Ordinanza n. 445 del 2007

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ORDINANZA N. 445

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-      Franco                                 BILE                             Presidente

-      Giovanni Maria                    FLICK                           Giudice

-      Francesco                             AMIRANTE                       "

-      Ugo                                     DE SIERVO                        "

-      Paolo                                   MADDALENA                    "

-      Alfio                                   FINOCCHIARO                  "

-      Alfonso                               QUARANTA                       "

-      Franco                                 GALLO                              "

-      Luigi                                   MAZZELLA                       "

-      Gaetano                               SILVESTRI                        "

-      Sabino                                 CASSESE                           "

-      Maria Rita                            SAULLE                            "

-      Giuseppe                              TESAURO                          "

-      Paolo Maria                          NAPOLITANO                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze del 5 dicembre 2005 e del 16 agosto 2006 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria nei procedimenti penali a carico di Z. P. e di C. S., iscritte al n. 180 del registro ordinanze 2006 e al n. 358 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2006 e n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che, con due distinte ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, rispettivamente del 5 dicembre 2005 e del 16 agosto 2006, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria – a séguito di istanza dell’imputato diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della misura cautelare in atto a suo carico, per decorso dei termini massimi di custodia cautelare – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13, quinto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il divieto delle contestazioni a catena si applichi anche a fatti diversi non connessi, oggetto di indagine in procedimenti separati ma pendenti presso la stessa autorità giudiziaria, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza per il secondo fatto, commesso prima dell’emissione della prima ordinanza, fossero già desumibili dagli atti del relativo procedimento al momento della emissione della stessa ordinanza;

che, relativamente all’oggetto del giudizio di cui alla prima ordinanza di rimessione (r.o. n. 180 del 2006), il giudice a quo riferisce che l’imputato – appellante avverso sentenza che lo aveva condannato, per rapina commessa in data 1° dicembre 2003, ad anni dieci di reclusione, oltre alla multa – è stato indagato per altro reato (furto aggravato) nell’àmbito di un procedimento penale iscritto con un diverso numero di ruolo, per il quale aveva pure subito custodia cautelare in carcere, con provvedimento emesso il 26 marzo 2004 ed eseguito il 30 marzo 2004;

che, successivamente, lo stesso imputato è stato destinatario di una ordinanza di custodia cautelare anche per il reato (rapina) per il quale si procede nell’àmbito del procedimento a quo, con provvedimento restrittivo emesso il 5 maggio 2005 e notificatogli in data 12 maggio 2005 presso il luogo di detenzione;

che l’imputato è stato ammesso al rito abbreviato per quest’ultimo reato, in data 15 aprile 2005, con la conseguenza che, secondo la difesa, a tale data era già decorso il termine massimo di custodia cautelare di anni uno, decorrente dal momento dell’esecuzione del primo provvedimento cautelare, avvenuta il 30 marzo 2004, relativo ad un diverso procedimento, per altro reato (furto aggravato) non connesso;

che, relativamente all’oggetto del giudizio di cui alla seconda ordinanza di rimessione (r.o. n. 358 del 2007) il giudice a quo riferisce che l’imputato – arrestato in data 4 giugno 2003 per detenzione di stupefacenti e poi condannato ad anni quattro di reclusione – è stato raggiunto il 13 dicembre 2004 da altra misura cautelare emessa dalla medesima autorità giudiziaria (il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria), per fatti accertati nel 2002 – detenzione di sostanze stupefacenti e relativo delitto associativo, con contestazione chiusa all’agosto 2002 – ma non connessi al primo reato, e per i quali è stato poi condannato ad anni dieci di reclusione;

che, in entrambe le fattispecie, i difensori degli imputati sostengono che gli effetti del secondo provvedimento restrittivo andrebbero retrodatati al momento dell’esecuzione del primo, sulla base delle pronunce della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 21957 del 2005, e della Corte costituzionale n. 408 del 2005, dal momento che il giudice di legittimità ha ritenuto applicabile il meccanismo di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. anche a fatti tra loro non connessi, purché il quadro indiziario legittimante la misura cautelare per un secondo reato risulti già agli atti anteriormente all’emissione del primo provvedimento restrittivo, emesso per reato non connesso; e che la Corte costituzionale ha reso cogente l’interpretazione della Corte di cassazione, dichiarando che l’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. è costituzionalmente illegittimo «nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza»;

