Ordinanza n. 298 del 2007

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ORDINANZA N. 298

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                             Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                              Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                          "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                         "

-      Paolo                               MADDALENA                                    "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                                  "

-      Franco                             GALLO                                                 "

-      Luigi                                MAZZELLA                                         "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                          "

-      Sabino                             CASSESE                                             "

-      Maria Rita                       SAULLE                                               "

-      Giuseppe                         TESAURO                                            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 360, primo comma, n. 3, come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), e dell’art. 420-bis del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 12 settembre 2006 dal Tribunale di Genova nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Canepa Giuseppe ed altri e la Ilvas.p.a iscritta al n. 177 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2007.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2007 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che il Tribunale di Genova, sezione lavoro, con ordinanza del 12 settembre 2006 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 360, primo comma, n. 3, come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), e dell’articolo 420-bis del codice di procedura civile per contrasto, rispettivamente, con gli artt. 39 e 111 e con gli articoli 3, 76 e 111 della Costituzione;

che, ad avviso del rimettente, la prima delle due norme indicate violerebbe l’articolo 39 Cost., in quanto affida al giudice la qualificazione del contratto collettivo come nazionale, nonché l’articolo 111 Cost., nella parte in cui estende l’ambito dei casi nei quali il giudice di legittimità può conoscere del merito della causa;

che, sotto altro aspetto, l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., trasformando i contratti collettivi in “fonti di diritto oggettivo”, determinerebbe una lesione del diritto sancito dall’art. 39 Cost., attraverso una ingerenza eteronoma dello Stato nell’autonomia sindacale;

che l’articolo 420-bis cod. proc. civ. sarebbe costituzionalmente illegittimo sia per palese irrazionalità, sia per violazione del principio di ragionevole durata del processo, sia, infine, per eccesso di delega;

che, in punto di rilevanza – premesso che la questione di merito concerne l’interpretazione del significato dell’espressione «orario di lavoro» cui sarebbe collegato, nella contrattazione collettiva applicabile ratione temporis, un contenuto difforme da quello che il giudicante ricava dalla normativa vigente all’epoca e che pertanto si pone un problema di interpretazione di una clausola di un accordo nazionale - il rimettente osserva che l’art. 420-bis  impone una definizione della questione «con sentenza suscettibile di immediato ricorso in Cassazione» e sospensione del giudizio, in tal modo impedendo una definizione di merito in tempi brevi;

che è altrettanto rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 360, primo comma, n. 3, poiché una declaratoria di illegittimità costituzionale renderebbe privo di oggetto l’art. 420-bis che, ad avviso del Tribunale, esiste solo in funzione di una pronuncia pregiudiziale finalizzata al successivo gravame di legittimità;

            che il rimettente denuncia altresì il vizio di delega, del quale ritiene affetto l’art. 420-bis, rispetto alla legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali): quest’ultima, infatti, ispirata al principio di concentrazione del processo, ha previsto la possibilità di ricorrere in cassazione «solo avverso la decisione che definisce l’intero giudizio», mentre l’art. 420-bis impone la ricorribilità immediata in cassazione (art. 1, comma 3, lettera a);

            che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la manifesta inammissibilità di tutte le questioni: le disposizioni impugnate non trovano applicazione nel giudizio a quo avendo il Tribunale rimettente già risolto la questione interpretativa con provvedimento reso nel corso del processo, prima dell’entrata in vigore dell’art. 420-bis cod. proc. civ.;

che altrettanto irrilevante – a giudizio della difesa erariale – è la questione concernente l’art. 360 cod. proc. civ. la quale, avendo ad oggetto i vizi della sentenza deducibili dinanzi alla Corte regolatrice, potrà essere sollevata solo da questa nel momento in cui si troverà a farne applicazione e non prima;

che, secondo l’Avvocatura generale, infondata è la censura di eccesso di delega, come pure la questione di costituzionalità dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sollevata dal rimettente per asserita lesione dell’art. 39 Cost, non comprendendosi per quale ragione la qualificazione del contratto come «nazionale» sfuggirebbe alla disponibilità dei contraenti;

            che, quanto all’asserito contrasto dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., con l’art. 111 Cost., secondo l’Avvocatura dello Stato la norma costituzionale non impedisce al giudice di legittimità di conoscere – anche se in casi circoscritti – del merito della causa; come pure del tutto destituita di fondamento è la tesi del rimettente secondo cui la medesima norma avrebbe trasformato il contratto collettivo nazionale in «fonte di diritto oggettivo».

            Considerato  che vengono in discussione due norme sostituite dagli artt. 2 e 18 del decreto legislativo 30 marzo 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica  e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80): a) l’art. 360, primo comma, n. 3, il quale introduce un nuovo motivo di ricorso in cassazione concernente la «violazione o falsa applicazione di accordi o contratti collettivi di lavoro»; b) l’art. 420-bis, ai sensi del quale «Quando per la definizione di una controversia di cui all'articolo 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni (primo comma). La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza (secondo comma). Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito (terzo comma)».

