Ordinanza n. 356 del 2007

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ORDINANZA N. 356

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                BILE                                                              Presidente

- Francesco           AMIRANTE                                                    Giudice

- Ugo                    DE SIERVO                                                         ”

- Paolo                  MADDALENA                                                    ”

- Alfio                   FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso              QUARANTA                                                        ”

- Franco                GALLO                                                                 ”

- Luigi                   MAZZELLA                                                         ”

- Gaetano              SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                CASSESE                                                             ”

- Maria Rita          SAULLE                                                               ”

- Giuseppe            TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                                    ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 17 e 19 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), e dell’art. 2, comma 7, lettera e), numeri 9 e 10, e lettera f), numeri 3 e 4, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico), promosso con ordinanza del 5 ottobre 2006 della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, iscritta al n. 215 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che con ordinanza del 5 ottobre 2006 la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha sollevato – in riferimento agli artt. 101, 104, primo comma, 107, secondo comma, e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 17 e 19 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), e dell’art. 2, comma 7, lettera e), numeri 9 e 10, e lettera f), numeri 3 e 4, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico), nella parte in cui prevedono la facoltà del Ministro della giustizia di partecipare all’udienza disciplinare che si svolge dinanzi alla competente sezione del Consiglio superiore della magistratura;

che, secondo quanto riferito dalla rimettente, nel corso del giudizio disciplinare a quo si è costituito il Ministro della giustizia, con atto del 18 luglio 2006, contenente la delega al compimento delle attività processuali ad un magistrato addetto all’Ispettorato dello stesso ministero, ai sensi dell’art. 17, comma 5, del d.lgs. n. 109 del 2006;

che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, nel corso dell’udienza celebrata il 21 luglio 2006, ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento del Ministro della giustizia e, in subordine, l’illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute negli artt. 17 e 19 del d.lgs. n. 109 del 2006, e dell’art. 2, comma 7, lettera c) [recte: lettera e)], numeri 9 e 10, nonché lettera f), numeri 3 e 4, della legge delega n. 150 del 2005, per contrasto con gli artt. 101, 104, 107 e 111 Cost.;

che la sezione rimettente, condividendo le argomentazioni esposte dal Procuratore generale, dubita della legittimità costituzionale della normativa indicata, introdotta con la riforma dell’ordinamento giudiziario in materia di procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari, nella parte in cui prevede la partecipazione del Ministro della giustizia al giudizio che si svolge dinanzi alla stessa sezione disciplinare;

che, ad avviso della rimettente, le norme censurate, nella misura in cui configurano in capo al Ministro della giustizia poteri che vanno oltre il promovimento dell’azione disciplinare, sarebbero in contrasto con gli artt. 101, 104 e 107 Cost., i quali, al fine di assicurare che la giurisdizione sia esercitata al di fuori da qualsiasi condizionamento, garantiscono l’indipendenza e l’autonomia dell’Ordine giudiziario anche in riferimento all’adozione di provvedimenti destinati ad incidere sullo status  dei magistrati ordinari;

che il giudice a quo evidenzia la disarmonia che la normativa censurata avrebbe prodotto in un sistema nel quale, secondo l’opinione generale, la facoltà attribuita al Ministro della giustizia dall’art. 107, secondo comma, Cost., rimaneva estranea all’esercizio della giurisdizione proprio in quanto circoscritta alla sola iniziativa dell’azione disciplinare, e per tale ragione era anche inidonea ad incidere sullo status dei magistrati;

che, infatti, prosegue la rimettente, una volta esercitata la predetta facoltà da parte dell’organo politico, l’azione disciplinare rimaneva affidata ad organi interni alla magistratura, in particolare al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, chiamato ad esercitare poteri istruttori ed a sostenere l’accusa davanti all’organo di autogoverno, che nella specie esercita funzioni giurisdizionali;

