detto registro la persistenza delle incapacità personali stabilite dalla legge a carico dei falliti;

che, prosegue il Tribunale di Pescara, sebbene il citato art. 47 del d.lgs. n. 5 del 2006 sia applicabile anche ai fallimenti dichiarati prima della sua entrata in vigore, di talché, anche per tali fattispecie, può ritenersi che dalla data sopra indicata le incapacità personali che conseguono al fallimento permangono soltanto finché permane lo status di fallito e cessano con la chiusura del fallimento, senza che sia a tal fine necessario procedere alla riabilitazione del fallito, tuttavia non per questo vi è totale carenza di interesse da parte dei ricorrenti nei giudizi a quibus;

che, infatti, gli effetti della riabilitazione non si esauriscono nella sola cancellazione del nome del riabilitato dal registro dei falliti e nella conseguente “cessazione delle incapacità personali” connesse a tale iscrizione, residuando anche quelli previsti dall’art. 241 legge fallimentare, relativamente alla estinzione del reato di bancarotta semplice o, in caso di già intervenuta condanna, della esecuzione e degli effetti di questa, nonché dagli artt. 24, 26 e 28 del d.P.R. n. 313 del 2002, disposizioni, queste, che subordinano la non menzione dei provvedimenti concernenti il fallimento nei certificati del casellario giudiziale alla definitività della sentenza di riabilitazione;

che, continua il rimettente, a decorrere dal 16 luglio del 2006, data di entrata in vigore nella sua completezza del d.lgs. n. 5 del 2006 – il quale, agli artt. 128 e 129, ha sostituito all’istituto della riabilitazione quello, avente diversa natura, della esdebitazione – si è determinata non solo la impossibilità di ammettere i ricorsi per riabilitazione relativi a fallimenti disciplinati dalle nuove norme, ma anche la impossibilità di ammettere gli analoghi ricorsi riferiti a fallimenti disciplinati dalla normativa previgente;

che a tale conclusione il rimettente giunge in quanto l’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, nel dettare la disciplina transitoria fra il sistema precedente alla riforma e quello successivo, limita l’ultrattività della previgente legge fallimentare (oltre che ai ricorsi per dichiarazione di fallimento già depositati) alle procedure di fallimento pendenti alla data del 16 luglio 2006, così escludendo i procedimenti per riabilitazione che, sebbene presuppongano una procedura fallimentare, non ne costituiscono una fase, essendo, invece autonomi, per genesi e disciplina, rispetto ad essa;

che, da quanto sopra, il rimettente fa derivare, per i debitori dichiarati falliti che già non l’abbiano ottenuta prima del 16 luglio 2006, la impossibilità di accedere alla riabilitazione, anche quale causa di estinzione del reato di bancarotta semplice o degli effetti della relativa condanna nonché quale motivo della non menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale;

che, secondo il rimettente, ciò determina un’inammissibile disparità di trattamento fra situazioni identiche, non trovando giustificazione alcuna la discriminazione, sotto il profilo dell’accesso alla riabilitazione, esistente fra soggetti le cui procedure sono state disciplinate dalla medesima normativa, cagionata solo dal fatto che taluni, e non altri, abbiano ottenuto la riabilitazione prima di una certa data;

che il rimettente ritiene non emendabile in via interpretativa la descritta disparità di trattamento, sicché l’unico mezzo per rimuoverla è sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006 in quanto non prevede l’applicabilità della disciplina della riabilitazione civile, di cui agli artt. da 142 a 145 della legge fallimentare nel testo anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, ai fallimenti soggetti, per il resto, alla previgente normativa fallimentare;

quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale rimettente osserva che la norma censurata deve essere applicata nei giudizi a quibus, derivando dall’esito dell’incidente di costituzionalità l’ammissibilità o meno dei ricorsi;

che, relativamente a quattro delle ordinanze di rimessione, cioè quelle contraddistinte dai numeri di registro 719, 720, 721 e 722 del 2007, è intervenuto in giudizio, con comparse di identico tenore, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il quale, rifacendosi ai medesimi argomenti già svolti in occasione dell’analogo intervento in giudizio concernente l’ordinanza del Tribunale di Udine, ha concluso per la inammissibilità ovvero per l’infondatezza della sollevata questione.     