            che, ai sensi dell’art. 146 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, nel caso di cui all’art. 420-bis si applica, per quanto compatibile, l’art. 64, commi 4, 6 e 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), secondo cui: «La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell’art. 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti» (comma 4); «In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunziarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d’ufficio, l’udienza per la prosecuzione del processo» (comma 6); «Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione […] sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3» (secondo cui il giudice decide con sentenza sulla sola questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale) (comma 7);

            che il rimettente dubita della legittimità costituzionale della prima delle due norme impugnate per violazione degli articoli 39 e 111 della Costituzione, sia in quanto, rimettendo al giudice di qualificare il contratto collettivo come nazionale, comprime indebitamente l’autonomia sindacale, sia in quanto, dopo aver modificato surrettiziamente la natura dei contratti ed accordi collettivi in fonti di diritto oggettivo estende l’ambito dei casi in cui il giudice di legittimità può conoscere del merito della causa;

            che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di rito è inammissibile, poiché essa si pone in una prospettiva del tutto eventuale o potenziale rispetto alla situazione processuale nel giudizio a quo. Non sussiste, infatti, alcun necessario nesso funzionale tra la norma in esame e l’art. 420-bis, trattandosi di disposizioni che riguardano momenti processuali affatto distinti ed autonomi;

            che, quanto all’art. 420-bis, il giudice a quo ne denuncia l’incompatibilità con i principi enunciati dagli artt. 3, 76 e 111 Cost., sia perché introduce irrazionalmente un «farraginoso meccanismo» che comporta una frammentazione dei vari momenti decisori sulle numerose questioni che il giudice può trovarsi ad affrontare, sia perché l’innovazione sarebbe sprovvista della necessaria delega, sia perché quel meccanismo rischia di prolungare eccessivamente la durata del processo;

            che l’Avvocatura erariale ha eccepito l’inammissibilità della questione in quanto il problema interpretativo della norma del contratto collettivo risulterebbe già risolto nel corso del giudizio a quo;

            che, tuttavia, questa eccezione non può essere condivisa: è vero, infatti, che il rimettente, nel corso del giudizio protrattosi per oltre due anni prima dell’entrata in vigore dell’art. 420-bis, aveva espresso (con apposita ordinanza del 9 febbraio 2005) la propria opzione valutativa in ordine alla validità della clausola collettiva applicabile, ma è anche vero che, una volta intervenuta la nuova disciplina dettata dall’art. 420-bis immediatamente applicabile al giudizio in corso (trattandosi di norma processuale), il giudice a quo, non essendo vincolato dal suo precedente provvedimento, privo di contenuto decisorio, ha potuto esprimere nell’ordinanza di rimessione nuovi e più approfonditi argomenti sulla persistenza delle difficoltà ermeneutiche, il che giustifica il ricorso alla nuova procedura pregiudiziale introdotta dall’art. 420-bis;

            che, nel merito, tutte le censure formulate dal rimettente sono manifestamente infondate;

            che l’art. 420-bis ripropone, con qualche modifica (non rilevante nel caso in esame) il modello delineato dall’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001, sulle controversie in materia di pubblico impiego «contrattualizzato», del quale questa Corte ha avuto occasione di confermare la legittimità costituzionale (sentenza n. 199 del 2003 ed ordinanza n. 233 del 2002);

            che, quanto alla dedotta irrazionalità dell’art. 420-bis, in violazione dell’art. 3 Cost., è sufficiente osservare che il nuovo strumento processuale non opera in tutti i casi in cui emerge una qualunque questione di interpretazione o di validità della clausola collettiva, essendo tale strumento affidato in modo ragionevole al responsabile apprezzamento del giudice del lavoro, al quale spetta evitare l’inconveniente denunciato, attraverso l’identificazione tempestiva della serietà della questione ;

che, anche in relazione al dedotto eccesso di delega (art. 76 Cost.), la censura del rimettente è manifestamente infondata in quanto la legge 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione in legge, con modifiche, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35), ha previsto una delega al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione, e nel fissare (lettera a del terzo comma dell’art. 1) i criteri direttivi, ha indicato come obiettivo prioritario la valorizzazione della funzione nomofilattica nel processo di cassazione;

            che a questo modo di operare della delega, ha contribuito il fatto che l’ordinamento giuridico – come già rilevato - aveva già attuato un intervento del tutto analogo a quello realizzato dall’art. 420-bis in materia di controversie di lavoro pubblico «privatizzato»;

            che, in piena coerenza con il terzo parametro costituzionale invocato dal rimettente (art. 111 Cost.), l’art. 420-bis – letto in connessione con l’art. 146 disp. att. cod. proc. civ. e con i commi 4, 6 e 7 dell’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001, più sopra richiamati – prescrive termini perentori brevi sia per l’impugnazione in cassazione per saltum avverso la sentenza pronunciata dal giudice di merito, sia per la riassunzione della causa davanti allo stesso giudice dopo la decisione della Corte di cassazione, assicurando, in tempi ragionevoli, la soluzione di questioni ermeneutiche di interesse collettivo che reclamano decisioni immediate entro il primo grado di giudizio (così Cass. 19 febbraio 2007, n. 3770 la quale ha escluso il ricorso alla procedura pregiudiziale interpretativa in grado di appello). Senza contare che analoghe economie di giudizio – pure apprezzabili ai sensi dell’art. 111 Cost. – possono essere realizzate secondo l’intero meccanismo processuale introdotto dall’art. 420-bis – con riferimento agli altri processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione su cui la Corte di cassazione sia stata già chiamata a pronunciarsi (commi 6 e 7 dell’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 appena citati);

            che, per le ragioni sin qui esposte la questione concernente l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., va dichiarata manifestamente inammissibile, mentre va dichiarata la manifesta infondatezza delle censure rivolte rivolte all’art. 420-bis, cod. proc. civ.

Visti gli artt. 26 , secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

            Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile, nel testo sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo n. 40 del 2006 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), sollevata dal Tribunale di Genova, in riferimento agli articoli 39 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe;

            dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 420-bis del codice di procedura civile, sollevata dal medesimo Tribunale, in riferimento agli articoli 3, 76 e 111 della Costituzione, con la stessa ordinanza.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 4 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2007.