che in tal modo, secondo il giudice a quo, era assicurata l’estraneità dell’organo politico rispetto all’attività giurisdizionale svolta dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, così rendendosi effettiva, anche nella materia in esame, la «relazione esclusiva e senza mediazione del giudice con la legge», prescritta dall’art. 101 Cost.;

che, al contrario, la partecipazione del Ministro all’udienza disciplinare – discrezionale e dunque sorretta da una valutazione di opportunità politica – assumerebbe rilevanza processuale, così determinando la cessazione dell’estraneità dell’organo politico rispetto all’attività giurisdizionale;

che inoltre, in ragione della discrezionalità che connota l’intervento dell’organo politico e vale a differenziarlo da quello del Procuratore generale presso la Corte di cassazione (il quale è obbligato ad esercitare l’azione disciplinare), la partecipazione del Ministro all’udienza finirebbe con l’assumere un significato prevalente rispetto a quello della pubblica accusa;

che, sempre a parere della rimettente, la normativa censurata risulterebbe in contrasto anche con le regole del «giusto processo», dal momento che la presenza del Ministro, in quanto si affianca a quella istituzionale del Procuratore generale, determinerebbe una duplicazione dell’accusa, con conseguente alterazione della parità tra le parti;

che il ruolo del Ministro, in particolare, non sarebbe assimilabile alla posizione della parte civile nel processo penale, mancando nella specie un interesse giuridicamente tutelato diverso da quello già rappresentato dal Procuratore generale, in difesa della legge;

che il contrasto della normativa censurata con i princípi costituzionali in materia di giurisdizione sarebbe ulteriormente confermato, secondo il giudice a quo, dalla modalità con la quale si realizza l’intervento processuale del Ministro, vale a dire mediante delega ad un magistrato addetto all’Ispettorato del ministero della giustizia, e dunque non assistito da una posizione di indipendenza nei confronti dell’autorità politica;

che infine, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che la decisione della questione è destinata ad incidere sulla sorte del procedimento in corso;

che, con atto depositato l’8 maggio 2007, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che gli atti siano restituiti al giudice a quo, alla luce della sopravvenuta legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario);

che la difesa erariale segnala, in particolare, come l’art. 1, comma 3, lettera i), numeri 1 e 2, e lettera m), della legge n. 269 del 2006 abbia inciso sulle disposizioni contenute negli artt. 17 e 19 del d.lgs. n. 109 del 2006, eliminando la facoltà di intervento del Ministro della giustizia nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati ordinari;

che nella specie, ad avviso dell’Avvocatura generale, sussisterebbero i presupposti per il rinvio degli atti alla rimettente sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in quanto le norme censurate risultano abrogate dalla legge n. 269 del 2006, entrata in vigore successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, e, in assenza di disposizioni transitorie, occorre stabilire se la nuova disciplina sia immediatamente applicabile ai procedimenti disciplinari in corso.

Considerato che la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dubita, in riferimento agli artt. 101, 104, primo comma, 107, secondo comma, e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 17 e 19 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), e dell’art. 2, comma 7, lettera e), numeri 9 e 10, e lettera f), numeri 3 e 4, della legge 25 luglio 2005 n. 150 (Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico), nella parte in cui prevedono la facoltà del Ministro della giustizia di partecipare all’udienza disciplinare che si svolge dinanzi alla competente sezione del Consiglio superiore della magistratura;

che, successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, alcune tra le disposizioni oggetto di censura risultano sostituite dall’art. 1, comma 3, lettera i), numeri 1 e 2, e lettera m), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario);

che, in particolare, risultano espunte dagli artt. 17, commi 5 e 7, e 19, comma 1, del d.lgs. n. 109 del 2006, le previsioni riguardanti la facoltà del Ministro della giustizia di partecipare all’udienza disciplinare, le modalità di tale partecipazione e i connessi poteri processuali;

che, pertanto, gli atti vanno restituiti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza della questione alla luce dello ius superveniens.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  il 22 ottobre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2007.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA