Ordinanza n. 382 del 2007

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ORDINANZA N. 382

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della medesima legge, promossi nell’ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze del 31 marzo e del 12 maggio 2006 dalla Corte d’assise d’appello di Trieste, del 20 aprile, del 29 marzo (nn. 2 ordd.), del 5 (nn. 3 ordd.) e del 19 aprile (nn. 3 ordd.), del 3 maggio, del 31 ottobre, del 30 novembre, del 26 ottobre, del 20 aprile, dell’8 agosto (nn. 2 ordd.), del 21 settembre, del 26 e del 31 ottobre 2006 dalla Corte d’appello di Trieste, rispettivamente iscritte ai nn. 365 e 430 del registro ordinanze 2006 ed ai nn. 137, da 321 a 329, 332, 333, 343, da 366 a 371 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 40 e 43, prima serie speciale, dell’anno 2006 e nn. 13, 18, 19 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ventuno ordinanze, sostanzialmente coincidenti nella parte motiva, la Corte d’appello di Trieste e la Corte d’assise d’appello di Trieste hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della medesima legge;

che, sotto il profilo della rilevanza, i rimettenti premettono che in forza dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006 - il cui art. 1, sostituendo l’art. 593 cod. proc. pen., ha sottratto al pubblico ministero il potere di appellare le sentenze di proscioglimento - i giudizi dovrebbero essere definiti con ordinanze non impugnabili di inammissibilità;

che, nel merito, i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen., nel testo novellato dalla legge n. 46 del 2006, nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., quando, cioè, sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado e sempre che tali prove risultino decisive;

che la disciplina censurata violerebbe gli artt. 3 e 111 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento tra le parti e violazione del principio della ragionevole durata del processo;

che i rimettenti premettono che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la previsione di limiti al potere di impugnazione del pubblico ministero, di per sé non in contrasto con la Costituzione, deve trovare una «ragionevole giustificazione» nella peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, nella funzione allo stesso affidata e nelle esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia;

che nei lavori preparatori della legge n. 46 del 2006 le ragioni dell’intervento normativo sono ricondotte esclusivamente alla necessità di dare attuazione al principio affermato dall’art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, con riferimento al «diritto al doppio grado di giurisdizione in materia penale per chiunque venga dichiarato colpevole di una infrazione penale da un tribunale»;

che tali ragioni si paleserebbero non solo estranee a quelle che, secondo la giurisprudenza richiamata, potrebbero legittimare una limitazione dei poteri di impugnazione del pubblico ministero, ma anche «del tutto prive di fondamento», atteso che la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che «il doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale» e che l’art. 2 sopra menzionato «non legittima una interpretazione per cui il riesame ad opera di un tribunale superiore debba coincidere con un giudizio di merito»;

che la limitazione del potere di impugnazione del pubblico ministero non sarebbe neppure giustificata dalla circostanza che l’appello sia formalmente precluso anche all’imputato, «ben diverso essendo il rispettivo interesse sostanziale a proporre impugnazione avverso una sentenza di proscioglimento», con conseguente violazione degli artt. 3 e 111 Cost.;

che i rimettenti censurano, inoltre, la disciplina impugnata in riferimento al principio della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) ed a tal fine evidenziano come la novella del 2006, per effetto della eliminazione dell’appello e della possibilità di proporre ricorso in cassazione, determini un aumento dei gradi di giudizio e dunque l’allungamento dei tempi processuali con diretta incidenza sulla prescrizione dei reati;

che ciò risulterebbe tanto più evidente in relazione alla disciplina transitoria contenuta nell’art. 10 della legge n. 46 del 2006: infatti, la previsione di una «indiscriminata declaratoria di inammissibilità» degli appelli proposti prima dell’entrata in vigore della legge, «derogando al principio tempus regit actum che governa la materia processuale, non solo sacrifica ineludibilmente un atto di gravame tempestivamente proposto, costringendo la parte interessata a presentarne un altro, ma comporta l’inevitabile differimento della presentazione di esso all’eseguita notifica del provvedimento di inammissibilità e, pertanto, ad un termine futuro ed incerto».

Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione – conseguente alla modifica dell’art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) – dell’appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero e l’immediata applicabilità di tale regime, in forza dell’art. 10 della legge, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;

che, stante l’identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva»; sia dell’art. 10, comma 2, della medesima legge «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;

che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti alla Corte d’appello di Trieste e alla Corte d’assise d’appello di Trieste.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2007.