Ordinanza n. 68 del 2008

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ORDINANZA N. 68

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                        Presidente

- Giovanni Maria          FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                  "

- Ugo                          DE SIERVO                                  "

- Alfio                         FINOCCHIARO                            "

- Alfonso                     QUARANTA                                 "

- Franco                      GALLO                                         "

- Luigi                         MAZZELLA                                  "

- Gaetano                    SILVESTRI                                   "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                 SAULLE                                       "

- Giuseppe                   TESAURO                                     "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, ultima parte, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 18 novembre 2003 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Udine, nel procedimento penale a carico di P. F., iscritta al n. 533 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Udine ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, ultima parte, del codice di procedura penale, come sostituito dalla legge 7 novembre 2002, n. 248 (Modifica degli articoli 45, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale), «nella parte in cui prevede che il giudice non dispone la sospensione del processo in caso di riproposizione di richiesta di rimessione già dichiarata inammissibile o rigettata» dalla Corte di cassazione, «solo se la richiesta non è fondata su elementi nuovi»;

che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che, nel corso dell’udienza preliminare, l’imputato aveva presentato, oltre a due istanze di ricusazione, quattro richieste di rimessione, ai sensi dell’art. 45 cod. proc. pen.;

che la penultima di tali richieste era stata dichiarata inammissibile dalla Corte di cassazione, con ordinanza comunicata al giudice procedente l’11 novembre 2003;

che lo stesso giorno l’imputato aveva depositato un’ulteriore richiesta di rimessione fondata su motivi, «almeno formalmente, diversi dai precedenti»: il che – ad avviso del rimettente – comporterebbe, in base alla norma denunciata, che il processo debba essere sospeso prima della discussione e che non possano essere pronunciati né il decreto che dispone il giudizio, né la sentenza di non luogo a procedere;

che il giudice a quo dubita, tuttavia, della compatibilità della norma impugnata con i parametri costituzionali evocati, ricordando come questa Corte, con la sentenza n. 353 del 1996, abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale del previgente testo dell’art. 47 cod. proc. pen., nella parte in cui faceva divieto al giudice di pronunciare la sentenza sino a che non fosse intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione;

che – secondo quanto affermato dalla Corte – tale divieto non teneva conto, infatti, dei possibili abusi nella riproposizione della richiesta già dichiarata inammissibile o rigettata, in base a motivi anche solo in apparenza nuovi, finalizzati ad allontanare nel tempo la decisione di merito, provocando la paralisi delle attività processuali: donde la compromissione del bene costituzionale dell’efficienza del processo e del canone fondamentale della razionalità delle norme processuali;

che la successiva legge n. 248 del 2002, modificativa della disciplina della rimessione – prosegue il giudice a quo – avrebbe escluso, peraltro, l’automatica sospensione del processo unicamente nel caso in cui la richiesta risulti basata sui medesimi motivi di altra richiesta già rigettata o dichiarata inammissibile;

che, in tal modo, il legislatore non si sarebbe fatto carico dell’esigenza di prevenire i possibili abusi: l’«argine» della «novità» dei motivi – in quanto rimesso «alle capacità dialettiche della parte interessata» – risulterebbe difatti inidoneo allo scopo, tanto più dopo l’inserimento, tra i casi di rimessione, di ipotesi «generiche» quale il legittimo sospetto; onde permarrebbe il rischio che la sistematica riproposizione della richiesta di rimessione, basata su motivi anche solo in apparenza nuovi, pregiudichi irragionevolmente l’efficienza del processo;

che tale considerazione risulterebbe ancor più pregnante a fronte del nuovo precetto dell’art. 111 Cost., il quale impegna il legislatore ad assicurare tempi ragionevoli del processo, evitando ogni disciplina espressiva di un incongruo bilanciamento tra interesse tutelato ed effetti della norma di tutela sulle attività processuali;

che, in tale ottica, potrebbe dubitarsi della ragionevolezza di consentire una sospensione tendenzialmente indefinita del processo, anche dopo che la Corte di cassazione ha verificato, nell’esaminare una prima istanza di rimessione, la situazione ambientale in cui il processo stesso si sta svolgendo: giacché neppure l’esigenza di assicurare un giudizio che appaia «indiscutibilmente imparziale» può essere perseguita ad ogni costo, ma va contemperata con il concorrente interesse alla speditezza delle attività processuali;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Udine dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dell’art. 47, comma 2, ultima parte, del codice di procedura penale, come sostituito dalla legge 7 novembre 2002, n. 248 (Modifica degli articoli 45, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale), nella parte in cui prevede che – nel caso di riproposizione di una richiesta di rimessione già dichiarata inammissibile o rigettata dalla Corte di cassazione – il giudice che procede non sia tenuto a sospendere il processo solo quando la richiesta non risulti fondata su elementi nuovi;

che il giudice rimettente motiva la rilevanza della questione riferendo che, nel giudizio a quo, l’imputato ha riproposto una richiesta di rimessione, già dichiarata inammissibile, sulla base di motivi «almeno formalmente» diversi dai precedenti: iniziativa che – ad avviso del rimettente stesso – farebbe scattare l’obbligo di sospensione del processo previsto dall’art. 47, comma 2, cod. proc. pen.;

che, nello scrutinare analoghe questioni di legittimità costituzionale, questa Corte ha già avuto modo di rilevare, peraltro, come la citata disposizione subordini espressamente l’obbligo di sospensione a una duplice condizione, preliminare rispetto a quella della novità dei motivi (ordinanza n. 268 del 2004);

che, a detto fine, l’art. 47, comma 2, cod. proc. pen. esige, infatti, da un lato, che il processo stia per entrare in una fase particolarmente “qualificata” («prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione», ovvero prima della pronuncia del decreto che dispone il giudizio o della sentenza); dall’altro lato, che il giudice abbia avuto notizia dalla Corte di cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite, ovvero a una sezione diversa dall’apposita sezione cui sono assegnati i ricorsi quando il Presidente rileva una causa di inammissibilità;

che dall’ordinanza di rimessione, tuttavia, non consta affatto che il giudice a quo abbia ricevuto la notizia ora indicata: anzi, non risulta neppure che la nuova richiesta sia stata trasmessa alla Cassazione, in modo da rendere possibile la verificazione della seconda condizione, essendo stata la questione sollevata subito dopo il deposito della richiesta stessa in cancelleria;

che, pertanto – a prescindere da ogni rilievo circa la validità dell’assunto del rimettente, stando al quale la novità anche solo «formale» dei motivi basterebbe ad imporre la sospensione del processo, ai sensi della norma denunciata (nel senso che l’identità dei motivi vada invece apprezzata «sia in senso formale che materiale», con riguardo alla parallela ipotesi della reiterazione delle dichiarazioni di ricusazione del giudice, si vedano le ordinanze n. 285 del 2002, n. 366 del 1999 e n. 466 del 1998) – il giudice a quo non risulta comunque chiamato, allo stato, a fare applicazione di detta norma: donde l’irrilevanza della questione sollevata;

che la questione stessa va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, ultima parte, del codice di procedura penale, come sostituito dalla legge 7 novembre 2002, n. 248 (Modifica degli articoli 45, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Udine con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2008.