Considerato che il Tribunale ordinario di Udine ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 17 (recte: 15), 47, 128, 129 e 150 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nonché degli artt. 24, 25 e 26 (rectius: artt. 24, comma 1, lettera n, 25, comma 1, lettera n, e 26, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), in quanto, essendo stata abolita per il fallito la possibilità di ottenere la riabilitazione civile come prevista dagli articoli da 142 a 145 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo vigente anteriormente alla entrata in vigore del predetto d.lgs. n. 5 del 2006, colui che sia stato dichiarato fallito, vigente la vecchia disciplina, sarebbe stato privato, in maniera irragionevole e con lesione della facoltà di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, della possibilità di conseguire il beneficio della non menzione dei provvedimenti concernenti il fallimento nei certificati, generale e civile, del casellario giudiziale rilasciati a richiesta dell’interessato, conseguendo siffatto beneficio solo alla avvenuta riabilitazione del fallito con sentenza passata in giudicato;

che, a sua volta, il Tribunale ordinario di Pescara, con dieci ordinanze aventi contenuto sostanzialmente identico, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del solo art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui, non prevedendo la ultrattività – nei confronti di coloro che siano stati dichiarati falliti con integrale applicazione, sino alla chiusura della procedura,  della previgente disciplina fallimentare – delle disposizioni  che, nel testo della legge fallimentare anteriore alla riforma realizzata col citato d.lgs. n. 5 del 2006, regolavano la riabilitazione civile, impedisce a questi soggetti di beneficiare delle persistenti conseguenze favorevoli della riabilitazione quali, ai sensi dell’art. 241 legge fallimentare, la estinzione del reato di bancarotta semplice oppure, ove già sia intervenuta condanna, la cessazione della sua esecuzione e degli altri effetti, o quali, ai sensi degli artt. 24 e 26 del d.P.R. n. 313 del 2002, la non menzione dei provvedimenti concernenti il fallimento nei certificati, generale e civile, del casellario giudiziale rilasciati a richiesta dell’interessato;

che, attesa l’evidente connessione fra gli incidenti di costituzionalità, essi possono essere riuniti e trattati congiuntamente per essere decisi con unica pronunzia;

che, successivamente al deposito delle undici ordinanze di remissione, il quadro normativo di riferimento nel quale si inscrivono le disposizioni oggetto di questione di legittimità costituzionale è sensibilmente mutato;

che, in particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2008, è entrato in vigore il decreto legislativo 12 settembre  2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, commi 5, 5-bis, e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80), il quale, all’art. 21, comma 1, ha espressamente disposto la abrogazione di talune disposizioni contenute del d.P.R. n. 313 del 2002;

che, nello specifico, oltre ad essere stati abrogati l’art. 3, comma 1, lettera l), del d.P.R. n. 313 del 2002, norma che disciplinava la iscrizione nel casellario giudiziale, fra l’altro, dei provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto la dichiarazione di fallimento, e il successivo art. 5, comma 2, lettera i), del medesimo d.P.R. n. 313 del 2002, che, a sua volta prevedeva la eliminazione della iscrizione della sentenza dichiarativa del fallimento solo in caso di intervenuta revoca definitiva dello stesso, risultano essere stati oggetto di abrogazione anche gli stessi artt. 24, comma 1, lettera n), 25, comma 1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 313 del 2002, cioè alcune delle disposizioni legislative censurate dal Tribunale di Udine e che anche il Tribunale di Pescara ha tenuto presente nel motivare il proprio incidente di costituzionalità, trattandosi proprio delle disposizioni che disciplinavano la inseribilità o meno nei certificati del casellario giudiziale della sentenza dichiarativa del fallimento;

che, peraltro, il medesimo art. 21 del d.lgs. n. 169 del 2007, al comma 2, prevede altresì che, per le procedure concorsuali aperte a far data dal 16 gennaio 2006, il richiamo, contenuto negli artt. 24, comma 1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 313 del 2002, all’istituto della riabilitazione deve intendersi riferito alla chiusura del fallimento;

che, oltre alle ricordate sopravvenienze legislative, è ancora intervenuta la sentenza n. 39 del 2008 di questa Corte che, nel dichiarare la illegittimità costituzionale degli art. 50 e 142 della legge fallimentare, nel testo anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, – concernenti, il primo, la istituzione del “pubblico registro dei falliti” e la previsione della permanenza delle incapacità connesse allo status di fallito fin tanto che dura la predetta iscrizione e, il secondo, la cancellazione della iscrizione in questione e la cessazione delle ricordate incapacità solo a seguito della definitività della sentenza di riabilitazione – ha precisato, anche sulla scorta della giurisprudenza formatasi presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, che le norme suddette risultavano in contrasto con l’art. 3 della Costituzione proprio là dove prevedevano che determinati effetti del fallimento, assunti come genericamente sanzionatori, permanessero anche «dopo la chiusura del fallimento […] senza correlarsi alla protezione di interessi meritevoli di tutela»;

che la complessità ed articolazione delle menzionate sopravvenienze, intervenute nell’ambito normativo oggetto delle ordinanze di rimessione, inducono questa Corte a disporre la restituzione degli atti ai due rimettenti perché valutino, anche in considerazione di eventuali ulteriori prospettive interpretative costituzionalmente orientate, la perdurante rilevanza delle rispettive questioni nei giudizi di cui sono investiti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Udine e al Tribunale ordinario di Pescara.

Così deciso in Roma, presso la sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31 marzo 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2008.