Ordinanza n. 360 del 2007

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ORDINANZA N. 360

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-        Franco                   BILE                            Presidente

-        Giovanni Maria       FLICK                           Giudice

-        Francesco               AMIRANTE                         "

-        Ugo                       DE SIERVO                         "

-        Paolo                     MADDALENA                     "

-        Alfio                     FINOCCHIARO                   "

-        Alfonso                 QUARANTA                        "

-        Franco                   GALLO                               "

-        Luigi                     MAZZELLA                        "

-        Sabino                   CASSESE                            "

-        Maria Rita              SAULLE                              "

-        Giuseppe                TESAURO                           "

-        Paolo Maria           NAPOLITANO                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9-bis, comma 18, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, promosso con ordinanza depositata il 13 ottobre 2006 dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, nel giudizio vertente tra Vera Giudice e l’Agenzia delle entrate - Ufficio di Siracusa, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello avente ad oggetto la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata l’impugnazione proposta da una contribuente avverso un avviso di accertamento in rettifica relativo all’IRPEF del 1993, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, con ordinanza pronunciata il 20 luglio 2006 e depositata il 13 ottobre successivo, ha sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9-bis, comma 18, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, in quanto applicabile anche alle persone fisiche che sono socie di società le quali abbiano definito con adesione i loro redditi sociali entro il termine del 15 dicembre 1995, fissato dagli artt. 2-bis e 3 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564 (Disposizioni urgenti in materia fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656;

che, secondo quanto premesso in punto di fatto dal giudice rimettente, la società in accomandita semplice di cui era socia l’appellante aveva definito entro il 15 dicembre 1995, per l’anno 1993 (ai sensi degli artt. 2-bis e 3 del decreto-legge n. 564 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 656 del 1994), un reddito sociale maggiore rispetto a quello originariamente dichiarato dalla medesima società;

che lo stesso giudice premette altresí, sempre in punto di fatto, che l’amministrazione finanziaria, con l’impugnato avviso di accertamento, aveva successivamente imputato alla suddetta socia – una persona fisica – il maggior reddito da partecipazione alla società risultante dalla menzionata definizione del reddito sociale, e ciò in applicazione del denunciato comma 18 dell’art. 9-bis del decreto-legge n. 79 del 1997, secondo cui «L’intervenuta definizione da parte delle società od associazioni di cui all’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi […] costituisce titolo per l’accertamento, ai sensi dell’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600, e successive modificazioni ed integrazioni, nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata […]»;

che il giudice a quo premette poi, in punto di diritto, che la disposizione denunciata, benché non retroattiva, si applica anche all’ipotesi in cui la società (come nella specie) abbia definito i redditi sociali anteriormente al 15 dicembre 1995, salvo il caso – non ricorrente in concreto – in cui l’ufficio finanziario «ha già fatto l’accertamento, o l’iscrizione a ruolo, o ha notificato la cartella esattoriale»;

che, ad avviso del giudice rimettente, si deve necessariamente pervenire a tale interpretazione della suddetta disposizione per ragioni sia letterali (la formulazione dei commi 15, 16, 17 e 18 del citato art. 9-bis del decreto-legge n. 79 del 1997, nonché dell’art. 8 del regolamento di attuazione previsto dall’art. 3, comma 2, del citato decreto-legge n. 564 del 1994 ed emanato con d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177, renderebbe applicabile la disposizione denunciata ai concordati fiscali intervenuti in qualunque tempo con le predette società od associazioni), sia sistematiche (la proroga di due anni dei termini per l’accertamento di cui all’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, stabilita dall’ultimo periodo del suddetto comma 18 dello stesso art. 9-bis del decreto-legge n. 79 del 1997, si giustificherebbe solo nel caso in cui il denunciato precedente periodo dello stesso comma si applichi anche alle definizioni intervenute anteriormente alla data dell’entrata in vigore del comma medesimo), sia di adeguamento alla Costituzione (una diversa interpretazione comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i soci, a seconda che la società abbia provveduto a detta definizione entro o dopo il 15 dicembre 1995);

