Sentenza n. 432 del 2007

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SENTENZA N. 432

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco               BILE                                                Presidente

- Giovanni Maria FLICK                                               Giudice

- Francesco          AMIRANTE                                            ”

- Ugo                   DE SIERVO                                            ”

- Paolo                 MADDALENA                                        ”

- Alfio                 FINOCCHIARO                                      ”

- Alfonso             QUARANTA                                           ”

- Franco               GALLO                                                   ”

- Luigi                 MAZZELLA                                            ”

- Gaetano             SILVESTRI                                             ”

- Sabino               CASSESE                                               ”

- Giuseppe           TESAURO                                              ”

- Paolo Maria       NAPOLITANO                                       ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4, 4-bis e 5, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 luglio 2005, n. 155, promosso con ordinanza del 17 maggio 2006 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sul ricorso proposto da B.B. contro il Ministero dell’interno, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti l’atto di costituzione di B.B. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi l’avvocato Arturo Salerni per B.B. e l’avvocato dello Stato Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 17 maggio 2006, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4, 4-bis e 5, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 luglio 2005, n. 155.

Il giudizio a quo è stato promosso al fine di ottenere, previa sospensione, l’annullamento del provvedimento di espulsione adottato nei confronti del ricorrente dal Ministro dell’interno, il 1° settembre 2005, a norma dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).

In sede di descrizione del fatto, il Tribunale rimettente specifica che il decreto – emesso in applicazione del citato «articolo 13, 1° comma, del d.lgs. n. 286/1998, come integrato dalle disposizioni contenute nell’art. 3 del decreto-legge n. 144/2005» – risulta motivato con riferimento alle relazioni intrattenute dal ricorrente nell’ambiente dell’integralismo islamico ed a condotte che, «nell’attuale contesto del terrorismo di matrice islamica, sono motivo di grave turbamento per l’ordine pubblico e di pericolo per la sicurezza nazionale».

Il rimettente riferisce inoltre che, nell’adunanza camerale tenuta il 12 gennaio 2006 per provvedere sull’istanza di sospensione dell’esecuzione del decreto impugnato, ha richiesto chiarimenti istruttori al Ministero dell’interno e che tale Ministero, con provvedimento del 22 febbraio 2006, ha opposto il segreto di Stato relativamente all’ostensione nel giudizio degli atti amministrativi culminati con il decreto impugnato.

Il Tribunale amministrativo riferisce, infine, di aver trattenuto in decisione il ricorso alla pubblica udienza del 23 marzo 2006.

Tanto premesso in fatto, il giudice a quo rileva anzitutto che nella fattispecie al suo esame dovrebbero applicarsi «le disposizioni in materia di espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo», «per effetto del richiamo contenuto nel 1° comma dell’art. 3 del decreto-legge n. 144/2005 (nel testo modificato dalla legge di conversione n. 155/2005)». Sarebbe quindi preclusa, a prescindere dall’eventuale fondamento della relativa domanda, la sospensione cautelare dell’esecuzione del provvedimento. Per altro verso, a parere del rimettente, l’avvenuta opposizione del segreto di Stato comporterebbe la sospensione del procedimento, per una durata massima di due anni, in attesa che gli atti richiesti possano essere esibiti (commi 4-bis e 5 dell’art. 3 del citato decreto-legge n. 144 del 2005).

Il Tribunale amministrativo lamenta, a tale ultimo proposito, che per effetto della disciplina censurata risulta sostanzialmente inibita la celebrazione del giudizio, il quale non può essere definito nel merito, attesa per un verso la carenza di informazioni sugli elementi di fatto valutati per l’espulsione e considerata, per altro verso, l’impossibilità di integrare la base cognitiva, in quanto «l’esecuzione dell’istruttoria (ed in particolare l’ordine di acquisizione degli atti nel procedimento conclusosi con il provvedimento di espulsione) potrebbe comportare la divulgazione di informazioni coperte da segreto, laddove l’opponibilità del segreto non è, peraltro, derogabile dal giudice amministrativo e nei confronti del giudice amministrativo».

La previsione dell’esecuzione immediata del provvedimento di espulsione, senza che la stessa possa essere sospesa dal giudice amministrativo, si pone in contrasto, a parere del rimettente, con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., perché comprime in misura non ragionevole il diritto alla tutela giurisdizionale «nei confronti di un provvedimento già sottratto alla preventiva convalida da parte del giudice ordinario».

