Ordinanza n. 363 del 2007

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ORDINANZA N. 363

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 168, terzo comma, del codice penale, e 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come modificati dall’art. 1 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), promossi con ordinanze del 14 ottobre 2004 dal Tribunale di Nuoro nel procedimento penale a carico di S. D. e dell’8 maggio 2003 dal Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Portoferraio, nel procedimento penale a carico di D. M. iscritte al n. 25 del registro ordinanze 2005 ed al n. 210 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, prima serie speciale, dell’anno 2005 e 28, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, pervenuta alla Corte l’8 giugno 2006, il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Portoferraio, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168, terzo comma, del codice penale, come modificato dall’art. 1 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), nella parte in cui prevede la possibilità di revoca, in sede di esecuzione, della sospensione condizionale della pena concessa in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di cause ostative, anche quando si tratti di beneficio accordato ai sensi del comma 3 dell’art. 444 del codice di procedura penale (e, cioè, a seguito di richiesta di applicazione della pena subordinata alla concessione della sospensione condizionale);

che il rimettente riferisce di essere investito, quale giudice dell’esecuzione, della richiesta del pubblico ministero di revoca della sospensione condizionale della pena concessa ad una persona, a norma dell’art. 444, comma 3, cod. proc. pen., con due sentenze divenute irrevocabili, rispettivamente, il 5 febbraio 1997 ed il 27 novembre 1997;

che la richiesta – ad avviso del giudice a quo – andrebbe accolta limitatamente alla seconda sentenza: giacché con essa la sospensione condizionale era stata concessa alla persona in questione per la terza volta, e dunque in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen.;

che il rimettente dubita, tuttavia, sotto plurimi profili, della legittimità costituzionale della norma denunciata;

che la possibilità, introdotta dalla legge n. 128 del 2001, di revocare in sede esecutiva la sospensione condizionale erroneamente concessa sarebbe, in effetti, pienamente compatibile con la Costituzione allorché si discuta di beneficio accordato a seguito di giudizio ordinario, o di altro rito che consenta comunque una «piena dialettica processuale» (quale il giudizio abbreviato): trattandosi, in tal caso, di una «rivisitazione» a carattere puramente dichiarativo, che incide soltanto «sull’esercizio del potere e sulla statuizione del giudice»;

che del tutto diversa risulterebbe, invece, la situazione nel caso di patteggiamento, allorché l’imputato accetti di essere sottoposto a pena, rinunciando a «difendersi provando», solo in quanto gli venga garantita la sospensione condizionale;

che, in tale ipotesi, sarebbe difatti irragionevole che, dopo la formazione del giudicato, l’accertamento di un errore dello Stato determini la revoca unilaterale dell’accordo, già intervenuto con l’imputato, unicamente nella parte che rappresenta il fondamento essenziale della richiesta di quest’ultimo; essendo possibili altre e «più congrue» soluzioni: quale, ad esempio, un nuovo accordo che non preveda la sospensione condizionale, ma con «rimodulazione della pena patteggiata»; ovvero l’integrale ripetizione del processo a richiesta dell’imputato, ove questi reputi non più conveniente il rito previsto dall’art. 444 cod. proc. pen.;

che la circostanza che l’accordo, sulla cui base l’imputato si è indotto a rinunciare al processo, venga travolto solo nella parte favorevole all’imputato medesimo, senza che quest’ultimo recuperi la facoltà di «difendersi provando», implicherebbe anche una violazione del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.);

che risulterebbero vulnerati, infine, i principi del «giusto processo» enunciati dall’art. 111 Cost., in forza dei quali, da un lato, può considerarsi “giusto” solo il processo che consente il pieno contraddittorio fra le parti; e, dall’altro lato, la rinuncia al contraddittorio può conseguire solo ad una scelta consapevole dell’imputato: scelta necessariamente ancorata a dati certi, le cui conseguenze non potrebbero essere, dunque, unilateralmente modificate dallo Stato dopo la formazione del giudicato;

che, con l’altra ordinanza pure indicata in epigrafe, il Tribunale di Nuoro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, quarto e quinto comma, Cost., analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 168, terzo comma, cod. pen., «in relazione» all’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen. (modificato anch’esso dall’art. 1 della legge n. 128 del 2001);

che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a pronunciarsi, quale giudice dell’esecuzione, sulla richiesta del pubblico ministero di revoca della sospensione condizionale concessa ad un soggetto, a norma dell’art. 444, comma 3, cod. proc. pen., con sentenza emessa il 3 aprile 2003: richiesta motivata col rilievo che detta persona aveva già in precedenza fruito due volte del beneficio, in virtù di sentenze dell’11 marzo 1974 e del 18 agosto 1991;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione – premesso che in base all’art. 111, quarto e quinto comma, Cost., il principio della formazione della prova nel contraddittorio delle parti può trovare deroga solo «per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità oggettiva o per effetto di provata condotta illecita» – il giudice a quo osserva come, nel caso di cui all’art. 444, comma 3, cod. proc. pen., la richiesta di concessione della sospensione condizionale costituisca parte integrante del consenso dell’imputato all’adozione di un rito non fondato sul contraddittorio delle parti;

che, in coerenza con ciò, il citato art. 444, comma 3, cod. proc. pen. prevede che la mancata concessione del beneficio comporti il rigetto della richiesta ed il ritorno alla regola generale del processo celebrato in contraddittorio; mentre la giurisprudenza di legittimità appare costante nel ritenere che, in sede di impugnazione, l’accertamento della illegittima concessione della sospensione condizionale inficia non soltanto il relativo capo della sentenza, ma l’intero accordo raggiunto dalle parti;

che la razionalità di tale meccanismo e la sua corrispondenza al principio dettato dall’art. 111, quarto e quinto comma, Cost. verrebbero tuttavia meno, in sede esecutiva, per effetto delle disposizioni censurate;

che da un lato, infatti, la revoca della sospensione condizionale, da parte del giudice dell’esecuzione, farebbe sì che l’imputato si trovi ad essere stato giudicato in un processo svoltosi in assenza di contraddittorio senza il suo consenso, in quanto questo era condizionato al riconoscimento del beneficio;

che, da un altro lato, si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra la fase di cognizione, nella quale il riscontro della non concedibilità del beneficio porta al rigetto della richiesta, ovvero, in sede di impugnazione, all’annullamento dell’intero accordo, «riconducendo il giudizio nei binari ordinari»; e la fase di esecuzione, in cui invece la revoca del solo beneficio non incide sul giudicato relativo all’applicazione della pena;

che in entrambi i giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che i giudici rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 168, terzo comma, del codice penale, come modificato dall’art. 1 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), nella parte in cui – in correlazione con il disposto dell’art. 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale (anch’esso modificato dal citato art. 1 della legge n. 128 del 2001) – prevede la revoca, in sede di esecuzione, della sospensione condizionale della pena concessa «in violazione dell’art. 164, quarto comma,» cod. pen., «in presenza di cause ostative», anche quando si tratti di beneficio accordato ai sensi del comma 3 dell’art. 444 del codice di procedura penale (e, cioè, a seguito di richiesta di applicazione della pena subordinata alla concessione della sospensione condizionale);

che, con riferimento alla questione sollevata dal Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Portoferraio, si deve peraltro osservare come, alla luce dell’indirizzo nettamente maggioritario della giurisprudenza di legittimità, la nuova ipotesi di revoca della sospensione condizionale della pena prevista dall’art. 168, terzo comma, cod. pen. non possa operare in rapporto ai benefici concessi con sentenze divenute definitive prima dell’entrata in vigore dalla legge n. 128 del 2001: e ciò tanto ove si ritenga che la norma impugnata abbia carattere sostanziale (valendo allora il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, di cui all’art. 2 cod. pen.); quanto ove le si attribuisca carattere processuale (valendo allora il principio tempus regit actum, che esclude che le nuove norme possano applicarsi agli atti e fatti “esauriti” sotto l’impero della legge anteriore);

che, nel caso di specie – secondo quanto riferito nell’ordinanza di rimessione – si discute della revoca di una sospensione condizionale concessa con sentenza divenuta irrevocabile il 27 novembre 1997, e dunque prima dell’entrata in vigore della legge n. 128 del 2001; senza che, peraltro, il giudice rimettente si ponga affatto il problema di diritto intertemporale dianzi evidenziato;

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza;

che, quanto alla questione sollevata dal Tribunale di Nuoro, va rilevato come, con la disposizione di cui al censurato terzo comma dell’art. 168 cod. pen., il legislatore abbia inteso introdurre uno strumento capace di porre rimedio, a posteriori, alla illegittima reiterazione della sospensione condizionale della pena: e ciò nella precipua ottica di ovviare agli inconvenienti derivanti dal difettoso funzionamento dell’istituto del casellario giudiziale, il quale, a causa dei ritardi negli aggiornamenti, impedisce spesso al giudice di riscontrare, al momento del giudizio, l’esistenza di precedenti condanne a pena sospesa, ostative ad una nuova concessione del beneficio;

che, in tale ottica, un indirizzo interpretativo ritiene che – in coerenza col rilevato obiettivo di non far “lucrare” all’imputato vantaggi conseguenti ad errori “invincibili” del giudice, dipendenti dalle disfunzioni di strutture ausiliarie – la possibilità di revoca in executivis della sospensione condizionale debba intendersi limitata, ad onta della indifferenziata lettera della norma, alla sola ipotesi in cui l’elemento ostativo non fosse conoscibile nella fase di cognizione: mentre, in caso contrario – quando, cioè, il giudice della cognizione, pur potendo accorgersi dei precedenti ostativi, abbia egualmente concesso il beneficio a causa di una erronea valutazione – anche la nuova ipotesi di revoca dovrebbe conseguire alla proposizione degli ordinari mezzi di impugnazione;

che, a sostegno di tale soluzione, si allega anche l’argomento di ordine sistematico, per cui solo nella prospettiva dianzi indicata la norma non porrebbe problemi di violazione del giudicato – trasformando lo strumento censurato in un nuovo mezzo straordinario di impugnazione contra reum, svincolato da limiti temporali – poiché non si tratterebbe di rivedere una decisione erronea presa in sede di cognizione, ma soltanto di eliminare una violazione di legge commessa in presenza di una situazione oggettiva, non percepita né percepibile dal giudice della cognizione, ma divenuta conoscibile solo ex post;

che il rimettente non tiene affatto conto, peraltro, dell’orientamento interpretativo ora ricordato, anche solo per contestarne la validità;

che, di conseguenza, il giudice a quo non precisa se, nel caso sottoposto al suo esame, i precedenti ostativi fossero o meno conosciuti o conoscibili dal giudice della cognizione; precisazione che risulterebbe, per contro, tanto più necessaria – nella cornice della tesi interpretativa dianzi ricordata – a fronte del fatto che, secondo quanto si riferisce nell’ordinanza di rimessione, le due precedenti sospensioni condizionali erano state concesse all’imputato con sentenze anteriori, rispettivamente, di ben 19 e 12 anni rispetto a quella di cui si discute nel giudizio a quo: il che potrebbe indurre a dubitare che – pur tenendo conto dei possibili ritardi negli aggiornamenti – le sentenze stesse non figurassero nel certificato del casellario giudiziale al momento della decisione;

che, pertanto, anche tale questione va dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 168, terzo comma, del codice penale, e 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come modificati dall’art. 1 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Portoferraio, e dal Tribunale di Nuoro, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2007.