Ordinanza n. 408 del 2007

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ORDINANZA N. 408

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 154, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 3 maggio 2005 dal Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, nel procedimento penale a carico di G.A., iscritta al n. 472 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2005.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, nell’ambito di un processo penale nei confronti di persona imputata del delitto di cui all’art. 589 del codice penale (omicidio colposo), il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 154, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che l’invito, rivolto alla persona offesa dal reato di cui è noto il luogo di residenza o di dimora all’estero, a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato ai fini delle notificazioni, debba contenere, a pena di nullità – ove l’interessato sia straniero – l’enunciazione, quanto meno sommaria, del «fatto-reato» e degli articoli di legge che lo prevedono;

che il giudice a quo premette che le persone offese dal reato per cui si procede si identificano in quattro soggetti di cui è noto il luogo di residenza all’estero; e che, in applicazione dell’art. 154 cod. proc. pen., è stata loro inviata una raccomandata con avviso di ricevimento, contenente l’invito in lingua rumena a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato;

che, a parere del rimettente, l’atto in questione non permetterebbe ai destinatari di comprendere per quale «fatto-reato» si procede, non contenendo alcuna indicazione circa l’oggetto del procedimento in corso, fatta eccezione per il mero richiamo all’art. 589 cod. pen. e al luogo e alla data del fatto;

che l’art. 154 cod. proc. pen., d’altra parte, non stabilisce alcunché riguardo al contenuto minimo dell’invito: sicché, a rigore, neppure il richiamo all’art. 589 cod. pen. poteva considerarsi «strettamente necessario»;

che, ciò premesso, il giudice rimettente ritiene che la norma denunciata violi gli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che l’invito in parola debba contenere – a pena di nullità – una sia pur sommaria enunciazione del «fatto-reato», oltre all’indicazione delle norme che lo contemplano: e ciò «quanto meno» nel caso in cui la persona offesa sia uno straniero, apparendo «inesigibile» che uno straniero dichiari o elegga domicilio in Italia per un procedimento penale, anche nel caso in cui ignori – o non vi sia prova che sappia – per quale fatto reato egli è stato ritenuto persona offesa;

che, più in particolare, l’art. 3 Cost. risulterebbe leso sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento rispetto all’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari, di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen.: atto che – pur avendo, secondo il rimettente, una funzione analoga a quella dell’invito previsto dalla norma denunciata – deve contenere la sommaria enunciazione del fatto e delle norme che si assumono violate;

che l’art. 24, secondo comma, Cost. verrebbe, altresì, compromesso giacché la mancata previsione di un contenuto minimo dell’invito in questione, relativamente al «fatto-reato», si presterebbe a determinare una menomazione del diritto di difesa;

che la questione risulterebbe, infine, rilevante nel giudizio a quo, poiché, «ove la norma avesse previsto, a pena di nullità, l’obbligo di enunciare, sia pure sommariamente, il fatto-reato, l’invito alle persone offese potrebbe dichiararsi nullo e se ne potrebbe e dovrebbe disporre la rinnovazione»;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata;

che, ad avviso della difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza, giacché – come risulta dal verbale di udienza – le persone offese erano nella specie presenti al dibattimento, e dunque in condizione di conoscere il fatto oggetto del procedimento penale;

che, nel merito, le censure di costituzionalità sarebbero comunque infondate;

che, quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente non avrebbe infatti considerato che all’invio della raccomandata, previsto dalla norma impugnata, deve seguire la notificazione del decreto che dispone il giudizio, onde non vi sarebbe alcuna diversità di trattamento fra imputato e persona offesa;

che con riguardo, poi, alla violazione dell’art. 24 Cost., la raccomandata ed il suo contenuto previsto dal codice di rito sarebbero idonei a «richiamare l’attenzione» delle persone offese, le quali – in ogni caso – riceveranno poi nel domicilio da loro liberamente eletto la copia del decreto che dispone il giudizio.

