Ordinanza n. 395 del 2007

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ORDINANZA N. 395

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                BILE                                      Presidente

- Giovanni Maria   FLICK                                      Giudice     

- Francesco           AMIRANTE                                   “

- Ugo                    DE SIERVO                                   “

- Paolo                  MADDALENA                               “

- Alfio                  FINOCCHIARO                            “

- Alfonso              QUARANTA                                  “

- Franco                GALLO                                          “

- Luigi                  MAZZELLA                                   “

- Gaetano              SILVESTRI                                    “

- Sabino                      CASSESE                                                   “

- Maria Rita          SAULLE                                        “

- Giuseppe            TESAURO                                     “

- Paolo Maria        NAPOLITANO                              “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza del 20 ottobre 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano sul ricorso proposto da Belardi Lorenzo conto l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano 3 iscritta al n. 396 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Milano, con ordinanza del 20 ottobre 2006, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413) nella parte in cui esclude dall’ambito dei mezzi istruttori utilizzabili nel processo tributario, la prova testimoniale, per violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;

che l’incidente di costituzionalità è sollevato nel corso del giudizio di impugnazione del provvedimento con cui l’Agenzia delle entrate di Milano ha irrogato, nei confronti di B.L., titolare di un salone per parrucchiere, la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, per l’impiego di una lavoratrice non risultante dalle scritture obbligatorie;

che il ricorrente nel giudizio a quo ha contestato che la sanzione sia stata calcolata in relazione al periodo di tempo 1° gennaio – 1° ottobre 2004, sostenendo che il rapporto di lavoro irregolare aveva avuto inizio soltanto pochi giorni prima della constatazione dell’infrazione, chiedendo, quindi, di essere ammesso a provare con testimoni tale circostanza;

che il giudice a quo, dopo aver rilevato che sussiste «anche in base al disposto dell’art. 5 cod. proc. civ. […] la giurisdizione delle Commissioni tributarie, già peraltro, sia pure implicitamente riconosciuta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 144 del 2005)», osserva che l’istanza di ammissione della prova testimoniale formulata dal ricorrente, dovrebbe essere rigettata in base al «chiaro disposto» dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992;

che tuttavia, a suo avviso, la prova per testi costituirebbe l’unico mezzo attraverso il quale il trasgressore può provare che il rapporto di lavoro ha avuto inizio in epoca successiva alla data presunta per legge con la conseguenza che l’esclusione di tale prova vanificherebbe la pronuncia della Corte, che ha riconosciuto al trasgressore la possibilità di dimostrare che il rapporto irregolare ha avuto inizio in una data diversa rispetto a quella indicata dall’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002;

che, pertanto, la Commissione tributaria ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione al principio di ragionevolezza, «perché non si può in astratto riconoscere la possibilità di provare una determinata circostanza e contemporaneamente negare l’unico mezzo di prova (testimonianza) che la parte può produrre»;

che la disposizione censurata violerebbe inoltre il diritto di difesa perché il ricorrente potrebbe difendersi solo «provando con testi il ‘fatto’ sul quale ha fondato la domanda»; contrasterebbe altresì con l’art. 111, secondo comma, Cost., perché le parti non sarebbero in condizioni di parità, essendo riconosciuta solo all’amministrazione la possibilità di «usufruire di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale»;

che, d’altra parte, la mancata estensione al giudice tributario – da considerarsi «un giudice amministrativo, in senso lato» – della possibilità di disporre l’ammissione dei mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, introdotta nel giudizio amministrativo dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), sarebbe priva di razionale giustificazione;

che il rimettente ritiene rilevante la questione prospettata in considerazione della richiesta di ammissione della prova testimoniale formulata dal ricorrente e del fatto che il rigetto dell’istanza comporterebbe il rigetto del ricorso, mentre l’ammissione della prova potrebbe portare al suo accoglimento con annullamento dell’atto impugnato;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità della questione sia in quanto il giudice a quo non avrebbe svolto alcuna motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, con specifico riguardo alle peculiarità del giudizio tributario che giustificherebbero il relativo regime probatorio, sia in quanto avrebbe omesso ogni tentativo di interpretazione – anche in ordine alla effettiva sussistenza della giurisdizione tributaria – tale da superare il presunto vizio di costituzionalità;