D’altronde – osserva il giudice a quo – la «probabile impossibilità» di accertamenti istruttori, a causa dell’opposizione del segreto di Stato e della conseguente sospensione del procedimento per un periodo presumibile di due anni, «rende nella sostanza non sindacabile, in sede giurisdizionale, il provvedimento di espulsione, almeno per quanto riguarda la deduzione di vizi di legittimità per eccesso di potere consistente nell’errore dei presupposti o nel travisamento dei fatti».

A parere del Tribunale rimettente, il sistema così delineato, per quanto soggetto ad una scadenza predefinita (31 dicembre 2007) relativamente alla sospensione del giudizio, comporta «un notevole squilibrio tra le parti del processo, ostacolando la tutela delle posizioni giuridiche lese dall’amministrazione […] e comprimendo sostanzialmente i diritti garantiti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione per un periodo di tempo non ragionevole». Inoltre sarebbero violate le prescrizioni di cui al primo ed al secondo comma dell’art. 113 Cost., secondo le quali la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa e non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

2.– Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato in data 7 agosto 2006.

Secondo la difesa erariale, la questione è infondata. Le norme censurate sarebbero infatti riconducibili «all’ambito applicativo dell’art. 10 Cost. e quindi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma», in quanto attuative del «principio di diritto internazionale» per il quale ogni Stato può disporre l’espulsione degli stranieri non legittimati a soggiornare nel suo territorio.

3.– Con atto depositato il 4 agosto 2006 si è costituita nel giudizio la parte ricorrente nel procedimento a quo.

Nel richiamare i rilievi formulati per iscritto avanti al Tribunale amministrativo, la parte privata rammenta come la Corte costituzionale abbia considerato il potere giudiziale di sospensione dell’atto amministrativo quale «elemento connaturale di un sistema giurisdizionale incentrato sull’annullamento degli atti della P.A.», specificando che l’eventuale preclusione violerebbe il principio di eguaglianza se non fosse sorretta da una ragionevole giustificazione (è citata la sentenza n. 284 del 1974).

Nella specie farebbe difetto ogni ragione giustificatrice del trattamento deteriore riservato ai soggetti colpiti dal provvedimento di espulsione, tale da comprimere per lungo tempo e con conseguenze irreparabili il diritto alla difesa ed alla tutela giurisdizionale contro gli atti dell’amministrazione. La disciplina concernente la sospensiva, dunque, sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost.

Analogo contrasto segnerebbe il comma 4-bis (recte: comma 5) dell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005, che collega una sospensione necessaria ed assai prolungata del processo ad una scelta discrezionale dell’Amministrazione. Sarebbe ingiustificata, in particolare, la disparità di trattamento istituita tanto con riguardo all’ordinario processo di giustizia amministrativa quanto rispetto al procedimento di convalida cui è chiamato, in materia di espulsione, il giudice di pace, posto che in tali contesti «non solo non sono previsti istituti quali quello siffatto, ma anzi sono previsti istituti e procedure entro termini acceleratori ragionevoli».

Nell’esprimere la propria adesione ai rilievi esposti dal Tribunale amministrativo nell’ordinanza di rimessione, la parte intervenuta fa osservare, da ultimo, come il sesto comma del citato art. 3 limiti nel tempo l’efficacia delle disposizioni contenute nei commi 2 e 5 dello stesso art. 3, ma nulla disponga in merito ai commi 4 e 4-bis, e ribadisce che la disciplina censurata ostacola la tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive potenzialmente lese dal provvedimento impugnato per un periodo di tempo non ragionevole.

4.– Con memoria depositata il 7 novembre 2007, la difesa erariale ha ribadito le conclusioni già assunte con l’atto di intervento.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, la Corte costituzionale avrebbe già stabilito che, nell’ambito del giudizio di opposizione al decreto di espulsione, l’omessa previsione di strumenti cautelari di sospensione dell’efficacia del provvedimento non contrasterebbe con la Costituzione. Il riferimento concerne la sentenza n. 161 del 2000, deliberata con riguardo all’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo introdotto dall’art. 3 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113 (Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40). La norma allora scrutinata prevedeva la possibilità di un ricorso avanti al pretore, prescrivendo che la decisione di merito fosse adottata entro dieci giorni dal deposito del ricorso medesimo. Poiché anche nell’assetto vigente, a parere della difesa erariale, la disciplina censurata stabilirebbe «tempi rapidissimi per la decisione», la decisione già assunta dalla Corte varrebbe a confermarne la legittimità costituzionale.