che il reato, per il quale è stata eseguita la seconda misura cautelare, è stato commesso in data anteriore all’emissione della prima misura e gli elementi indiziari relativi erano parimenti emersi prima dell’emissione della medesima, come si desume dal contenuto della corrispondente ordinanza;

che, quindi, risulterebbero sussistenti tutti i requisiti richiesti per l’attivazione del meccanismo di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., come integrato dalla sentenza n. 408 del 2005 della Corte costituzionale, in relazione al tempus delicti ed al momento della disponibilità degli elementi indiziari relativi al secondo fatto non connesso, entrambi collocabili già in un tempo che precede l’emissione del primo provvedimento restrittivo;

che l’unica peculiarità delle due fattispecie è che si verte in una situazione in cui i fatti per i quali sono stati emessi i provvedimenti restrittivi sono oggetto di procedimenti differenti;

che il problema della applicabilità del divieto della “contestazione a catena” di cui al comma 3 dell’art. 297 cod. proc. pen. a fatti tra loro connessi, ma separatamente pendenti in procedimenti distinti, è stato risolto dalla pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 9 del 1997, con la quale è stato ritenuto che esso deve essere applicato anche «a fatti diversi, nell’ambito di un unico o di distinti procedimenti connessi, e quindi cumulabili innanzi allo stesso giudice»;

che anche per il caso di reati non connessi, per i quali si procede separatamente in differenti procedimenti – come nelle fattispecie concrete in esame –, sarebbe possibile sostenere l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., combinando all’integrazione normativa conseguente alla decisione della Corte costituzionale l’interpretazione dell’istituto che emerge dalla citata pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione;

che, secondo il rimettente, allorché si tratti di procedimenti non connessi, separati ma pendenti presso la stessa autorità giudiziaria, la disciplina di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. dovrebbe trovare applicazione, malgrado lo stato attuale della legislazione lo impedisca;

che la ratio dell’intervento additivo della Corte costituzionale consiste – rileva il giudice a quo – nell’esigenza di garantire il minimo sacrificio possibile per la libertà personale del cittadino, senza che alcuno spazio possa «residuare in capo agli organi titolari del potere cautelare di scegliere il momento a partire dal quale possono essere fatti decorrere i termini custodiali in caso di pluralità di titoli e di fatti reato cui si riferiscono», onde salvaguardare «i valori di certezza e di durata minima della custodia cautelare», nonché nell’esigenza di assicurare «l’identico regime di garanzia» di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. anche «in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze»;

che – avverte ancora il rimettente –, secondo la Corte costituzionale, occorre dunque causare il minor sacrificio possibile alla libertà personale del cittadino, tutelata dall’art. 13 della Costituzione come diritto inviolabile, e predisporre conseguentemente strumenti idonei ad evitare che la decorrenza del termine iniziale della custodia cautelare possa dipendere per qualsiasi causa «da una imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere cautelare»;

che, nei casi in esame, gli imputati si vedrebbero applicare «la normativa aggiunta derivante dalla pronuncia della Corte costituzionale soltanto se i fatti non connessi» di cui sono accusati «fossero stati pendenti nell’ambito del medesimo procedimento»;

che i valori di certezza e di durata minima della custodia cautelare devono essere salvaguardati, secondo il giudice a quo, anche nelle fattispecie oggetto dei giudizi principali, perché anche in tali casi si verte in un’ipotesi in cui l’interessato potrebbe essere esposto all’arbitrio, malevolo o negligente, del pubblico ministero nel far decorrere il termine iniziale della custodia cautelare per uno dei fatti di cui è accusato;

che, prosegue il rimettente, tre sono le modalità in cui potrebbero essere trattati i diversi fatti non connessi sottoposti alla cognizione della medesima autorità giudiziaria – presso il medesimo pubblico ministero nello stesso procedimento; presso il medesimo pubblico ministero ma in procedimenti distinti; presso magistrati diversi della medesima procura della Repubblica – e la normativa in questione si applicherebbe soltanto alla prima di tali evenienze;

che nelle altre due situazioni – una delle quali, la seconda, è quella che interessa – si manifesta pur sempre il pericolo di atteggiamenti inerti, per negligenza ovvero per malizioso artificio, del pubblico ministero, dal momento che questi potrebbe diluire nel tempo le richieste cautelari, opportunamente dilatandone la diacronica decorrenza iniziale;