che, quanto al merito, la Corte, con la sentenza n. 18 del 2000, si sarebbe già pronunciata sul divieto di prova testimoniale nel processo tributario, dichiarando la questione infondata in relazione ai medesimi parametri evocati dall’odierno rimettente il quale, d’altra parte, non avrebbe svolto alcuna argomentazione tale da indurre a rivedere la precedente decisione;

che, in ogni caso, l’esclusione della prova per testi dal processo tributario sarebbe frutto di una precisa scelta del legislatore giustificata dalla peculiarità della materia tributaria e dalla sostanziale inutilità di una prova priva della attendibilità della prova documentale;

che rientrerebbe, comunque, nella discrezionalità del legislatore limitare i singoli mezzi istruttori con scelta non irragionevole, peraltro operata anche nell’ambito del processo civile, ove, in relazione a determinati fatti o rapporti, la prova può essere fornita solo per iscritto;

che, quanto alla dedotta violazione dell’art. 111 Cost., il giudice a quo non avrebbe tenuto conto del fatto che, anche secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, il contribuente avrebbe lo stesso potere dell’amministrazione di introdurre mezzi di prova o indizi raccolti in sede extraprocessuale, di tal che non sarebbe alterata la posizione di parità delle parti nel processo.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Milano dubita – in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413) nella parte in cui esclude dall’ambito dei mezzi istruttori utilizzabili nel processo tributario la prova testimoniale;

che il rimettente, nel prospettare la questione, ha preliminarmente affermato la sussistenza della giurisdizione tributaria in relazione alle controversie concernenti la sanzione per l’utilizzo di lavoratori irregolari «anche in base al disposto dell’art. 5 cod. proc. civ.»;

che, attraverso il richiamo a tale disposizione, il giudice a quo mostra di aver tenuto conto, sia pure implicitamente, delle modifiche normative intervenute nel corso del giudizio, e in particolare del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato l’art. 3, commi 3 e 5, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all'estero e di lavoro irregolare), convertito dalla legge 23 aprile 2002, n. 73;

che la Commissione tributaria ritiene, evidentemente, che, anteriormente alle modifiche normative suddette, le controversie in esame appartenessero alla giurisdizione tributaria;

che tale conclusione risulta tutt’altro che pacifica essendosi formati al riguardo orientamenti non univoci;

che, infatti, secondo un indirizzo giurisprudenziale, poiché la disposizione citata stabilisce che competente ad irrogare la sanzione per l’impiego di lavoratori irregolari è l’Agenzia delle entrate, le relative controversie apparterrebbero al giudice tributario il quale, ai sensi l’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), conosce tutte le controversie concernenti «le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari»;

che un opposto orientamento esclude la sussistenza della giurisdizione tributaria dal momento che – secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 144 del 1998 – presupposto necessario affinché la previsione della giurisdizione tributaria possa ritenersi conforme a Costituzione (art. 102, secondo comma) sarebbe che la cognizione attenga a controversie connesse a tributi, mentre la sanzione di cui all’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002 avrebbe solo indirettamente valenza tributaria, concernendo, invece, in via diretta l’elusione degli oneri contributivi e la violazione di norme previdenziali;

che al riguardo questa Corte, nell’ordinanza n. 34 del 2006 – nel dichiarare la manifesta inammissibilità di questioni concernenti l’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002, con le quali si censurava l’attribuzione al giudice tributario della giurisdizione sugli atti di irrogazione delle sanzioni per l’impiego di lavoratori irregolari – ha ritenuto che i giudici rimettenti avessero omesso di valorizzare «la natura tributaria del rapporto cui deve ritenersi inscindibilmente collegata la giurisdizione del giudice tributario, rimanendo ancorati al solo dato formale e soggettivo, relativo all'ufficio competente ad irrogare la sanzione, venendo meno, quindi, al doveroso tentativo di verificare la possibilità di seguire una diversa interpretazione conforme a Costituzione» (si vedano, altresì, le ordinanze n. 94 e n. 35 del 2006);

che, dunque, l’esistenza di orientamenti diversi rendeva necessario che il rimettente motivasse espressamente sulla sussistenza della propria giurisdizione nella controversia sottoposta al suo esame, di tal che la mancanza di ogni argomentazione al riguardo si risolve in un difetto di motivazione in punto di rilevanza della questione;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con l’ordinanza in epigrafe.

         Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2007.