Ordinanza n. 381 del 2007

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 381

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                              Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                     Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                        "

-    Paolo                        MADDALENA                    "

-    Alfio                        FINOCCHIARO                  "

-    Alfonso                    QUARANTA                       "

-    Franco                      GALLO                               "

-    Luigi                        MAZZELLA                        "

-    Sabino                      CASSESE                            "

-    Maria Rita                 SAULLE                              "

-    Giuseppe                   TESAURO                           "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni), e dell’art. 1 del d.P.R. 28 luglio 1950, n. 895 (Approvazione del nuovo regolamento per l’esecuzione del nuovo testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni), promosso dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Como, nel giudizio di opposizione all’esecuzione proposto da S. M. contro la Rilenos.p.a., con ordinanza del 20 novembre 2006, iscritta al n. 346 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione all’esecuzione avverso il pignoramento effettuato dal concessionario del servizio di riscossione per la Provincia di Como sui crediti per provvigioni di un agente di commercio, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Como, con ordinanza del 20 novembre 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni), e dell’art. 1 del d.P.R. 28 luglio 1950, n. 895 (Approvazione del nuovo regolamento per l’esecuzione del nuovo testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni), nelle parti in cui tali norme non prevedono il divieto di pignoramento dei compensi corrisposti ad un lavoratore autonomo, qualora questi costituiscano la sua unica fonte di reddito;

che il giudice a quo, premesso di aver raggiunto la prova circa la mancanza di altri redditi del debitore, agente di commercio con obbligo di non trattare affari nell’interesse dei concorrenti della preponente, osserva come i generi commercializzati, in quanto destinati ad un mercato particolare, richiedano nell’agente una preparazione specialistica per poter trattare con le ditte del settore, così da non consentirgli di promuovere la vendita di prodotti diversi, destinati a clienti differenti, e come, quindi, la situazione de qua sia assimilabile a quella di un lavoratore dipendente;

che il Tribunale ricorda come, a seguito della modifica disposta dall’art. 1, comma 137, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, anche ai lavoratori del settore privato si applichi l’art. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, che prevede il divieto di pignorare – fatte salve le eccezioni stabilite dalla legge (art. 2) – «gli stipendi, i salari, le paghe, [...] ed i compensi di qualsiasi specie» dovuti a chi svolga attività lavorativa, ma come, in base all’art. 1 del regolamento di esecuzione, di cui al d.P.R. n. 895 del 1950, il divieto della pignorabilità non si applichi «alle somme [...] dovute in compenso di prestazioni eseguite in base a rapporti che non implicano un vincolo di dipendenza»;

che, inoltre, essendo i limiti alla pignorabilità della retribuzione e degli altri crediti derivanti dall’esecuzione di un rapporto di lavoro subordinato di natura eccezionale, essi sono insuscettibili di applicazione analogica ad ipotesi diverse, e, quindi, non sono estensibili al pignoramento delle provvigioni in argomento;

che, pertanto, la mancata previsione del limite del quinto per il pignoramento del compenso dovuto ad un lavoratore autonomo, nel caso in cui questo costituisca la sua unica fonte di reddito, sembra al remittente costituire un trattamento ingiustificatamente più sfavorevole rispetto a quanto stabilito per i lavoratori dipendenti, in contrasto con l’art. 3 Cost.;

che inoltre – argomenta il Tribunale – tenuto conto dell’importo del credito azionato, il pignoramento integrale delle provvigioni dovute dal terzo e quindi la conseguente assegnazione, oltre a quelle già maturate, anche di quelle maturande, fino alla completa estinzione del debito, priverebbe il debitore, anche in futuro, dei mezzi economici necessari per condurre un’esistenza libera e dignitosa, in contrasto con l’art. 36 Cost.;

che, infine, quanto alla rilevanza, il giudice a quo specifica di aver disposto provvisoriamente l’assegnazione del quinto dei compensi dovuti dal terzo pignorato, con sospensione dell’eventuale assegnazione dei residui quattro quinti, fino alla decisione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e comunque per la manifesta infondatezza delle questioni, in quanto il remittente non ha tentato di interpretare il sistema in modo da evitare qualsiasi dubbio di costituzionalità, non ha spiegato perché l’agente di commercio unimandatario non possa equipararsi al lavoratore subordinato per gli effetti dell’art. 545, terzo comma, del codice di procedura civile, e non ha individuato con esattezza la norma applicabile;

che, nel merito, le questioni sarebbero infondate, in quanto l’art. 3 Cost. presuppone situazioni eguali, tali non essendo quella del lavoratore subordinato e quella del lavoratore autonomo, mentre l’art. 36 Cost. non potrebbe riguardare il pignoramento, da parte del terzo, della retribuzione.

Considerato che il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Como, davanti al quale pende procedimento di esecuzione presso terzi avente ad oggetto i crediti per provvigioni spettanti ad un agente di commercio da parte della preponente e per la soddisfazione di crediti della società concessionaria del servizio di riscossione per la provincia di Como, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pedoni dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni), e dell’art. 1 del d.P.R. 28 luglio 1950, n. 895 (Approvazione del nuovo regolamento per l’esecuzione del nuovo testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni);

che, secondo il remittente, qualora, come nel caso specifico, l’agente non abbia altre fonti di reddito e per patto contrattuale non possa assumere altri incarichi per la commercializzazione di prodotti di aziende concorrenti della concedente, non vi è alcuna ragione perché l’agente, riguardo alla pignorabilità dei suddetti propri crediti, abbia un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per i lavoratori dipendenti e comunque tale da non consentire a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa;

che le questioni non sono ammissibili per diverse, concorrenti ragioni;

che, anzitutto, il d.P.R. n. 895 del 1950 ha natura di regolamento e non di norma primaria, sicché ad esso non può estendersi il sindacato di questa Corte;

che il remittente non precisa, d’altro canto, se il contenuto normativo che egli sospetta di illegittimità derivi congiuntamente dalle disposizioni censurate o anche soltanto da quella dell’art. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, avente efficacia di legge;

che il Tribunale censura le suddette disposizioni, concernenti la pignorabilità di corrispettivi di lavoro e trattamenti di quiescenza spettanti ai dipendenti di pubbliche amministrazione, ma adduce come tertium comparationis, riguardo alle questioni in oggetto, il regime dei lavoratori subordinati privati, regolato da altre disposizioni;

che, inoltre, il giudice a quo fa riferimento, nell’ipotizzare la necessità di una pronuncia additiva, anche all’assenza di fonti di reddito diverse da quelle per attività lavorative e trattamenti pensionistici e in genere di quiescenza, così postulando l’introduzione di un elemento estraneo al sistema, che eventualmente spetta soltanto al legislatore valutare.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni), e dell’art. 1 del d.P.R. 28 luglio 1950, n. 895 (Approvazione del nuovo regolamento per l’esecuzione del nuovo testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Como con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2007.