Ordinanza n. 310 del 2007

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ORDINANZA N. 310

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                      Presidente

- Giovanni Maria        FLICK                                                 Giudice     

- Francesco                 AMIRANTE                                 “

- Ugo                          DE SIERVO                                 “

- Paolo            MADDALENA                            “

- Alfio                         FINOCCHIARO                          “

- Alfonso                    QUARANTA                               “

- Franco                      GALLO                                        “

- Luigi                         MAZZELLA                                “

- Gaetano                    SILVESTRI                                  “

- Sabino                      CASSESE                                     “

- Maria Rita                SAULLE                                      “

- Giuseppe                  TESAURO                                   “

- Paolo Maria              NAPOLITANO                            “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, della legge 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all’art. 2, comma 1, e all’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge. 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza del 26 settembre 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Macerata, nel procedimento tributario vertente tra la Pineta Pizzeria s.n.c. di Cecconi Gonnella Nora & C. e l’Agenzia delle entrate-Ufficio di Tolentino iscritta al n. 195 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Macerata, con ordinanza del 26 settembre 2006, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all’art. 2, comma 1, e all’art. 7, comma 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge. 30 dicembre 1991, n. 413), per contrasto con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione;

che il rimettente premette di essere chiamato a giudicare in ordine ad un ricorso avverso l’atto di irrogazione di una sanzione emessa dall’Agenzia delle entrate-Ufficio di Tolentino nei confronti di un ristoratore, a séguito dell’accertamento dell’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, e che la sanzione è stata quantificata sulla base del costo del lavoro di ciascun lavoratore, calcolato dal 1° gennaio 2002 al giorno della constatata violazione (16 novembre 2002), secondo quanto prescritto dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002;

che il ricorrente del giudizio a quo contesta tale sanzione sostenendo che il periodo lavorativo si sarebbe limitato ad una sola giornata lavorativa, come risulterebbe dalle dichiarazioni delle lavoratrici interessate e degli altri dipendenti, nonché dalle lettere di assunzione sottoscritte dalle stesse lavoratrici e dalla documentazione inviata all’INAIL, e che, pertanto, la sanzione dovrebbe essere calcolata in relazione al periodo lavorativo effettivo e non già a partire dal 1° gennaio dell’anno in corso alla data di contestazione della violazione;

che l’Agenzia delle entrate contesta il valore probatorio sia della documentazione prodotta dal ricorrente, sia delle dichiarazioni dei lavoratori, le quali, «stante il divieto di prova testimoniale», avrebbero valore soltanto indiziario;

che, secondo il rimettente, l’art. art. 3, comma 3 del decreto-legge n. 12 del 2002 benché, sia stato già dichiarato (parzialmente) illegittimo dalla Corte costituzionale, nella parte in cui non ammette la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al 1° gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione (sentenza n. 144 del 2005), tuttavia sarebbe tuttora in contrasto con l’art. 24 Cost.;

che, infatti, stante la sussistenza della giurisdizione tributaria in ordine alle controversie concernenti la sanzione di cui all’art. 3 censurato, e vigendo, nell’ambito del processo tributario il divieto della prova testimoniale di cui all’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, il ricorrente avverso la sanzione si troverebbe nella concreta impossibilità di provare l’inizio e la durata effettiva del rapporto di lavoro irregolare, con conseguente violazione del diritto di difesa;

che le disposizioni censurate sarebbero altresì lesive dell’art. 97 Cost. e del principio di imparzialità dell’amministrazione poiché rimetterebbero «alla totale discrezionalità» di quest’ultima la scelta del momento in cui effettuare l’ispezione nell’azienda, momento dal quale dipende l’entità della sanzione;

che sarebbe violato, infine, anche l’art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevolezza della censurata disposizione, dal momento che, a causa della impossibilità di fornire la prova negativa derivante dalla inammissibilità della prova testimoniale, si consentirebbe di sanzionare una medesima condotta con due pene diverse;

che, il rimettente ritiene rilevanti le questioni sollevate nel giudizio a quo, poiché nella specie, la sanzione di cui all’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002 è stata irrogata in conseguenza dell’avvenuto accertamento della presenza di lavoratori irregolari, e tuttavia non sarebbe possibile, per il ricorrente, fornire la prova testimoniale circa la durata effettiva del rapporto di lavoro irregolare, sì da vincere la presunzione posta dalla disposizione censurata;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha innanzitutto eccepito l’inammissibilità delle questioni prospettate, dal momento che l’ordinanza di rimessione non avrebbe tenuto conto delle modifiche apportate alla disposizione censurata dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248 sia in ordine alle modalità di quantificazione della sanzione, sia in ordine all’organo competente ad irrogarla;

che, pertanto, la mancanza di una specifica valutazione da parte del rimettente circa la applicabilità o meno della nuova disciplina alla fattispecie al suo esame renderebbe la questione manifestamente inammissibile;

che, nel merito, in ogni caso, la questione sarebbe infondata, rientrando nella discrezionalità del legislatore, purché esercitata in modo non palesemente irrazionale, individuare il giudice competente a decidere la controversia, nonché stabilire limitazioni alla esperibilità della prova testimoniale, anche tenuto conto della natura del procedimento e delle circostanze da provare;

che infondata sarebbe, infine, la dedotta violazione dell’art. 97 Cost., dal momento che gli inconvenienti lamentati dal rimettente avrebbero natura meramente fattuale dipendendo non dalla norma, ma dall’esercizio della potestà accertativa da parte dell’amministrazione.

Considerato che, anteriormente all’ordinanza di rimessione – depositata in data 29 settembre 2006 – è intervenuto il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, il cui art. 36-bis, comma 7, lettere a) e b) ha sostituito i commi 3 e 5 dell’art. 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73;

che il citato decreto n. 223 del 2006 ha modificato completamente la disciplina sanzionatoria prevista per l’utilizzo di lavoratori irregolari;

che il sopravvenuto decreto-legge ha altresì modificato il comma 5 dell’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002 il quale attualmente dispone che all’irrogazione di tale sanzione provvede la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente;

che il giudice a quo non ha tenuto alcun conto della suddetta modifica normativa, la quale incide, per un verso, sul meccanismo di calcolo della sanzione trasformandolo radicalmente e, per altro verso, sulla individuazione dell’organo competente ad applicare tale sanzione;

che il rimettente, dunque, non ha svolto alcuna motivazione in ordine alla eventuale incidenza della novella sulla fattispecie al suo esame, sia sotto il profilo della appartenenza alla giurisdizione tributaria delle controversie aventi ad oggetto le sanzioni per l’impiego di lavoratori irregolari, sia quanto alla perdurante rilevanza della questione nel giudizio a quo;

che tali omissioni determinano, secondo la costante giurisprudenza della Corte, la manifesta inammissibilità della questione per carente motivazione sulla rilevanza (si vedano al riguardo, le ordinanze n. 268 e n. 74 del 2006, e n. 152 del 2003).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all’art. 2, comma 1, e all’art. 7, comma 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge. 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Macerata con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2007.