Considerato che il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano di Laziale, denuncia la contrarietà dell’art. 154, comma 1, del codice di procedura penale agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, chiedendo a questa Corte di stabilire – con il presidio della sanzione di nullità – un “contenuto minimo” dell’invito previsto dalla seconda parte della norma denunciata, allorché la persona offesa dal reato residente o dimorante all’estero si identifichi in uno straniero: “contenuto minimo” che dovrebbe essere rappresentato dalla sommaria enunciazione del «fatto-reato» e dalla indicazione degli articoli di legge che si assumono violati;

che, con riguardo a tale ultima indicazione – a prescindere da ogni rilievo circa la possibilità di desumerne sin d’ora la necessità in via di interpretazione, traendo argomento dall’omologa disposizione concernente le notificazioni all’imputato all’estero (art. 169, comma 1, cod. proc. pen.) – la questione appare comunque priva di rilevanza nel giudizio a quo: giacché – secondo quanto riferito dallo stesso rimettente – nel caso di specie l’invito spedito alle persone offese conteneva, di fatto, l’indicazione della norma violata (art. 589 del codice penale);

che, con riferimento, poi, all’altro requisito dell’invito, che il giudice a quo vorrebbe vedere introdotto – ossia alla sommaria enunciazione del «fatto-reato» – la motivazione sulla rilevanza della questione, offerta dall’ordinanza di rimessione, si presenta del tutto insufficiente e inidonea;

che, per un verso, infatti, il giudice a quo fornisce una descrizione incompleta della vicenda oggetto del giudizio principale, non indicando quale pregiudizio le persone offese avrebbero concretamente patito a fronte dell’asserita “oscurità” dell’invito de quo: in particolare, non specificando se dette persone, dopo aver ricevuto l’invito, abbiano o meno dichiarato o eletto domicilio nel territorio dello Stato per le notificazioni; se – in assenza di tale dichiarazione o elezione – la (eventuale) notificazione di atti presso la cancelleria abbia menomato, in qualche modo, le loro facoltà di partecipazione al procedimento; se, infine, le persone offese siano o meno comparse in dibattimento;

che, per un altro verso, il rimettente non tiene conto del fatto che l’ipotetica sanzione di nullità dell’invito carente della sommaria enunciazione del fatto – di cui è chiesta alla Corte l’introduzione – risulterebbe soggetta, in base all’art. 181, comma 1, cod. proc. pen., al regime delle nullità relative: sicché non potrebbe essere rilevata dal giudice a quo d’ufficio, ma solo su eccezione di parte (che non risulta esservi stata);

che – anche a voler supporre (ma di ciò non vi è traccia nell’ordinanza di rimessione) che il giudice a quo intenda far discendere dalla nullità dell’invito la nullità conseguenziale della citazione a giudizio delle persone offese, costituente una nullità cosiddetta a regime intermedio (artt. 178, comma 1, lettera c, e 180 cod. proc. pen.) – resta il fatto che l’eventuale comparizione delle persone offese (che il rimettente non esclude esservi stata) determinerebbe comunque la sanatoria della nullità, ai sensi dell’art. 184 cod. proc. pen.: rendendo, altresì, totalmente inutile l’ipotizzata rinnovazione della spedizione dell’invito, giacché i suoi destinatari, per il fatto stesso di essere presenti in dibattimento, risulterebbero già pienamente informati dell’oggetto del procedimento;

che, pertanto, a prescindere da ogni rilievo in ordine al merito delle censure – il giudice a quo evoca un tertium comparationis (l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen.) chiaramente eterogeneo, per funzioni e collocazione temporale, rispetto all’invito di cui si discute (il quale trova piuttosto il suo pendant, rispetto all’imputato, nell’invito previsto dal già citato art. 169 cod. proc. pen., che peraltro non richiede la sommaria descrizione del fatto per cui si procede) – la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 154, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.