che, quanto alla non manifesta infondatezza della sollevata questione, il giudice a quo osserva che il comma denunciato, correttamente interpretato nel senso della sua applicabilità anche all’ipotesi in cui la società abbia definito i redditi sociali anteriormente al 15 dicembre 1995, víola l’art. 24 Cost., perché, mentre pone a carico del socio contribuente l’onere di provare che la società ha prodotto un reddito minore di quello da essa definito, rende nello stesso tempo quasi impossibile l’assolvimento di tale onere, in quanto le uniche prove che il socio può opporre all’accertamento presuntivo compiuto dell’ufficio sono costituite dai documenti e dalle scritture contabili sociali, la conservazione dei quali, però, a séguito dell’intervenuta definizione con adesione, non è piú obbligatoria per la società ai fini fiscali (con l’esclusione dei soli registri IVA), in base al disposto del comma 8 dell’art. 2-bis del decreto-legge n. 564 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 656 del 1994;

che, quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria regionale afferma che, nella specie, «a distanza di oltre due anni dalla definizione è improbabile che la società abbia conservato la sua contabilità», con la conseguenza che la contribuente «si troverebbe […] nell’impossibilità di provare il suo buon diritto»;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata.

che, con riguardo alla eccepita manifesta inammissibilità, l’Avvocatura generale osserva che l’ordinanza è priva di motivazione sulla rilevanza, perché il giudice rimettente, da un lato, afferma che le scritture contabili sociali sono gli unici mezzi di prova utilizzabili dai soci per opporsi all’accertamento effettuato in base ai redditi definiti dalla società; dall’altro, non precisa se, nella specie, si sia effettivamente verificata la circostanza della mancata conservazione di tali scritture;

che, con riguardo alla dedotta infondatezza, la difesa erariale osserva che, per consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione (vengono citate le sentenze n. 14418 del 2005 e n. 13186 del 2000), l’intervenuta definizione dei redditi sociali mediante accertamento con adesione da parte delle società di persone costituiva titolo per l’accertamento nei confronti dei soci già prima dell’entrata in vigore della disposizione censurata, la quale si limita ad applicare il principio della tassazione per trasparenza già stabilito dall’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui, ai fini dell’IRPEF, i redditi prodotti dalle società di persone sono imputati pro quota ai soci sulla presunzione della loro percezione;

che inoltre, in ordine alla denunciata impossibilità del socio di opporsi all’accertamento utilizzando scritture contabili della società, in quanto queste potrebbero non essere piú disponibili, l’Avvocatura generale dello Stato obietta che non sussiste lesione del diritto di difesa del socio, perché: a) la definizione dei redditi sociali mediante accertamento con adesione avviene in via forfetaria, prescindendo da quanto attestato dalle scritture contabili, cosí da giustificare il venir meno, per la società, dell’obbligo di legge di conservare documenti e scritture contabili (salvo che per i registri IVA, per i quali, invece, permane tale obbligo); b) la suddetta definizione viene presumibilmente valutata dall’intera compagine sociale, date le peculiarità organizzative delle società di persone; c) la contabilità sociale o «riflette correttamente i fatti gestionali» dichiarati dalla società e, pertanto, «sul piano concreto non potrebbe apportare un valido contributo difensivo», oppure è «scarsamente attendibile» e, pertanto, «eventuali prove a sostegno della posizione del socio sarebbero da ricercare, semmai, in documenti extracontabili».