Nella memoria sono richiamate ulteriori decisioni della Corte costituzionale, che avrebbero ammesso la legittimità di norme che comprimano temporaneamente diritti garantiti dalla Costituzione in vista di esigenze eccezionali (sono citate le sentenze nn. 349 e 410 del 1993), e comunque avrebbero riconosciuto al legislatore ampia discrezionalità nella disciplina concernente l’ingresso ed il soggiorno degli stranieri.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4, 4-bis e 5, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 luglio 2005, n. 155, nella parte in cui dispone, nel caso di espulsione dello straniero deliberata dal Ministro dell’interno, o dal Prefetto per sua delega, a norma dell’art. 13, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e dell’art. 3, comma 1, dello stesso decreto-legge n. 144 del 2005, che il ricorso al tribunale amministrativo non sospende l’esecuzione del provvedimento (comma 4), che tale esecuzione non può essere sospesa in via cautelare dal giudice adito (comma 4-bis), e che – qualora venga opposto il segreto di Stato relativamente ad atti la cui cognizione sia necessaria per la decisione sul ricorso – il procedimento è sospeso per un tempo pari nel massimo a due anni (comma 5).

Ad avviso del Tribunale rimettente, una disciplina siffatta contrasta con l’art. 3, primo comma, della Costituzione, che consacra il principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza. Vi sarebbe violazione, ancora, del primo e del secondo comma dell’art. 24 Cost., che garantiscono il diritto di difesa in sede giurisdizionale per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi. Sarebbero infine eluse le prescrizioni di cui ai commi primo e secondo dell’art. 113 Cost., che assicurano una effettiva tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione e stabiliscono che tale tutela non venga esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

2. – Le questioni relative ai commi 4-bis e 5 dell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005 sono inammissibili.

3. – Per quanto riguarda il comma 4-bis, il rimettente lamenta che tale norma, nel precludere la sospensione dell’esecuzione del decreto di espulsione in sede giurisdizionale, introduce una irragionevole menomazione del diritto di difesa e dei rimedi giurisdizionali assicurati a tutti i cittadini nei confronti degli atti della pubblica amministrazione. Sarebbe riscontrabile quindi la violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost.

Il giudice a quo non chiarisce tuttavia se e in che modo si sia conclusa, nel procedimento principale, la fase cautelare. Nell’ordinanza di rimessione si legge che il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’atto impugnato, «previa sospensione». Si apprende inoltre che l’amministrazione intimata si è costituita, eccependo l’inammissibilità della sospensione cautelare del provvedimento e l’infondatezza nel merito del ricorso. Il rimettente continua poi la sua narrazione, precisando che nell’adunanza camerale del 12 gennaio 2006, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, sono stati chiesti chiarimenti istruttori al Ministero dell’interno, «finalizzati anche ad una sollecita definizione del giudizio con una pronuncia di merito»; che il predetto Ministero ha opposto il segreto di Stato alla ostensione in giudizio degli atti del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento impugnato; che, nella pubblica udienza del 23 marzo 2006, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Il 17 maggio 2006 è stata depositata l’ordinanza introduttiva del presente giudizio, nella quale nulla si dice sulla conclusione o meno della fase cautelare. Nell’epigrafe del provvedimento si fa riferimento ad una ordinanza n. 169 del 2006, della quale però non si rivela il contenuto.

Resta pertanto non precisato se il Tribunale rimettente, all’udienza camerale del 12 gennaio 2006, si sia limitato a richiedere all’amministrazione i chiarimenti istruttori di cui sopra, senza adottare alcun provvedimento, di accoglimento o di rigetto, dell’istanza cautelare presentata dal ricorrente, oppure si sia in qualche modo pronunciato su tale istanza. Il fatto che la causa sia stata trattenuta per la decisione nell’udienza pubblica del 23 marzo 2006 lascerebbe intendere che la citata ordinanza n. 169 del 2006 abbia chiuso la fase cautelare, avviando il procedimento verso la sua conclusione nel merito; tale circostanza, però, non viene esplicitata in alcun modo nell’ordinanza di rimessione.

La precisazione mancante è decisiva ai fini della valutazione di ammissibilità della questione riguardante il divieto, posto dalla norma censurata, di concedere la misura cautelare della sospensione dell’efficacia dell’atto. Se infatti il Tribunale rimettente avesse già adottato una decisione, di accoglimento o di rigetto, dell’istanza cautelare, la questione sarebbe all’evidenza tardiva e quindi inammissibile.

L’incompleta descrizione della fattispecie processuale, su un punto decisivo riguardante l’attuale rilevanza della questione, rende la stessa inammissibile.

4. – Anche la questione relativa al comma 5 dell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005 è inammissibile.

Il giudice rimettente lamenta che: a) non può sospendere il provvedimento impugnato, anche nella ricorrenza dei requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris, per espressa previsione contenuta nel comma 4-bis dell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005; b) non può decidere nel merito il ricorso, poiché l’atto afferma la sussistenza di esigenze di ordine e di sicurezza pubblica sottese al provvedimento di espulsione, ma non definisce, nemmeno sommariamente, gli elementi di fatto che hanno condotto al giudizio di pericolosità per la sicurezza nazionale nei confronti del ricorrente; c) non può esercitare il potere istruttorio a causa dell’opposizione del segreto di Stato, che determina la sospensione biennale del procedimento.

Conclude il TAR del Lazio: «Il sistema così delineato, sebbene avente efficacia temporale limitata nel tempo fino al 31 dicembre 2007, allo stato comporta un notevole squilibrio tra le parti del processo, ostacolando la tutela delle situazioni giuridiche lese dall’amministrazione, in base a presupposti di fatto non dimostrati e non dimostrabili (almeno per il periodo di sospensione biennale ai sensi dell’art. 3 del d.l. n. 144/2005) e comprimendo sostanzialmente i diritti garantiti dagli articoli 3 e 24 della Costituzione per un periodo di tempo non ritenuto ragionevole».

Il giudice a quo ritiene dunque che l’illegittimità costituzionale della norma censurata emerga dal “sistema”, composto, in sequenza, dal divieto di concedere la sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento e dall’automatica sospensione del procedimento nell’ipotesi (come la presente) di opposizione del segreto di Stato da parte dell’amministrazione.

Il rimettente ha omesso tuttavia di esplorare la possibilità di una diversa ricostruzione del “sistema”, tale da non condurre necessariamente alla saldatura, nel caso di specie, tra divieto di concessione del provvedimento cautelare e sospensione automatica del procedimento per effetto dell’opposizione del segreto di Stato.

Nel passo del provvedimento impugnato riportato dall’ordinanza di rimessione si legge che il soggetto espulso «ha un consolidato circuito relazionale con elementi di primo piano dell’integralismo islamico presente in Italia ed ha svolto intensa attività di proselitismo su posizioni radicali» e «ha tenuto condotte che nell’attuale contesto del terrorismo di matrice islamica sono motivo di grave turbamento per l’ordine pubblico e di pericolo per la sicurezza nazionale».

Il decreto di espulsione riproduce dunque in modo pressoché testuale la formula presente nell’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 («motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato») e non invece quella, più circoscritta, di cui al comma 1 dell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005 (straniero «nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni terroristiche, anche internazionali»).

Il giudice rimettente mostra di condividere l’interpretazione dell’amministrazione, nel senso che l’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 sarebbe stato “integrato” dalle disposizioni contenute nell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005, con l’effetto di estendere a tutti i casi di espulsione il regime processuale di nuova introduzione. Lo stesso rimettente, però, non si pone il quesito se il citato art. 3 abbia creato invece una fattispecie a se stante, per la quale soltanto siano applicabili le norme più restrittive, previste espressamente per coloro che pongono in essere condotte agevolatrici delle organizzazioni terroristiche.

Il Tribunale rimettente dichiara in modo esplicito che al provvedimento di espulsione impugnato, adottato «ai sensi dell’art. 13 del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione», «per effetto del richiamo contenuto nel 1° comma dell’art. 3 del d.l. 144/2005 […] si applicano le disposizioni in materia di espulsione di stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo». Non vi sono tuttavia elementi, nell’ordinanza di rimessione, per comprendere in base a quale iter interpretativo si ritenga ormai equivalente, a fini di disciplina dell’espulsione, il comportamento di chi, pur muovendosi in un ambiente nel quale sono presenti persone e organizzazioni dedite al terrorismo, non pone in essere condotte agevolatrici, e chi invece adotta tali condotte.

Il comma 1 del citato art. 3 reca infatti la dizione «oltre a quanto previsto dagli art. 9, comma 5, e 13, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998», dalla quale si potrebbe inferire che le norme racchiuse nell’intero articolo costituiscano previsioni riferibili solo alla particolare fattispecie nello stesso delineata e non a tutte le ipotesi di espulsione per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato.

Conferma di quanto detto sopra si può trarre dalla circostanza che il legislatore ha esplicitamente precisato quali dei successivi commi devono ritenersi applicabili anche alle espulsioni di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 (come accade nella parte finale del secondo comma e nel quinto comma dell’art. 3, senza che uguale previsione sia contenuta nel comma 4-bis).

In definitiva, l’ordinanza di rimessione non chiarisce se il provvedimento impugnato ricade sotto la previsione dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 o sotto quella dell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005, né fornisce alcun argomento interpretativo, in base al quale le due norme debbano essere applicate congiuntamente, né precisa quale valore, generale o particolare, abbia il “richiamo” che compare in apertura del comma 1 del suddetto art. 3.

Le diverse opzioni interpretative portano a divergenti conseguenze pratiche, rilevanti ai fini del presente giudizio. Difatti i provvedimenti previsti dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 possono essere impugnati con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio per esplicita disposizione del comma 11 dello stesso articolo, nel quale non è prevista alcuna restrizione in ordine all’esercizio dei poteri cautelari da parte del giudice adito. Solo sovrapponendo l’art. 13 citato e l’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005 si giunge alla configurazione del “sistema” delineato dal giudice a quo, caratterizzato dall’effetto cumulativo del divieto di concedere la sospensiva del provvedimento e del rinvio di due anni del procedimento, e per tale ragione censurato dallo stesso giudice. Diversa potrebbe essere la valutazione se le due norme non si ritenessero sovrapponibili, con la conseguenza della concedibilità della misura cautelare della sospensione dell’efficacia del provvedimento di espulsione, secondo il regime generale non derogato dalla normativa vigente per i provvedimenti adottati in base all’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998.

Poiché la sovrapposizione normativa, di cui sopra, non è scontata, l’ordinanza di rimessione si palesa carente di motivazione in ordine ad una scelta interpretativa che, da una parte, allarga in modo notevole lo spettro applicativo dell’art. 3 del decreto-legge n. 144 del 2005 e, dall’altra, in conseguenza di tale allargamento, giunge alla conclusione non argomentata dell’applicazione al caso trattato di un combinato disposto tra art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 e art. 3 del suddetto decreto-legge, dal quale nascono i dubbi di legittimità costituzionale. L’omessa esplorazione delle soluzioni interpretative che avrebbero escluso, nel caso di specie, l’effetto di cumulo cui si riferiscono le censure del rimettente è causa di inammissibilità della questione sollevata.

5. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del decreto-legge n. 144 del 2005 non è fondata.

Ciò che il rimettente segnala come un’anomalia degna di attenzione sotto il profilo della legittimità costituzionale è, in realtà, la caratteristica di tutti i provvedimenti amministrativi, la cui efficacia non è sospesa – salva esplicita previsione legislativa – per il semplice fatto della proposizione di un ricorso in sede giurisdizionale. Nel sistema dei controlli giurisdizionali sugli atti amministrativi è previsto, in via generale, il potere cautelare del giudice amministrativo di sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato, proprio sul presupposto della sua esecutività. Nessuna lesione dei parametri costituzionali evocati è dato pertanto constatare nella norma censurata, la quale si limita a ribadire che il ricorso giurisdizionale in nessun caso può sospendere l’esecuzione del provvedimento. Il problema sorgerebbe semmai per il successivo comma 4-bis, che costituisce invece un’eccezione alla regola generale, sancita dall’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), in base alla quale è sempre esercitabile, ricorrendo i presupposti previsti dalla legge, il potere cautelare di sospensione da parte del giudice amministrativo adito per l’annullamento di un atto amministrativo. Tale questione, nei soli termini in cui risulta rilevante nel caso di specie, è già stata sopra considerata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4-bis e 5, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 luglio 2005, n. 155, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza citata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del decreto-legge n. 144 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 155 del 2005, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2007.