che l’esposizione a tale rischio implica il difetto sia del requisito dell’obiettività dei criteri per la determinazione del termine iniziale di decorrenza della seconda misura, sia della garanzia del minor sacrificio possibile per la libertà personale;

che, pertanto, rispetto alla situazione di chi, del tutto casualmente, sia oggetto di indagine per due reati non connessi nell’àmbito del medesimo procedimento avanti ad un’unica autorità giudiziaria, la condizione di chi subisca indagini separate ab imis, pur da parte della stessa autorità giudiziaria, risulta deteriore, perché quest’ultimo non potrebbe fruire dell’istituto della retrodatazione, come conseguenza dell’assegnazione dei fatti non connessi a procedimenti diversi, la quale può avvenire anche sulla base di fattori che possono essere meramente casuali ed aleatori;

che la diversità di trattamento – tra chi è indagato per più fatti non connessi nel medesimo procedimento e chi lo è in procedimenti distinti, pur avanti alla medesima autorità giudiziaria, quindi in situazioni sostanzialmente omogenee – appare irragionevole, allo stato della legislazione, poiché risultante in contrasto con il canone di cui all’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata pretermissione dei criteri di certezza ed obiettività nella applicazione dell’istituto in esame, e con quello del minimo sacrificio per la libertà personale, come richiede l’art. 13, quinto comma, della Costituzione;

che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 408 del 2005, la norma censurata si ritiene applicabile soltanto al caso di diversi fatti non connessi trattati nel medesimo procedimento, mentre tale disciplina andrebbe estesa anche all’ipotesi di diversi fatti non connessi trattati nell’àmbito di procedimenti differenti, non riunibili o successivamente separati, ma pendenti presso la medesima autorità giudiziaria;

che la questione, infine, sarebbe rilevante nel caso in esame, giacché la invocata pronuncia di illegittimità costituzionale introdurrebbe una regola che amplierebbe le ipotesi di applicabilità dell’istituto della retrodatazione, consentendo la scarcerazione dell’imputato per decorrenza dei termini di fase della custodia cautelare sofferta, in data anteriore all’ammissione dell’imputato al rito abbreviato.

Considerato che, con due distinte ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, rispettivamente in data 5 dicembre 2005 e 16 agosto 2006, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 408 del 2005 di questa Corte, nella parte in cui non prevede che il divieto delle contestazioni a catena si applichi anche a fatti diversi non connessi, oggetto di indagine in procedimenti separati ma pendenti presso la stessa autorità giudiziaria, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza per il secondo fatto, commesso prima dell’emissione della prima ordinanza, fossero già desumibili dagli atti del relativo procedimento al momento della emissione della stessa ordinanza;

che, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione del principio di uguaglianza, perché anche in tal caso si verterebbe in un’ipotesi in cui l’indagato potrebbe essere esposto all’arbitrio – per malevolenza o negligenza – del pubblico ministero nel far decorrere il termine iniziale della custodia cautelare per uno dei fatti di cui è accusato, con la conseguenza che l’indagato non potrebbe fruire del divieto della contestazione a catena in conseguenza dell’assegnazione dei fatti non connessi a procedimenti diversi, che potrebbe avvenire anche sulla base di fattori meramente casuali ed aleatori; nonché con l’art. 13, quinto comma, della Costituzione, che esige sempre, in ogni situazione, il minimo sacrificio per la libertà personale;

che, prospettando le due ordinanze la medesima questione, i due giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;

che il giudice rimettente ha omesso di valutare se esistesse la possibilità di pervenire, in via interpretativa, ad una soluzione conforme alla Costituzione, come, del resto, ha fatto la Corte di Cassazione che, con recenti pronunce, e in particolare con la sentenza 19 dicembre 2006, n. 14535, depositata in data 10 aprile 2007 – emessa a sezioni unite, a séguito di rimessione ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen., per comporre un potenziale contrasto di giurisprudenza circa le condizioni di applicabilità dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. nell’ipotesi di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi – ha affermato che «quando in differenti procedimenti, non legati da connessione qualificata, vengono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, è da ritenere che i termini della seconda ordinanza debbano decorrere dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero»;

che tale mancata verifica rende manifestamente inammissibile la questione sollevata (sentenza n. 322, ordinanza n. 129 del 2007).

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 13, quinto comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2007.