Considerato che la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, dubita, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, della legittimità dell’art. 9-bis, comma 18, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, in quanto applicabile anche alle persone fisiche che sono socie di società le quali abbiano definito con adesione i loro redditi sociali entro il termine del 15 dicembre 1995, fissato dagli artt. 2-bis e 3 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564 (Disposizioni urgenti in materia fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656;

che, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione censurata, ritenuta applicabile anche all’ipotesi in cui la società (come nella specie) abbia definito i redditi sociali anteriormente al 15 dicembre 1995, víola l’art. 24 Cost., perché, mentre pone a carico del socio contribuente l’onere di provare che la società ha prodotto un reddito minore di quello da essa definito, rende nello stesso tempo quasi impossibile l’assolvimento di tale onere, in quanto le uniche prove che il socio può opporre all’accertamento presuntivo compiuto dall’ufficio sono costituite dai documenti e dalle scritture contabili sociali, la conservazione dei quali, però, a séguito dell’intervenuta definizione con adesione, non è piú obbligatoria per la società ai fini fiscali (con l’esclusione dei soli registri IVA), in base al disposto del comma 8 dell’art. 2-bis del decreto-legge n. 564 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 656 del 1994, con la conseguenza che, nella specie, «a distanza di oltre due anni dalla definizione è improbabile che la società abbia conservato la sua contabilità» e, pertanto, la contribuente «si troverebbe […] nell’impossibilità di provare il suo buon diritto»;

che la questione è manifestamente inammissibile per motivazione insufficiente sulla rilevanza e contraddittoria sulla non manifesta infondatezza;

che in particolare, quanto alla rilevanza, il giudice a quo non precisa, in punto di fatto, se, nella specie: a) si sia effettivamente verificata la circostanza della mancata conservazione delle scritture contabili, da lui prospettata solo come eventuale («è improbabile che la società abbia conservato la sua contabilità»; la contribuente «si troverebbe […] nell’impossibilità di provare il suo buon diritto»); b) manchino i registri IVA della società (la conservazione dei quali resta obbligatoria, ai fini fiscali, anche dopo l’intervenuto concordato tra l’amministrazione finanziaria e la società) ovvero da essi non siano ricavabili (e per quali ragioni) elementi probatori in ordine all’entità dei redditi sociali;

che, sempre quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria, in punto di diritto: a) non dà conto dell’orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione secondo cui, anche prima dell’entrata in vigore della disposizione denunciata, le norme tributarie erano interpretabili nel senso che la definizione dei redditi mediante accertamento con adesione, da parte della società di persone, costituisce titolo per effettuare un accertamento parziale nei confronti dei soci in ordine al maggior reddito da partecipazione, ai sensi dall’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (sentenza n. 14418 del 2005); b) non chiarisce se la denunciata lesione del diritto di difesa derivi dalla disposizione censurata, nella parte in cui, affermando che l’intervenuto accertamento per adesione costituisce titolo per l’accertamento anche nei confronti del socio persona fisica, pone a carico di questo l’onere di provare un reddito sociale minore di quello risultante dall’accertamento con adesione effettuato dalla società; oppure (come sembrerebbe invece doversi logicamente desumere dalle argomentazioni prospettate nell’ordinanza di rimessione) dal non censurato comma 8 dell’art. 2-bis del decreto-legge n. 564 del 1994, quale convertito dalla legge n. 656 del 1994, nella parte in cui fa venir meno, a séguito dell’intervenuta definizione dei redditi sociali mediante accertamento con adesione, l’obbligo per la società di conservare, ai fini fiscali, i documenti e le scritture contabili (fermo, comunque, l’obbligo di conservare i registri IVA);

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente adduce una motivazione contraddittoria, perché afferma, da un lato, che la disposizione censurata, ove applicabile anche alle persone fisiche che siano socie di società le quali abbiano definito i redditi sociali con adesione entro il termine del 15 dicembre 1995, violerebbe l’art. 24 Cost., dall’altro, che la medesima disposizione, ove invece non fosse applicabile ai soci suddetti (come nel caso di accoglimento della sollevata questione), creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i soci, a seconda che la società abbia provveduto o no alla definizione entro il termine indicato.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9-bis, comma 18, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2007.